Approfondimenti

Antartide laboratorio dell'evoluzione climatica

Pinguini in Antartide Rimasto pressoché immutato per milioni di anni, il continente antartico conserva testimonianze intatte dei meccanismi naturali e delle variazioni climatiche del passato, argomento di studio della paleoclimatologia. Questa scienza utilizza le informazioni climatiche preservate in diversi “archivi naturali”, quali ad esempio Carota di sedimentosedimenti marini e Varve lacustrilacustri , Coralli (www.flickr.com)coralli , Fossilifossili , Anelli di accrescimento degli alberianelli d'accrescimento , Speleotemispeleotemi (stalattiti e stalagmiti) e Carota di ghiaccioghiaccio , per analizzare le componenti che hanno influito sul clima del passato (distinguendo tra le naturali e le antropiche) e comprendere meglio quello attuale.
E proprio sul ghiaccio, in particolare quello polare, vengono svolti degli importantissimi studi per la comprensione del sistema Terra. Le Calotta polarecalotte polari consistono di strati di neve che lentamente si compatta sotto il proprio peso: con l'aumentare della profondità la neve viene trasformata prima in firn (neve parzialmente compattata, un tipo di neve che è stata lasciata dalle passate stagioni e si è cristallizzata in una struttura più densa; si tratta di ghiaccio che si trova in una fase intermedia tra la neve granulare ed il ghiaccio glaciale) e successivamente in ghiaccio. Al centro della calotta, quindi, gli strati più profondi sono quelli più antichi e in prossimità del fondo roccioso possono raggiungere l'ordine di centinaia di migliaia di anni. Questi ghiacci antichissimi conservano al loro interno polveri, aerosol, isotopi, bolle d'aria e qualunque altra particella si trovasse nell'atmosfera al momento della loro formazione. Perforandone gli strati, con l'ausilio di particolari strumenti, si possono estrarre campioni di ghiaccio cilindrici, detti in gergo Carota di ghiaccio"carote" , del diametro di 10 cm e lunghi diversi metri. Stazione di Dome Concordia sul plateau antartico I dati che si possono ricavare dall'analisi di queste carote sono indicativi delle diverse componenti del sistema climatico, e la lettura delle loro variazioni nel tempo permette di ricostruire il Componenti del sistema climatico terrestreclima del passato . Attraverso confronti con dati paleoclimatici di altre regioni terrestri è possibile stabilire un'età per i singoli strati delle carote, la quale viene espressa in migliaia di anni BP (before present). Nella base scientifica italo-francese Concordia, nell'ambito del progetto europeo EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica) è stata portata a termine, nel dicembre 2004, una Fine del carotaggio alla Stazione di Dome Concordia sul plateau antarticoperforazione che ha raggiunto la profondità di 3.270,2 m, poco al di sopra del substrato roccioso: questa Perforazione a Dome Ccarota , denominata BP 1950 AD, rappresenta la più antica documentazione delle Bilancio energetico sole-terra(wikipedia free)variazioni climatiche mai ottenute da perforazioni nel ghiaccio.
Nello studio delle carote glaciali uno dei parametri più utili per la comprensione dei mutamenti climatici è la presenza di alcuni gas serra, principalmente metano (CH4) e anidride carbonica (CO2). La concentrazione di questi gas varia in relazione alla temperatura, che ne determina la solubilità nei fluidi: durante i periodi glaciali, Variazioni di alcuni gas serra presenti nell’atmosfera terrestre dalle indagini effettuate dalle carote di ghiacciofreddi , la loro concentrazione è minore rispetto a quella dei periodi interglaciali, Variazioni di alcuni gas serra presenti nell’atmosfera terrestre dalle indagini effettuate dalle carote di ghiacciocaldi . Poiché la quantità di gas e particelle presenti nell'atmosfera regola l'assorbimento o la riflessione dell'energia che il nostro pianeta riceve dal Sole, la sua oscillazione può portare variazioni climatiche su scala globale. Ma l'intensità della radiazione che riceviamo, e di conseguenza la temperatura del pianeta, possono dipendere da molti altri parametri naturali, per esempio quelli astronomici: i Cicli astronomici di Milankovikmoti periodici di rotazione e rivoluzione terrestre che producono l’alternanza del giorno e della notte e delle stagioni, oppure l'attività irregolare del Sole. Studi recenti, inoltre, hanno registrato un aumento diffuso della temperatura in tutto il Sistema Solare, con valori che oscillano da 0,7 °C per la Terra fino a 2 °C (in 15 anni) per Tritone, satellite di Nettuno. Secondo queste proiezioni, in 20 anni la temperatura di Marte sarebbe aumentata di 0,6 °C mentre quella di Plutone di 1,9 °C in 14 anni Temperatura dei pianeti/satelliti del nostro sistema solare. Tutti i fattori sopra indicati hanno fatto parte della storia e dell'equilibrio climatico della Terra fin dalla sua origine: quello che costituisce una fonte di preoccupazione di fronte alle variazioni di temperatura su scala globale che si vanno registrando negli ultimi anni, è piuttosto la rapidità con cui queste si verificano, che oggi risulta essere molto più alta di un tempo.
Tutti gli studi climatologici, evidenziano che la Temperatura media terrestre negli ultimi 100 anni (NASA/Earth Observatory/Robert Simmon)temperatura media terrestre è aumentata a livello globale di quasi 0,7 °C solo negli ultimi 150 anni, il che costituisce un incremento considerevole in un tempo geologicamente così breve.
Una delle conseguenze più gravi cui potrebbe andare incontro il nostro pianeta a causa di questo riscaldamento è quella della Siccità (http://www.flickr.com)mancanza di acqua : nell’Algarve in Portogallo, per esempio, intere aree un tempo coltivabili sono ormai ridotte a zone semidesertiche e una situazione simile, per le sue caratteristiche idrogeologiche, potrebbe presto riscontrarsi in alcune zone d'Italia come la Basilicata. Paradossalmente, in altre zone della Terra potrebbe verificarsi, invece, l’aumento di Alluvioni (http://www.flickr.com)alluvioni e di fenomeni estremi come El Niño, con piogge che cadono ininterrottamente per centinaia di giorni a seguito di lunghi periodi di siccità. Ancora più grave, però, sarebbe la fusione dei ghiacci antartici, altro possibile e temibile effetto dell'aumento di temperatura, con conseguente innalzamento del livello del mare di circa 5 metri, che Variazioni delle coste italiane a causa dell’innalzamento del livello marino.sommergerebbe tutte le principali città costiere del pianeta.
Molti studi dimostrano che le cause dei recenti cambiamenti climatici della Terra sono da ricercarsi principalmente in quelle attività umane che alterano la composizione chimica dell ’atmosfera: la crescita della popolazione, l’allevamento e l'agricoltura intensivi, l’utilizzo dei combustibili fossili, l’industrializzazione e la deforestazione sono solo alcune delle più importanti cause di queste variazioni. Non potendo combattere contro la naturale evoluzione degli eventi, ma senza negare una certa responsabilità antropica, possiamo promuovere una serie di azioni volte a ridurre l'impatto dell'uomo sui mutamenti climatici: prima di tutte l’educazione ambientale, quindi la tutela dell’ambiente e della salute, il controllo e l’attenuazione dell’inquinamento atmosferico e delle acque e, non ultima, una http://www.flickr.com foto di Gosia Malochlebcorretta gestione delle risorse idriche . Il nostro destino e quello del clima del pianeta dipenderà dal tipo di sviluppo che ci proponiamo, se orientato verso una pura crescita economica oppure verso un coscienzioso http://www.flickr.com foto di Beverly & Packrispetto dell'ambiente .

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L'antropizzazione come minaccia

La diversità biologica del pianeta sta rapidamente diminuendo come conseguenza diretta o indiretta delle attività umane. Si stima più o meno una perdita annuale di specie pari allo 0,5% del totale. Un numero sconosciuto ma molto elevato di specie è già andato incontro a estinzione, mentre molte altre specie hanno subito una riduzione e un impoverimento nella dimensione delle popolazioni. La dimensione del problema è enorme ed è stata definita come “sesta estinzione”, poiché la sua entità è confrontabile con quella altre delle altre cinque maggiori estinzioni di massa documentate negli strati geologici. L’estinzione costituisce una fase naturale del processo evolutivo, in quanto le specie persistono tipicamente per circa 5-10 milioni di anni. Quando le estinzioni sono bilanciate dall’origine di nuove specie (speciazione), la biodiversità può essere mantenuta.
La perdita di specie attualmente sta seguendo un tasso che supera di gran lunga quello di nascita di nuove specie e, al contrario delle precedenti estinzioni di massa, questo fenomeno è principalmente dovuto all’attività umana. Le specie, infatti, non hanno il tempo di rispondere adeguatamente ai fattori di minaccia.
I principali fattori di minaccia alla biodiversità attuale sono perlopiù di carattere antropico e in particolare sono: l'accelerazione della crescita demografica, l'aumento del livello di benessere delle popolazioni e il conseguente aumento dell’utilizzo delle risorse naturali (per costruire case, strade, fabbriche, ecc), la distruzione e la perdita degli habitat, l'introduzione di specie esotiche e l'inquinamento (industrie, scarichi civili, agricoltura …).
L’aumento della pressione sull’ambiente deriva direttamente dalla crescita demografica mondiale, associata al rapido sviluppo delle tecnologie, che permettono di sfruttare le risorse del pianeta su una scala mai conosciuta prima. Dalle origini della nostra specie, questa è la terza esplosione demografica, caratterizzata dalla crescita esponenziale della popolazione nelle regioni meno sviluppate. Secondo le previsioni ONU, la popolazione mondiale potrebbe stabilizzarsi, durante il XXI secolo, tra gli 8 e i 14 miliardi di individui.
Una delle principali minacce per la sopravvivenza di molte specie è l'alterazione, la perdita e frammentazione degli habitat, causata dai profondi cambiamenti del territorio condotti a opera dell'uomo come conseguenza della crescita della popolazione, dello sviluppo industriale, dell'estensione della rete dei trasporti, dell'industrializzazione e dell'agricoltura.
Nell'ultimo secolo i maggiori cambiamenti dell'uso del suolo hanno riguardato l'aumento delle superfici per l'agricoltura e per l'allevamento, lo sviluppo delle aree urbane e commerciali, il massiccio disboscamento, l'ampliamento delle reti stradali e delle relative infrastrutture e la costruzione di impianti per le attività ricreative e sportive. In seguito a queste trasformazioni, gli ambienti naturali vengono distrutti, alterati e parcellizzati, causando la perdita e la frammentazione degli habitat.
La frammentazione è il processo di divisione di un territorio in aree più piccole tra loro parzialmente connesse o totalmente isolate, così che gli habitat adatti a una specie risultino distribuiti sul territorio a macchie. La frammentazione può essere dovuta sia alla perdita di habitat originari a causa di fenomeni naturali, sia alla realizzazione di barriere fisiche da parte dell’uomo (campi coltivati, strade, ferrovie, aeroporti, linee elettriche, dighe ecc.) che impediscono il libero spostamento degli organismi. Il fenomeno ha importanti ripercussioni non solo sull’habitat, ma anche sulla biodiversità: una popolazione distribuita su tutto un territorio può essere, infatti, suddivisa in popolazioni più piccole in scarso contatto fra loro, ciascuna occupante un solo frammento. Essendo di piccole dimensioni, queste popolazioni sono più vulnerabili alle fluttuazioni climatiche naturali, ai fattori di disturbo antropico e a possibili epidemie. Inoltre, l'habitat di ciascuna specie risulta maggiormente a contatto con quello di altre specie: ciò favorisce l'aumento dei tassi di predazione e di competizione tra specie diverse. Un'altra delle principali cause della perdita di biodiversità è l’introduzione di specie esotiche, ossia non native di una certa area geografica. Questo fenomeno è attualmente sempre più diffuso e in costante aumento a causa dell’incremento delle attività antropiche come i trasporti ed il turismo. L' introduzione, intenzionale o no, di specie sconosciute in una nuova area può alterare velocemente l’ecosistema provocando gravi danni alle specie native o autoctone.
Alcune di queste specie, infatti, una volte liberate nell’ambiente, possono naturalizzarsi, cioè formare una popolazione stabile, e in alcuni casi diventare invasive, ossia espandersi notevolmente e diventare dannose. In questo modo le specie caratteristiche di quell’area avranno più difficoltà a sopravvivere poiché il loro habitat e le risorse alimentari saranno contese con le nuove specie esotiche.
Purtroppo i danni provocati dalle specie esotiche, soprattutto invasive, sono numerosi e di varia natura ma si possono riassumere in due categorie principali: socio-economiche e ambientali. Per quanto riguarda gli aspetti economici e sanitari il riscontro è immediato e di rilevanza sociale: riguarda per esempio erbe infestanti, danni a manufatti antropici (edifici, infrastrutture, monumenti e siti archeologici), intossicazioni di animali domestici o da compagnia e danni alla salute umana (piante allergeniche, velenose e causa di dermatiti). Tra le specie maggiormente impattanti si ricordano il riso crudo (Oryza sativa), l’ailanto (Ailanthus altissima), l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) e il Panace di Mantegazzi (Heracleum mantegazzianum). Ma anche i danni ambientali possono essere notevoli, comprendendo la competizione con le specie autoctone, con la conseguente riduzione di biodiversità e le modificazioni delle caratteristiche chimico-fisiche dei suoli e dei corpi d’acqua. Un'altra alterazione dell'ambiente, di origine antropica o naturale, è l'inquinamento che produce disagi o danni permanenti per la vita di una zona e che non è in equilibrio con i cicli naturali esistenti. Per questo motivo l’inquinamento può modificare in modo irreversibile gli ecosistemi e quindi ridurre la biodiversità. Benché esistano cause naturali che possono provocare alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, il termine si riferisce perlopiù alle attività antropiche. Generalmente si parla di inquinamento quando l'alterazione ambientale compromette l'ecosistema danneggiando una o più forme di vita. Allo stesso modo si considerano atti di inquinamento quelli commessi dall'uomo ma non quelli naturali (emissioni gassose naturali vulcanismo legate al vulcanesimo, aumento della salinità ecc.).
Scarichi industriali Tra le attività umane che maggiormente sono considerate fonti di inquinamento ambientale si possono citare: attività industriali, scarichi civili, attività agricole (impiego di insetticidi, pesticidi, diserbanti).
Considerando tutti gli agenti di alterazione ambientale di origine antropica fin qui presi in esame, è lecito chiedersi se sia possibile, in un prossimo futuro, che le specie possano adattarsi alle nuove condizioni ambientali in maniera indolore, scampando così all'estinzione. I meccanismi evolutivi di adattamento che rendono un individuo o una serie di individui più adatti a sopravvivere in un nuovo ambiente richiedono tempo. Ci sono organismi viventi, tra i più sensibili ai cambiamenti di temperatura, che fanno ipotizzare processi biologici più rapidi. In particolare alcuni molluschi come le patelle che, grazie alla sostituzione di un solo amminoacido che compone la struttura di una singola proteina, sono in grado di adattarsi alle diverse temperature. Un’evoluzione di questo genere può essere la chiave per reagire prontamente al cambiamento futuro del clima.
Il merito principale di queste osservazioni va a George Somero dell’Università di Stanford, che ha studiato i meccanismi di termoregolazione di alcune specie di molluschi del genere Lottia, in grado di adattarsi a vivere in ambienti e temperature differenti. La domanda di fondo è se un simile semplicissimo meccanismo di adattamento genetico sia possibile anche in altre specie, oltre che in questo tipo di molluschi. In tal caso potrebbe aprirsi una strada affinché possano evolversi organismi più resistenti al caldo. Le mutazioni genetiche sono un normale fenomeno evolutivo di adattamento all’ambiente. L’eccezionalità sta nel fatto che, almeno per alcune specie analizzate, ciò è avvenuto in tempi rapidissimi. Se ne potrebbe dedurre che un simile meccanismo adattativo non sia frutto di mutazioni casuali, bensì di mutazioni specifiche, mirate ed ereditabili. Tanto più che esempi analoghi non mancano neppure tra gli organismi più complessi. Ci sono insetti (soprattutto zanzare e moscerini) che stanno modificando il loro patrimonio genetico ogni 5 anni, ma anche gli scoiattoli, ogni 10 anni, e alcuni uccelli, come le cince, ogni 30. È una questione di vita o di morte: o ci si adatta rapidamente o altrettanto rapidamente si soccombe.
Due ricercatori dell’Università dell’Oregon, William Bradshaw e Christina Holzapfel, hanno pubblicato una ricerca che dimostra come i cambiamenti climatici di questi ultimi 40 anni abbiano già indotto mutazioni genetiche e morfologiche importanti, proprio perché avvenute in tempi brevissimi su scala evolutiva. I due scienziati avevano notato che molte specie animali per adattarsi ai cambiamenti del clima, avevano modificato abitudini di vita e comportamenti, estendendo il loro ambiente verso le zone polari, oppure riproducendosi in anticipo nella stagione primaverile. Ma studiando più a fondo il problema hanno scoperto che all’origine di quelle che sembravano semplici modalità di adattamento comportamentale, c’erano modifiche genetiche ereditarie per adattarsi e rendere più adatti i propri discendenti a un clima e un ambiente diverso da quello dei progenitori.
Lo scoiattolo rosso del Canada, per esempio, si riproduce in anticipo per adattarsi alla sua fonte di nutrimento: con i cambiamenti del clima, le pigne degli abeti e delle altre conifere, sua principale fonte di cibo, sono infatti disponibili in anticipo, in primavera. Ugualmente la celastrina (Celastrina argiolus) compare precocemente in Gran Bretagna con l’arrivo della primavera. Anche la cincia ha mutato le sue capacità riproduttive, deponendo in anticipo le uova e covandole prima per far coincidere il periodo di schiusa con la massima abbondanza di vermi e bruchi di cui si nutre. Vermi e bruchi, con il cambiamento climatico, hanno anticipato a loro volta la riproduzione in primavera. Gli insetti di Nord America, Europa e Australia si sono già adattati: i moscerini della frutta si riproducono prima perché la frutta matura precocemente, mentre le zanzare si sono adeguate al diverso contesto climatico per garantire successo ai ritmi larvali.
Le variazioni del clima influenzano tutte le specie viventi, e là dove le specie non hanno la capacità di elaborare informazioni e di decidere azioni in maniera consapevole, non resta che rispondere istintivamente a questi cambiamenti. La risposta forse più evidente è quella della migrazione da zone divenute inospitali. Ma per molte specie ciò risulta difficile e allora non resta che cercare di adattarsi sfruttando la capacità di cambiare i propri comportamenti, come le abitudini alimentari e i cicli del letargo.

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L'antropizzazione come risorsa

Non c'è alcun dubbio che la civiltà umana abbia portato un impatto negativo sulla biodiversità, in particolare a partire dalla rivoluzione industriale. Il sovra-sfruttamento e la caccia, la distruzione degli habitat, attraverso l'agricoltura e la dispersione urbana, l'uso di erbicidi e pesticidi e il rilascio di altri composti tossici nell'ambiente hanno preteso il loro tributo, a scapito di tutte le specie viventi, in particolare dei vertebrati. L'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) nel 2006 includeva più di 16.000 voci nella sua Lista Rossa delle specie minacciate: 5.624 vertebrati, 2.101 invertebrati e 8.390 piante. Il numero delle estinzioni documentate fin dal 1500 è attualmente di 784 specie e la IUCN ha stimato che oggi i tassi di estinzione sono da 50 a 500 volte superiori rispetto al passato, in base ai calcoli ottenuti dai reperti fossili.
Nel contempo, però, molte specie animali e vegetali si sono adattate con successo alle nuove sollecitazioni, alle fonti di cibo, ai predatori e alle minacce degli ambienti urbani ed extraurbani, e prosperano in prossimità della civiltà umana. Il loro successo fornisce ai ricercatori preziose e talvolta inaspettate intuizioni dei processi evolutivi e selettivi. Dato che questi adattamenti hanno dovuto essere rapidi, le città sono laboratori ideali per studiare la selezione naturale.
Lo studio di adattamento agli habitat umani fornisce anche informazioni di vitale importanza per gli sforzi di conservazione delle specie e contribuisce ad ammorbidire l'impatto ambientale di parchi commerciali, abitazioni, strade e corsi d'acqua. In realtà, questo tipo di costruzioni possono anche rinforzare la biodiversità e spingere le specie alla colonizzazione di aree urbane attraverso la creazione di corridoi ecologici e reti per aggirare gli ostacoli, fornendo così l'accesso agli habitat favorevoli. Piccoli mammiferi, per esempio, possono attraversare le principali strade e ferrovie utilizzando percorsi dedicati che vengono costruiti all'interno di gallerie o ponti esistenti. Inoltre, l'urbanizzazione non esclude lo sviluppo di habitat ricchi di vita, che anziché essere confinata in aree remote e parchi naturali, possono trovare sviluppo anche in aree densamente popolate. In diversi casi, infatti, i parchi commerciali possono avere un valore per la biodiversità, come risulta in un recente studio di 25 siti simili in tutto i Paesi Bassi, dove sono state identificate 90 specie di uccelli, tra cui 18 che sono elencate come in pericolo di estinzione da organismi nazionali o dalla IUCN (International Union for Conservation of Nature). I parchi industriali e commerciali tendono a essere situati in periferia, o talvolta nel centro delle città, e hanno tre caratteristiche di rilievo: spazi aperti che possono essere utilizzati per lo sviluppo della vegetazione e della fauna, edifici con grandi tetti piani che possono essere trasformati in aree verdi e usati, per esempio, per la nidificazione degli uccelli, la tendenza ad essere tranquilli e senza disturbi nelle ore di buio, fornendo quindi aree adatte per gli animali notturni.
Tali situazioni non si limitano esclusivamente alle attività aziendali e commerciali. I tetti verdi stanno rapidamente prendendo piede in diverse città europee, in particolare in Germania e Regno Unito. Uno studio britannico sui tetti di Londra ha evidenziato una vasta collezione di ragni, scarafaggi, vespe, formiche e api, il 10% dei quali sono stati designati come rare dalla agenzia britannica Natural England. Tetti e altri spazi verdi costituiscono reti ecologiche all'interno delle città che forniscono a uccelli e insetti, così come ad alcune piante, un ecosistema flessibile su una superficie relativamente modesta rispetto a quella totale di una città. Gli edifici verdi possono anche essere importanti all’interno delle città attenuando l'impatto delle barriere, come strade e ferrovie, per il movimento di animali e la dispersione delle piante.
Le specie di uccelli sono le più studiate con l'intento di conoscere le capacità degli animali di adattarsi agli habitat urbani. I contesti urbani offrono pressioni selettive diverse rispetto a quelle presenti negli habitat selvatici: obbligano prossimità con gli esseri umani così come con specie antagoniste, predatori e prede, ma possono anche ridurre le minacce e creare le condizioni significativamente migliori, grazie all’effettiva presenza di accesso al cibo già pronto (resti e rifiuti dell’uomo), e isolamento o riparo dalle variazioni stagionali e dalle condizioni climatiche avverse. Il ruolo della città come moderatrice e riparo dalle forze della natura e dai cambiamenti climatici si riflette, per esempio, nella scoperta che in Nord Europa il numero di uccelli negli ambienti urbani non diminuisce al mutare della stagione, come invece avviene negli ambienti selvatici. Ma per gli “animali di città” compaiono nel contempo nuove sfide. Per le specie che si basano su emissione di suoni per comunicare o eseguire strategie di accoppiamento, l'inquinamento acustico rappresenta un problema. Studi approfonditi sugli uccelli canori mostrano quante specie viventi in ambiente cittadino si sono adattate, regolando vari aspetti della loro frequenza spettrale sonora per superare il rumore residuo derivato, per esempio, dal traffico. Specie con un'ampia gamma di frequenza sonora sembrano essere in grado di adattarsi meglio alle condizioni del rumore tipico delle città, ugualmente specie con frequenze sonore inferiori non sono presenti. Naturalmente, gli esseri umani non rappresentano l'unica fonte di rumore, e le specie maggiormente in grado di adattarsi alle città potrebbero essere quelle che hanno dovuto competere con i suoni dei loro concorrenti in ambienti naturali ricchi di sonorità derivate da insetti, o disturbi sonori provenienti da altri animali, dal vento o dall’acqua. Ciò solleva la questione di come si sia verificato l'adattamento ad un contesto urbano, se abbia richiesto la selezione di individui con geni specifici all'interno della popolazione complessiva, oppure sia avvenuta sfruttando le potenzialità e capacità già esistenti.
Nel caso degli uccelli, l’adattamento sembra essere legato a caratteristiche morfologiche e riflette la capacità di far fronte a un'ampia varietà di rumori nel loro ambiente naturale. Essi possono regolare l'ampiezza della loro canzone per superare il rumore di fondo di origine antropica. Tale rumore copre normalmente le frequenze più basse, ed è quindi sorprendente che nel cinguettio dei passeri, per esempio, è stato riscontrato l’aumento di frequenza delle note basse e la concentrazione di energia sulle note alte al fine di superare le interferenze sonore cittadine. Questi adattamenti sono di solito più forti negli individui maschi data l'importanza del canto per il corteggiamento.
Fino a poco tempo fa non vi era alcuna prova diretta di una risposta evolutiva all'urbanizzazione che coinvolgesse l'adattamento dal punto di vista genetico. Uno dei primi esempi ampiamente citati è offerto dal junco occhi scuri,una specie comune di passero presente in Nord America e in Europa, il cui adattamento alle aree urbane è stato accompagnato da una significativa diminuzione nella quantità di bianco nelle penne della coda. Il preciso meccanismo selettivo non è chiaro, ma è probabile che le code bianche si siano evolute in natura attraverso la selezione sessuale come un modo per distinguersi nel corteggiamento; tale motivazione sarebbe venuta meno in un ambiente urbano dove si ha una minore competizione tra gli individui.
Vi è un ulteriore prova di adattamento genetico tra gli uccelli, per esempio, una maggiore tolleranza allo stress per il rumore, l'inquinamento e la maggiore densità di popolazione, non solo degli esseri umani ma anche di competitori e predatori. Ricercatori del Max Planck Institute of Ornithology , in Germania, hanno misurato i livelli di corticosterone, un ormone steroideo liberato in risposta allo stress nei merli viventi nelle aree urbane e forestali. Gli uccelli urbani possedevano livelli significativamente più elevati rispetto agli uccelli delle foreste, suggerendo che la differenza era determinata da mutazioni genetiche nella specie. Un altro studio ha concluso che merli europei che vivono in città sono più sedentari dei loro fratelli selvatici. Tale adattamento genetico è probabilmente motivato dalle ridotte necessità per la migrazione.
Data la capacità di alcune specie di adattarsi ad habitat antropici, le ricerche si sono poste il problema se gli ambienti urbani possano offrire livelli più alti di diversità biologica. La risposta varia con la dimensione dell'organismo: gli ambienti urbani sono meno favorevoli a organismi e specie di taglia elevata, specie di taglia piccola tendono ad adattarsi e sopravvivere meglio in un contesto antropico. In generale, gli ambienti urbani più densamente popolati tendono a ridurre la diversità complessiva fra animali e piante di piccole dimensioni, anche se le specie che si adattano, come per esempio volpi e piccioni, possono presentare un’enorme proliferazione. Gli insediamenti umani tendono a ridurre la diversità, per diverse ragioni, per esempio tagliando le connessioni tra macchie di vegetazione, e attraverso attività industriali di produzione di piante o agricole che degradano e semplificano la copertura del terreno, omogeneizzando nel contempo la diversità vegetale; tutto ciò tende a ridurre la diversità tra gli insetti e gli animali che dipendono dalle piante per il cibo o il riparo.
Infine non si può dimenticare la stretta relazione che esiste tra i microorganismi batterici e le differenti specie vegetali e animali presenti nel tessuto urbano. Indubbiamente la loro diversità è difficile da studiare data l'enorme varietà esistente, ma anche in questo caso alcuni studi rivelano che l'impatto umano può essere significativo. Gli esseri umani, infatti, hanno creato nuove opportunità per la genesi di nuove specie, per esempio, all'interno delle fognature e nelle acque contaminate dagli scarichi e dai reflui urbani e agricoli, la cui futura evoluzione risulta oggi di difficile lettura.

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Approfondimenti

Selezione naturale

L'ecosistema a mangrovie è caratterizzato dalla presenza di piante prevalentemente legnose che si sviluppano sui litorali bassi delle coste marine tropicali, in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea. Il termine mangrovia viene talora impropriamente impiegato anche come nome comune di alcune singole specie vegetali più comuni o rappresentative di tale bioma. I principali fattori limitanti di questo ambiente sono le ampie fluttuazioni della salinità delle acque e l'ossigenazione del suolo. La vegetazione delle mangrovie si è dunque specializzata per potere sopportare e anzi utilizzare a proprio beneficio l'acqua salmastra delle lagune costiere, o salata del mare. Questa formazione vegetale è adattata anche per poter resistere in un ambiente spesso battuto dalle onde, periodicamente allagato dal ciclo delle maree e alla forte instabilità del suolo che ne consegue. Le foreste più lussureggianti si trovano nelle zone interessate da correnti di acqua dolce che confluiscono per infiltrazione o percolazione in mare (paludi o acquitrini costieri), oppure direttamente agli estuari dei fiumi.

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