Darwin e i fossili

Darwin e i fossili

Fossile di un pesce

L'immagine di Charles Darwin naturalista, o di Darwin padre della teoria dell'evoluzione, sono ormai familiari al grande pubblico: quello che può risultare meno conosciuto ai più è, invece, il Darwin geologo. Eppure, se ci fu una formazione ricevuta dal giovane naturalista alla vigilia del suo viaggio intorno al modo, quella fu proprio una formazione sulle scienze della Terra, molto più che su temi di biologia o zoologia. Inoltre, furono proprio alcune osservazioni sulla geologia dei luoghi e sui fossili, di cui lo scienziato infarciva i propri appunti, a scatenare in lui i primi ragionamenti sulla storia della vita sulla Terra.
In effetti, la paleontologia è una disciplina chiave per la lettura dell’albero evolutivo della vita: Darwin citò spesso fossili da lui trovati nelle località visitate durante il suo viaggio intorno al mondo e, con grande lucidità, discusse i suoi rinvenimenti precorrendo molti concetti oggi ovvi per un paleontologo.
L’osservazione dell'ambiente e delle comunità biologiche gli fu essenziale per ipotizzare il comportamento di organismi fossili, per individuare siti adatti alla fossilizzazione e per stabilire se un fossile trovato in una roccia fosse vissuto nell’ambiente in cui questa si era formata.
Sul suo diario, ad esempio, Darwin descrisse il rinvenimento sul BeagleBeagle di una polvere impalpabile a Porto Praia, nelle Isole di Capo Verde: Beagle in questa riconobbe dei microrganismi silicei, provenienti da ambienti d’acqua dolce africani, che a suo avviso, erano arrivati fin lì viaggiando in atmosfera, trasportati dal vento. Quest’osservazione molto acuta e originale per l'epoca, corrisponde oggi a una normale routine per quanti ricostruiscano gli ambienti del passato attraverso lo studio del contenuto fossilifero delle rocce e debbono distinguere le forme in posto da quelle trasportate. Lo studio dei fossili avvinse Darwin: in diverse località incontrò testimonianze di animali già a quel tempo estinti. Come la gigantesca fauna di Punta Alta, presso Bahia Blanca in Argentina di cui facevano parte anche il genere Megatherium, antenato dell’attuale bradipo, ma di dimensioni molto maggiori, vissuto in quelle zone nel corso del Pleistocene, Macrauchenia e Toxodon.
Darwin osservò attentamente che molti di questi resti di animali terricoli si trovavano alcuni metri sopra il limite dell’alta marea, ne dedusse quindi che il terreno, nel tempo, si fosse sollevato.
Probabilmente scartò l'ipotesi contraria, cioè che fosse stato il livello del mare ad abbassarsi, dopo aver osservato che le conchiglie, che si trovavano assieme ai resti dei mammiferi, rivelavano un clima più caldo di quello presente ai suoi giorni: la maggiore temperatura avrebbe dovuto favorire la fusione dei ghiacci e un conseguente aumento del livello medio marino, piuttosto che una sua diminuzione. Darwin confrontò le morfologie scheletriche di diversi vertebrati. Seguendo gli studi dei paleontologi e tenendo conto degli esploratori contemporanei, immaginò scenari di ambienti sudamericani nel Pleistocene simili a quelli che anche oggi caratterizzano l’Africa, dominati da aperte pianure arboree. Questi radi alberi erano la principale fonte di cibo per i giganteschi mammiferi terricoli che, o ne abbattevano i fusti con la forza di arti e artigli come Megatherium, oppure, come Mylodon, ne raggiungevano la chioma grazie ai loro lunghi colli e lingue, simili a quelli delle moderne giraffe.
Darwin fu colpito anche dal solo dente ricurvo di un cavallo rinvenuto in uno strato del Pleistocene della pampa tra Buenos Aires e Santa Fé, in Argentina: questo dente consentì al paleontologo inglese Richard Owen di istituire la specie Equus curvidens, un cavallo che vissuto in Sud America, poi estinto e sostituito molto tempo dopo dai cavalli importati dai coloni spagnoli.
“Estinzione” fu dunque un termine che Darwin citò spesso: ai suoi giorni la paleontologia stava muovendo i primi passi come scienza moderna. Proprio per questo Darwin non poteva sperare di attingere da essa robuste prove a favore della sua teoria. I rinvenimenti fossili sono già di per sé eccezionali e spesso non riescono a soddisfare il ritmo graduale che l’evoluzione di Darwin richiedeva. La mancanza di anelli di congiunzione è troppo frequente in paleontologia: a maggior ragione in un momento in cui lo studio dei fossili era ancora giovane e aveva bisogno di maturare. Se Darwin fosse uno scienziato dei nostri giorni, a distanza di 150 anni, vedrebbe che la paleontologia, per lui tanto affascinante, è oggi in grado di scandire la storia della Terra registrando eventi biologici sia locali che globali. In particolare attraverso questi ultimi è stato possibile stabilire dei momenti fondamentali dell'evoluzione biologica: le cosiddette estinzioni in massa.
Se avesse potuto viaggiare nel tempo, Darwin avrebbe sicuramente voluto assistere all'estinzione del Cretacico-Paleocene, circa 65 milioni di anni fa, che segnò la scomparsa del 75% delle specie allora viventi. Tra le vittime più illustri vi furono i dinosauri, le ammoniti, le belemniti, le rudiste. Alcune specie approfittarono delle nicchie ecologiche rimaste vacanti: tra i vertebrati, ad esempio, iniziarono a dominare uccelli e mammiferi. L’estinzione del Triassico-Giurassico, invece, circa 205 milioni di anni fa, registrò la scomparsa del 48 % dei generi allora viventi. Ridusse drasticamente la gran parte dei rettili, tra cui arcosauri e terapsidi, e degli anfibi. Iniziò il grande dominio dei dinosauri.
Darwin avrebbe conosciuto anche la maggior estinzione in massa mai registrate sulla Terra: l’estinzione del limite Permico-Triassico, circa 251 milioni di anni fa, vide la scomparsa del 96% delle specie marine e del 70% delle specie terrestri allora viventi. Tra le specie marine si estinsero trilobiti, tetracoralli e diversi brachiopodi, crinoidi e foraminiferi, tra cui le fusuline; tra le forme terrestri sparirono i rettili simili a mammiferi, alcuni anfibi, insetti e numerose piante (licopodi, equiseti, gimnosperme).
L’estinzione di fine Devoniano, circa 360-375 milioni di anni fa, fu caratterizzata dalla fine di quasi il 70% delle specie esistenti, tra cui trilobiti, graptoliti, scorpioni di mare e pesci corazzati.
Ma soprattutto Darwin sarebbe attento spettatore di una possibile futura crisi biologica da alcuni indicata come la “sesta estinzione di massa”.
Secondo la lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), oggi il 21% dei mammiferi conosciuti è a rischio di estinzione. Una minaccia che riguarda anche il 30% degli anfibi, il 12% degli uccelli e oltre il 28% dei rettili, il 37% dei pesci d'acqua dolce, il 70% delle piante e il 35% degli invertebrati.
Come si può intuire, la gran parte delle specie in pericolo sono spesso visibili a occhio nudo. Basta osservare un panorama e, seguendo questo drammatico annuncio, una buona percentuale delle forme viventi potrebbe essere scomparsa a breve tempo, malgrado la maggiore attenzione che alcune nazioni e associazioni dedicano alla tutela dell’ambiente. Ma accanto alle specie più visibili, ve ne sono altre meno appariscenti ma non meno importanti. Quante forme microscopiche sono oggi a rischio? Non si deve dimenticare che ogni ambiente si regge su un equilibrio dove le singole specie, dalla microscopica a quella di grandi dimensioni, fanno parte di una catena, se interrotta per la scomparsa anche di una sola forma, potrebbe provocare serie crisi non solo locali ma, più in generale, globali.

Impronte di foglie sulla pietra
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