1. Problemi di metodo per lo studio delle fonti antiche sull'Illirico
Raccogliendo e analizzando le fonti per la Liburnia antica mi sembra che oggi possiamo delineare almeno una parte delle difficoltà. Fin dall'inizio degli studi moderni sull'Illirico due tendenze godevano priorità: da una parte c'era la "Quellenforschung", dall'altra un'interpretazione storica che possiamo chiamare "prematura", perché fatta valorizzando i testi prima facie. Basti ricordare oggi le ben note difficoltà, differenze e equivoci nell'interpretazione dei famosi passi di Plinio dedicati alla Liburnia (Nat. hist. 3, 139-141): infatti, un approccio che supponga una coerenza dei dati come visti da un autore serio (come voleva presentarsi lo stesso Plinio), offre, com'è già stato dimostrato, i risultati che meglio corrispondono ai dati delle ricerche epigrafiche e archeologiche.
La natura dei testi antichi in questione è un po' particolare: ci sono rari i passi di storia narrativa, mentre i testi appartenenti alla descrizione (etno)geografica sono relativamente abbondanti e per certi tratti del litorale esaurienti. Queste fonti geografiche vanno dalla letteratura ellenistica seriore (riflessa nell'opera di Strabone) fino alla tarda antichità con la Tabula Peutingeriana, gli Itinerari e il Geografo Ravennate. Le ricerche della topografia storica, nonostante i risultati sporadici, hanno perduto importanza negli ultimi decenni. Invece non è difficile dimostrare che le analisi delle situazioni in un periodo determinato spesso rimangono insoddisfacenti per mancanza di ricerche topografiche o almeno perché l'aspetto topografico non è stato chiarito in modo sufficiente. La necessità di studiare priotariamente l'aspetto topografico storico è giustificabile perché i dati geografici hanno una certa consistenza controllabile sia per la loro natura, sia per la possibilità di verifica archeologica. Infatti le ricerche archeologiche negli ultimi anni, nonostante le circostanze tragiche della guerra, hanno progredito sensibilmente nella Dalmazia centrale e sono uno stimolo in più per le revisioni critiche. Finalmente, quello che abbiamo denominato "topografia storica" va inteso in un senso più largo, cioè come un modo di leggere e interpretare i dati tratti dalle nostre fonti con uno sguardo attento a tutte le indicazioni spaziali.
Nel quadro delle considerazioni esposte si inserisce una ricerca approfondita sulle fonti letterarie antiche e specialmente sul loro aspetto geografico-topografico, come parte del progetto intitolato "I Liburni ed i Dalmati marittimi tra il IV e il I secolo a. C.". Credo che siano utili come illustrazioni i due brevi cenni che seguono.
2. La descrizione pliniana della Damazia
La priorità dell'espressione promunturium Diomedis implica un elemento importante: questa denominazione faceva parte della geografia reale quale vista da Varrone nel I secolo a. C., mentre la nozione della penisola illica già apparteneva al passato. D'altra parte, secondo il criterio di verosomiglianza, il culto dell'eroe Diomede dovrebbe appartenere allo strato arcaico delle tracce greche nell'Adriatico. Inoltre, c'è la massima rilevanza del promontorio stesso come un punto della grande rotta marittima lungo l'Adriatico orientale.
Come spiegare questa "inversione" varroniana? Dopo gli scavi, condotti questo ottobre, siamo sicuri che su un terrazzo che domina il capo Ploca, oggi a 10 metri s. 1. m., c'era un piccolo santuario dedicato appunto all'eroe (dio) Diomede. In questa fase delle ricerche non è possibile identificare che pochissime tracce di terrazzamenti. Il capo è esposto alle tempeste e il sale accelera la corrosione del calcare che è di natura poco resistente. Da quanto possiamo vedere, dopo le analisi preliminari del materiale ceramico (oltre 40 chilogrammi di cocci estremamente frammentati) e delle monete, il santuario era frequentato tra gli inizi del III secolo a. C. ed il I secolo d. C., ma sembra che la decadenza cominciasse già durante la seconda metà del I secolo a. C. Dall'analisi dei reperti (varie ceramiche di epoca ellenistica e monete), risulta che i devoti provenivano dalle parti centrale e meridionale dell'Adriatico orientale e dall'Italia meridionale, ma ci sono anche vari indizi per altre zone del mondo ellenistico (Grecia, Egitto). I reperti più importanti sono numerosi graffiti (165). Sembra che quasi tutti portino lettere greche, ma un'analisi appropriata resta da fare. Il graffito TRITOS DIOMH[---] conferma direttamente il culto dell'eroe. Insomma, sembra che i reperti diano ragione all'interpretazione già proposta, cioè che Varrone, conoscendo il litorale illirico personalmente, menzionasse il promontorio di Diomede come un fenomeno attuale (e cospicuo), appartenente allo stato delle cose intorno alla metà del I secolo a. C. (nota 1). Possiamo così dire che si tratta di un caso-limite che verifica i dati del testo antico. Inoltre, se la fonte di Plinio avesse contenuto una descrizione per punti importanti lungo la costa allo stato attuale attorno alla metà del I secolo, sarebbero più sicure le analisi ulteriori del difficile passo pliniano relativo al distretto salonitano della provincia. Non è possibile in questa sede elaborare in modo più esteso i problemi e le difficoltà, tanto meno i vari sforzi per risolverli. Vorrei menzionare solo il vecchio e difficile problema dell'appartenenza etnica e politica della Salona preromana, un emporio importantissimo dell'epoca ellenistico-repubblicana, poi un caposaldo dei Romani organizzati come Conventus civium Romanorum, e finalmente la splendida capitale della provincia. Le analisi dei pochi testi rilevanti, insieme con i dati provvisti dalle iscrizioni e dalle ricerche archeologiche, erano forse troppo centrate sulla città stessa, trascurando i dati che almeno in parte illuminano le situazioni delle altre zone e degli altri centri della stessa area mediodalmata.
3. Il litorale illirico nell'iscrizione greca di Salona
Tra l'altro, la sequenza [---]DASTIN[---] si risolve come Iadastinoi, mentre nella riga precedente leggiamo Tragurinoi e quattro righe più in basso: [kolpou] tou Maniou. Per gli Iadastinoi della notissima iscrizione di Pharos (CIG, II 1837 c) Rendic-Miocevic cercava la collocazione entro l'area medio-dalmata, opponendosi alla tradizionale ipotesi di una loro appartenenza liburnica ( Iadastinoi ‚ Iader: Zadar / Zara). Il fatto che nell'iscrizione salonitana Iadastinoi sono menzionati nello stesso contesto col Manios kolpos e i Tragurinoi, aveva per l'illustre studioso grande importanza. Era almeno plausibile che i soggetti menzionati nel frammento appartessero ad un'area geograficamente molto ristretta: tra Tragurium (Trogir) e i dintorni di Salona. Tutto questo, naturalmente, a condizione che il golfo Manio davvero abbracciasse tutto lo specchio d'acqua mediodalmato, tra la penisola illica a Nord e la penisola di Peljesac a Sud, chiusa dall'alto mare dalle isole (Brac, Hvar ecc.), abbracciando dunque anche lo specchio del golfo di Kastela tra Trogir e Salona.
Il golfo Manio trae il suo nome dai Mavnioi, una tribù menzionata solo nel Periplo dello Pseudo Scilace (c. 22). Seguendo la stessa fonte, ma anche le altre, intorno a Salona abitavano i Boulinoiv, più a Sud-Est, intorno alla bassa Cetina i Nestoiv e dopo loro i Mavnioi, che abitavano la regione intorno al basso corso della Neretva. » logico supporre che il golfo derivasse il suo nome dal popolo che ci abitava, ma in questo caso, secondo l'opinione prevalente, il nome Manio ricopre uno vasto spazio del mare interno, lungo quasi tutta la costa mediodalmata. La tesi trova il suo unico sopporto nel testo dello stesso capitolo del Periplo (c. 22), dove è detto che tutte le isole nominate in seguito si trovano entro il golfo Manio. In altre parole, il golfo si stende dalla penisola illica fino alla Neretva e a Peljesac.
Ma questa è solo la lezione che parte da una congettura seicentesca (Salmasius); i manoscritti hanno en touto to topo , "in questa regione", e non en touto to kolpo , "in questo golfo". Già da tempo Suic ha dimostrato che il passo dove sono nominate le isole mediodalmate dovrebbe essere una interpolazione posteriore, che probabilmente riflette la descrizione di un autore ellenistico, forse Eratostene (nota 4).
Insomma, non esiste nessuna ragione per cercare il golfo Manio fuori del quadro geografico logico: questo non è altro che il golfo oggi denominato Neretvanski kanal (Canale di Neretva), lo specchio di mare compreso tra la penisola di Peljesac, la costa opposta con il delta della Neretva e l'isola di Hvar.
Risultato: il frammento A dell'iscrizione di Salona che menziona il golfo Manio comprendeva disposizioni il cui contenuto resta da indovinare, ma è certo che non si tratta di problemi locali; il testo si riferisce ad un territorio molto più vasto dell'area che va da Trogir a Salona, estendendosi fino al fiume Neretva e abbracciando una parte importante del litorale illirico. Dobbiamo perciò ammettere che l'apparizione del nome Iadastinoi nell'iscrizione salonitana non potrà più servire come argomento per la localizzazione degli Iadas(t)inoi nell'area salonitana. Oggi sembra più che probabile che questi Iadastinoi siano gli stessi Iadertini (da Iader, città liburnica), socii rimasti fedeli a Cesare durante la guerra del 49-47 a. C. (Bell. Alex. 42).
nota 3: Cfr. WILHELM, pp. 18 ss. e RENDIC-MIOCEVIC, pp. 67-81.