2. Le statue poste nel IV sec. d.C. ad ornamento del Foro
2a.
Parte superiore di una base di statua in calcare di Aurisina [cm (36) x 104 x 90], della quale si conservano due frammenti solidali del coronamento modanato, cui si sovrappone, ricavato nel medesimo blocco, un plinto parallelepipedo [cm 89 x (80)], che fungeva da supporto per una statua, come si ricava dai tre fori circolari di diversa grandezza presenti sulla faccia superiore. Rinvenuta nella part. cat. n. 507/5 (erroneamente 507/8 in G. ALFÖLDY e 507/9 in Inscr.Aq.) del Comune di Aquileia, in occasione di alcuni sondaggi effettuati nel 1940 da G. Brusin nel settore occidentale del Foro. Si conserva nella Galleria Lapidaria del M.A. N. di Aquileia (Inv. n. 51441).
Bibl.: G. ALFÖLDY, Römische Statuen in Venetia et Histria,
Heidelberg 1984, p. 103, n. 103 (con errata lettura dell'inizio della seconda
riga, ma corretta datazione al IV sec. in base alla paleografia); L.BERTACCHI,
"AN" 60, 1989, c. 38 (cenno della scoperta del monumento, interpretato
come "coronamento di un'ara onoraria"); Inscr.Aq. 501 (con lettura
corretta, ma datazione errata, su base paleografica, al III sec. d.C.).
Sept(imius) Theodulus, v(ir) c(larissimus),
[cor]rec[tor], ornavit.
2 [tur]res (?) Alföldy.
Le due righe dell'iscrizione (alt. lett. cm 7 - 3,5) sono incise sul
plinto e sul listello liscio della cimasa nel IV sec. d.C., al momento
del reimpiego della base, databile tipologicamente al II sec. d.C. Le aste
e i bracci delle lettere, tracciate in modo poco accurato presentano apicature
pronunciate.
2b.
Base di statua in marmo, ricomposta da numerosi frammenti, tra cui due grossi blocchi iscritti combacianti (fr. a) che permettono di ricostruire la cimasa modanata, conservata in tutta la larghezza (cm 84), e la parte superiore del dado (largh. cm 72), con parte della cornice modanata dello specchio epigrafico su cui è incisa l'iscrizione HERCVLI (fr. a); due frammentini del dado tra loro combacianti (frr. b, c), con resti di lettere (rispettivamente TH e EO); un grosso blocco della parte centrale destra del dado con resto della cornice modanata (fr. d), solidale nella parte posteriore con il fr. a, su cui prosegue, con minima interruzione della continuità del campo di scrittura e perdita solo parziale della O e della D, l'iscrizione che inizia nei frr. b, c. La faccia superiore presenta le tracce dell1impronta del piede destro e del punto di appoggio della clava della statua di Hercules; il ritrovamento del blocco centrale anteriore dello zoccolo modanato ha permesso di ricostruire, salvo che per la profondità, le dimensioni complessive del monumento [cm 90 x 165 x (80)] - I frammenti sono stati rinvenuti ad Aquileia in occasione degli scavi effettuati nel 1994 e nel 1995 dalla Soprintendenza nel settore occidentale del Foro. La base, ricostruita, si conserva nella Galleria Lapidaria del M. A.N. di Aquileia.
Fr. a: inedito; frr. b+c+d: "AN", 65, 1994, c. 330, fig. 1
Fr. a
Herculi
Frr. b+c+d:
[---] Theodulus [--- c]orr[ector] ornavit.
Le scritte sono state incise rispettivamente sul listello superiore della cornice dello specchio epigrafico (fr. a) e sullo specchio stesso (frr. b+c+d), ribassato al momento del reimpiego della base, databile tipologicamente al II sec. d.C. Le lettere, piccole nella scritta sul listello (cm 3,2) e grandi a sviluppo verticale nella scritta sullo specchio epigrafico (cm 7), sono tipiche del IV secolo (si noti in particolare la A con traversa spezzata, in nesso con V).
Già il Brusin riconobbe nel dedicante un corrector della Venetia et Histria, che ritenne però attestato qui per la prima volta (G. BRUSIN, ad Inscr.Aq. 501). In realtà il personaggio va identificato con quel Septimius Theodulus, corrector Venetiae et Histriae, exac(tor), fino ad ora ritenuto vir perfectissimus (PLRE I, s.v. Septimius Theodulus; da ultimo G.A. CECCONI, Governo imperiale e élites dirigenti nell'Italia tardoantica. Problemi di storia politico-amministrativa (270-476 d.C.), Como 1994 (= Biblioteca di Athenaeum 24), p. 28, p. 32 e pp. 34-35), che fece incidere il suo nome, accompagnato dal monogramma A * w, su un calice bronzeo rinvenuto alla metà dell'800 nel Reno a sud di Strasburgo - l'antica Argentorate - (CIL, XIII 10027, 69; Diehl, ILCV 84). Ci troviamo di fronte, dunque, come è stato osservato (cfr. Ch. PIETRI, Une aristocratie provinciale et la mission chrétienne: l'exemple de la Venetia, "AAAd" 12, 1982, spec. p. 104), al primo governatore della Venetia et Histria per cui è attestata la professione della fede cristiana. Considerato che Theodulus porta ancora il titolo di corrector, sostituito in questa provincia da quello di consularis tra il 362 e il 368, e che risulta essere vir clarissimus, mentre a partire al più tardi dall'epoca di Giuliano (361-363), gli ultimi correctores sembrano essere stati scelti esclusivamente tra i perfectissimi (A. DEGRASSI, Un nuovo corrector Venetiae et Histriae, in "AMSI" 56, 1956, pp. 113-116 [= Scritti vari di antichità, II, 1962, pp. 973-976]; A. CHASTAGNOL, L'administration du diocèse italien au Bas-Empire, "Historia" 12, 1963, spec. p. 355; cfr. in generale G. CLEMENTE, Le carriere dei governatori della diocesi italiciana dal III al V secolo, "Latomus" 28, 1969, pp. 89-137) possiamo inserire le testimonianze che lo riguardano in un periodo anteriore, forse non di molto, al 361. Una conferma di questa datazione potrebbe venire dal ritrovamento del calice con la sua dedica in Renania: l'oggetto liturgico, infatti, frutto probabilmente di una razzia, potrebbe essere finito nel fiume in occasione delle operazioni condotte nel 356/7 da Giuliano Cesare contro gli Alamanni, che culminarono con la vittoria ottenuta sulle rive del Reno, a ventun miglia da Argentorate, e con la ritirata dei nemici vinti oltre il limes (cfr. Ammian., XVI, 12 (spec. § 5: rex Chonodomarius...civitates erutas multas vastavit et opulentas); per la diffusione del Cristianesimo nell1area renana cfr. W. ECK, Zur Christianisierung in den nordweslichen Provinzen des Imperium Romanum, in Die Stadt in Oberitalien und in der nordwestlichen Provinzen des Römischen Reiches, (Kolloquium, Köln 1989), Mainz 1991, pp. 251-261; per il ritrovamento nel Reno di oggetti frutto di razzie degli Alamanni in Gallia cfr. da ultimo E. KÜNZL (Hrsg.), Die Alamannenbeute aus dem Rhein bei Neupotz. Plünderungsgut aus dem römischen Gallien (= Monographien des Römisch-Germanisces Zentralmuseum, 34), 4 voll., Mainz 1993).
Fu senz'altro in occasione della permanenza ad Aquileia in qualità di governatore provinciale che Septimius Theodulus fece erigere le due statue. Dovendosi ovviamente escludere, vista la professione di fede cristiana del personaggio e considerato l'impiego del verbo ornare, che si tratti di dediche di statue votive, dobbiamo inserire le basi aquileiesi nella serie dei documenti che testimoniano il ripristino, come abbellimento di piazze e di edifici pubblici, delle statue delle divinità pagane (cfr. S. MAZZARINO, Tolleranza e intolleranza: la polemica sull1ara della Vittoria, in Antico, tardoantico ed era costantiniana, I, Bari 1974, pp. 339-377, spec. p. 360), che, in seguito alle confische dei beni dei templi (331) e alla chiusura dei templi stessi (341) e la proibizione dei sacrifici (346), venivano abbandonate in oblio in depositi e magazzini (cfr. C. LEPELLEY, Les cités de l'Afrique romaine au bas-empire, 1: Permanence d1une civilisation municipale, Paris 1979, pp. 343-344). Il fenomeno, che si manifesta massicciamente soprattutto nell1ultimo ventennio del IV secolo, è documentato saltuariamente già a partire dall'età costantiniana e rappresenta la prosecuzione di una delle forme in cui si estrinsecava l'amor civicus dei magistrati e dei funzionari imperiali nella fase di passaggio dall'Impero pagano all'Impero cristiano (cfr. A. GIARDINA, Amor civicus. Formule e immagini dell'evergetismo romano nella tradizione epigrafica, in La terza età dell'epigrafia (Coll. AIEGL Borghesi, Bologna, ott. 1986), Faenza 1988, pp. 67-85; H. BRANDEBURG, Die Umsetzung von Statuen in der Spätantike, in Migratio et commutatio. Studien zur alten Geschichte und deren Nachleben (= Festschrift Th. Pékary), St. Katharinen 1989, pp. 235-246). L'atteggiamento, condiviso anche dai notabili che abbracciano la fede cristiana (cfr. J. VAES, Christliche Wiederverwendung antiker Bauten. Ein Forschungsbericht, "AncSoc" 15-17, 1984-86, pp. 305-443), che possono manifestare anche con questo mezzo il loro lealismo verso le istituzioni patrie e il loro rispetto per le manifestazioni artistiche della cultura pagana, era verosimilmente caldeggiato dal potere centrale, come sembra doversi desumere dal gran numero di statue fatte erigere dai praefecti urbi, dai praefecti annonae, dai curatores, dai proconsoli, e soprattutto, come è il caso delle due basi aquileiesi, dai correctores e dai consulares, rappresentanti del potere imperiale nei distretti provinciali, e trova concordi, su opposti versanti e con diverse motivazioni, sia i difensori del paganesimo morente (Symm., Epist. I, 3 (4), éd. J.-P.CALLU, t. I, p. 67 (da Beneventum): Et urbs cum sit maxima, singuli eius optimates visi sunt mihi urbe maiores, amantissimi litterarum morumque mirabiles. Deos pars magna veneratur; privatam pecuniam pro civitatis ornatu certatim fatigant) sia gli scrittori cristiani (Prudent., Contra Symm. I, 501-505: Marmora tabenti respergine tincta lavate / o proceres ! Liceat statuas consistere puras, / artificum magnorum opera: haec pulcherrima nostrae / ornamenta fiant patriae, nec decolor usus / in vitium versae monumenta coinquinet artis).
C.Z.