Darwin e gli effetti dell'antropizzazione sull'ambiente

Ormai molti ecosistemi del nostro pianeta sono dominati direttamente dall’uomo e nessun ecosistema sulla
superficie terreste è privo della pervasiva influenza umana. La crescita della popolazione umana e l’incremento delle
risorse utilizzate per la sua sopravvivenza hanno come ricadute lo sviluppo di una serie diversificata di imprese quali
l’agricoltura, la pesca, l’industria e il commercio. Tali imprese, in particolare nel corso dell’ultimo secolo, hanno concorso
nel trasformare notevolmente la superficie della terra (coltivazioni, silvicoltura, urbanizzazione), nel modificare i grandi cicli
biogeochimici, aggiungendo e rimuovendo specie, anche tramite la selezione genetica, nella maggior parte degli ecosistemi
della Terra.
La trasformazione della Terra riassume una vasta gamma di attività antropiche che si diversificano per intensità e conseguenze.
Circa il 15% della superficie del nostro pianeta è occupato da colture agricole, urbane e da aree industriali, l'8% è invece
utilizzato per i pascoli. Quasi tutti gli ecosistemi sono inoltre influenzati dall’aumento in atmosfera dell’anidride carbonica e
la maggior parte hanno subito attività antropiche quali la caccia e l’estrazione di risorse minerarie e naturali. Le stime attuali
delle frazioni di terra trasformata o degradata dall’umanità espongono percentuali dell’ordine del 39-50%. Non bisogna inoltre
sottovalutare l’impatto globale delle trasformazione del territorio e la suddivisione e frammentazione dello stesso, che influisce
sulla composizione delle specie e sul funzionamento degli ecosistemi. Nel complesso, la trasformazione del territorio rappresenta
il primo motore nella perdita di diversità biologica in tutto il mondo. Inoltre, gli effetti di questo processo si estendono ben
oltre i confini della modificazione della superficie terrestre. L’alterazione del territorio può influenzare il clima direttamente
su scala locale e anche regionale.
Emissioni di CO2, incendi, concentrazioni crescenti di metano e gas serra possono alterare la
chimica della troposfera elevando le concentrazioni di monossido di carbonio nelle aree urbane e l’inquinamento atmosferico e
fotochimico nelle aree tropicali dell'Africa e del Sud America.
Le alterazioni antropiche degli ecosistemi marini sono di più difficile quantificazione ma il fatto che attualmente la popolazione
umana sia concentrata in prossimità
delle coste (circa il 60% entro i 100 km dal mare) indica l’incidenza rilevante dell’umanità sulla fascia costiera e sull’area maggiormente
produttiva degli oceani
costieri.; anche le aree umide a confine tra terra e mare hanno subito impatti importanti a causa dell’antropizzazione. Per esempio
è stato calcolato che circa il 50% degli ecosistemi a mangrovie, a livello globale, sono stati trasformati o distrutti dalle attività umane.
Recenti analisi hanno evidenziato come gli esseri umani utilizzino circa il 25% della produzione primaria degli oceani e che la pesca,
in particolare dei predatori marini, può determinare un’alterazione degli ecosistemi stessi, come è evidenziato dall’impoverimento
dei mari a causa dello sfruttamento incontrollato delle risorse. Tali dati sono supportati da fenomeni quali l’intensa fioritura di
alghe dannose nelle fasce costiere in grado di produrre sostanze nocive. Alcune di queste assumono una tipica colorazione rossa e
devono la loro fioritura eccessiva ai cambiamenti di temperatura delle acque e alla massiccia presenza di nutrienti derivati appunto
dalle attività antropiche, quali gli allevamenti intensivi o l'elevato impiego di concimi chimici dei terreni agricoli. Fioriture algali
possono determinare, inoltre, fenomeni di mancanza di ossigeno a danno della fauna acquatica, nonché portare all’avvelenamento e
alla paralisi di molluschi e crostacei.