In the current jurisprudential debate, the
issue of conflicts of rights is a widely debated one. The present essay aims at
clarifying the main aspects of this ongoing debate, along the following lines:
firstly, an historical account of the problem of balancing conflicting rights
will be given, with an eye both to the American recent experience and to the
Italian one. Secondly, it will be discussed whether and under what
circumstances rights can conflict. Thirdly, after having acknowledged that
conflicts of rights are in fact unavoidable, it will be necessary to examine
the main technique of solving those conflicts: namely, the “weighing and balancing”
technique. The main suggestion that is intended to follow from the whole
discussion is that the technique of balancing involves for sure a certain (sometimes,
considerable) degree of interpretive discretion, but nonetheless – at least
under some circumstances -- it is not necessarily incompatible with legal
certainty and predictability of legal decisions. |
L’universo giuridico è
l’universo del press’a poco e del per lo più
(N. Bobbio,
1995)
Metaphors in
law are to be narrowly watched,
for starting
as devices to liberate thought, they end often by enslaving it
(B. Cardozo, 1926)
1. Introduzione
Da più di un decennio a questa
parte, anche i giuristi e teorici del diritto italiani hanno preso familiarità
con la problematica del bilanciamento giudiziale di diritti, principi o
interessi costituzionali. (1)
“Anche”, perché la tecnica
argomentativa giudiziale del bilanciamento era conosciuta e discussa già da
qualche tempo in altre culture giuridiche europee, come quella tedesca, e può
vantare una storia addirittura quasi centenaria nella cultura giuridica
nordamericana. Inoltre, come vedremo brevemente, la tematica del bilanciamento
si era già da qualche tempo affacciata all’attenzione dei giuristi italiani, ma
in campi non immediatamente confinanti con la tematica dei principi
costituzionali o dei diritti fondamentali.
Come è ormai noto, per
bilanciamento o ponderazione (2) si
intende una tecnica argomentativa il cui uso si rende necessario allorché la
questione da decidere non sia o non sembri direttamente regolata da una norma
giuridica univoca e precisa, e anzi sembri parimenti sussumibile
contemporaneamente sotto due o più norme: in altre parole, quando la premessa
maggiore del sillogismo giudiziale non contiene (o meglio, non contiene ancora)
una regola precisa e univoca da applicare in maniera sussuntiva al caso.
In simili casi, il giudice ha
davanti a sé una pluralità di norme tutte valide e rilevanti per il caso
da decidere, ovvero, guardando la stessa situazione da una prospettiva diversa,
una pluralità di interessi tutti giuridicamente rilevanti. Nell’assenza
di un criterio giuridico chiaro e predeterminato che assegni prevalenza in via
generale e astratta ad una delle due norme o interessi in conflitto, il giudice
dovrà scegliere quale norma o interesse ritenere “più” rilevante nel caso
concreto, e quindi prevalente rispetto agli altri o anche, se possibile, cercare
un contemperamento (un bilanciamento appunto) tra le norme o interessi in conflitto.
Tipicamente, come vedremo a
suo luogo, le circostanze appena descritte si verificano quando il concorso
conflittuale riguarda norme che hanno (cui è attribuita) la qualificazione di
principi, e specialmente principi “fondamentali”, che esprimono diritti a loro
volta fondamentali. Di conseguenza, dunque, la tecnica del bilanciamento è
ampiamente usata soprattutto dalle corti che “maneggiano” con maggior frequenza
diritti e principi fondamentali: corti costituzionali in primo luogo, ma anche
corti ordinarie nella misura in cui anche ad esse sia demandato (“formalmente”,
o per convenzione diffusa e accettata nella cultura giuridica) un controllo di
costituzionalità o l’applicazione diretta di diritti e principi costituzionali.
Il successo del bilanciamento,
sia nelle pratiche dei giuristi sia nei dibattiti teorici, può essere spiegato
con la sua natura bifronte, con la sua aspirazione a riempire lo spazio vuoto
che separa le due anime del diritto, le due aspirazioni del giurista: quella
sapienziale, (3) se non addirittura
“buonista”, che vorrebbe ancorare la decisione giuridica all’apprezzamento
quasi equitativo delle esigenze che emergono nel caso concreto, soppesando
volta per volte le ragioni e i torti; e quella formalistica, se non
legalistica, che aspira alla certezza del diritto e alla prevedibilità delle
decisioni giudiziali adottate sulla base di norme generali e astratte.
Ecco quindi che il
bilanciamento, apparentemente incompatibile con la razionalità deduttiva
propria del sillogismo giudiziale, cerca la sua legittimazione in altre forme
di razionalità “sostanziale” (la ricerca di un ordine oggettivo di valori), o
in forme di razionalità scientifica o aritmetica che assicurino la misurabilità
e la non arbitrarietà delle scelte di volta in volta adottate.
Mi propongo di tracciare una
mappa dei principali problemi teorici sollevati dalla pratica del bilanciamento
giudiziale tra diritti fondamentali. Una mappa non è una adiafora rilevazione
di una porzione di territorio, ma l’indicazione di un punto di partenza, di
possibili punti di arrivo, e una selezione di ciò che si può trovare nel
tragitto. Certamente ciò che una mappa può mostrare è che tra diversi percorsi astrattamente
praticabili, alcuni sono più agevoli e lineari di altri, mentre altri percorsi
possono condurre a terreni impervi e mal frequentati (hic sunt leones!),
o a vicoli ciechi.
L’impostazione di questo
saggio è tradizionale: esaminerò il contesto storico e culturale che ha visto
nascere e diffondersi la tecnica del bilanciamento nella giurisprudenza
nordamericana, e i fattori che ne hanno poi determinato la diffusione anche in
ordinamenti europei continentali, e in particolare nella cultura giuridica
italiana (§ 2.). Prenderò in considerazione il presupposto della tecnica del
bilanciamento, ossia una situazione di conflitto tra diritti fondamentali (§
3.), e quindi vedremo la tecnica del bilanciamento in azione (§ 4.); intendo mostrare
che il bilanciamento non è necessariamente una operazione guidata da soggettivi
e imperscrutabili giudizi di valore degli interpreti. Infine proverò a
suggerire qualche lezione che la vicenda del bilanciamento può offrire per la
teoria dei diritti e del ragionamento giuridico (§ 5.).
Il lettore non particolarmente
affascinato da sintetiche ricostruzioni di capitoli di storia della cultura
giuridica potrà agevolmente iniziare il percorso dal § 3. Non saranno inoltre
affrontate, o lo saranno solo marginalmente, alcune complesse questioni che
incidono in maniera più o meno diretta sulla tematica del conflitto e del
bilanciamento tra diritti, ad esempio nell’ambito della logica deontica, della
giustificazione razionale e del ragionamento pratico, (4) e delle teorie del diritto soggettivo e
dei diritti fondamentali. L’esame dettagliato di ciascuna di queste
problematiche richiederebbe altrettanti saggi.
Non so se un’indagine teorica
debba essere in grado di fornire soluzioni a tutti i problemi di cui si occupa:
di certo il suo compito è quello di chiarire la loro vera natura e, quando
possibile, di dissolverli. A volte una indagine teorica può anche mostrare che
un certo problema non ha, semplicemente, soluzione, o comunque che l’insorgere
di un certo tipo di problema sia inevitabile.
2. Lo sfondo culturale
2.1. Negli Stati
Uniti
Concepire la decisione
giudiziale come un bilanciamento, una ponderazione, una attenta valutazione
degli interessi in gioco è una costante di molti orientamenti culturali
variamente antiformalisti e “sociologici”, che prescrivono agli interpreti di ragionare
non sulla base di astratte norme o concetti giuridici, ma sulla base di
concreti interessi, da valutare – ed eventualmente ponderare – nel caso
concreto.(5) La più diretta genealogia del
bilanciamento (tra interessi, tra diritti, tra diritti e interessi) come
tecnica di decisione di controversie giudiziali si ritrova comunque nella
cultura giuridica statunitense all’inizio del secolo scorso, sotto l’influenza
culturale del realismo giuridico. Il realismo giuridico americano concepisce il
giurista come uno scienziato sociale o meglio ancora come un ingegnere sociale,
che censisce gli interessi presenti nella società, ne individua i conflitti, e
ne propone schemi di composizione. (6)
Negli anni ’30 e ’40 del XX
secolo il modello di giurista “tecnologico” e pragmatico proposto dal realismo
giuridico comincia a fare breccia in una cultura giuridica complessivamente
insoddisfatta dell’apparato logico e concettuale ereditato dal formalismo
concettualistico, e penetra anche nel modo di ragionare dei giudici della Corte
suprema. Le ragioni dell’attrattiva del nuovo schema di ragionamento erano
evidenti. In un periodo storico di veloci mutamenti sociali, la nuova
metodologia argomentativa favoriva l’adattamento del diritto a situazioni nuove
e difficilmente amministrabili nell’ambito di una rete asfittica di concetti
giuridici cristallizzati dalla tradizione: il ricorso al bilanciamento avrebbe
consentito di evitare gli schematismi e le inefficienze imposti dalla logica tranchant
dettata dalla concezione dei principi costituzionali come “assoluti”; il
giurista avrebbe potuto abbandonare uno stile decisionale meccanico e deduttivo
in favore di una accurata (ed elastica) ricognizione e valutazione degli interessi
sociali in gioco. (7)
Naturalmente, l’adozione di questa nuova metodologia
di argomentazione prestava il fianco ad un sospetto (che accompagnerà sempre
l’idea di bilanciamento): consegnare il testo costituzionale nelle mani dei
giudici costituzionali, renderlo infinitamente manipolabile e malleabile in
nome di bilanciamenti operati volta per volta, con la conseguenza di
relativizzare e magari svuotare, alla luce di imperscrutabili opzioni
valutative, diritti fondamentali che nel testo costituzionale erano stati
fraseggiati in termini assoluti.
Come risposta o antidoto ai
sospetti di arbitrio decisionale che da subito hanno circondato la
ponderazione, è stato spesso esibito un approccio ingenuamente “quantitativo”,
secondo cui gli interessi potevano essere presi in considerazione e soppesati
da parte del giudice con una metodologia quasi descrittiva e quantitativa, da
scienziato sociale, aliena da ogni soggettivo giudizio di valore. (8)
Nell’ambito della cultura
giuridica nordamericana, le critiche più aspre contro il ricorso al
bilanciamento da parte della Corte suprema hanno avuto in primo luogo carattere
politico, legate all’uso politicamente reazionario che di questa tecnica è
stato fatto dalla Corte suprema negli anni ’50 e ’60, nell’epoca del c.d.
“maccartismo”. In tale fase infatti la tecnica del bilanciamento è stata usata
dalla Corte suprema come un grimaldello per scalfire la formulazione in termini
assoluti della protezione della libertà di parola nel First Amendment, e
favorire così limitazioni della libertà di espressione di individui o gruppi
con idee politicamente minoritarie, in favore della protezione di (supposti
preminenti) interessi governativi. (9)
Da qui la diffidenza che ha a
lungo allignato nei giuristi liberal verso un disinvolto ricorso
giudiziale alla tecnica argomentativa del bilanciamento. In effetti, buona
parte del dibattito statunitense sul bilanciamento negli anni ’60 può essere
ricostruita come l’attacco, da parte di alcuni, alla logica (o meglio alla
retorica) del bilanciamento, denunciandone i costi in termini di erosione della
protezione delle libertà fondamentali, cui si è contrapposto il tentativo, da
parte di altri, di affrancare la tecnica del bilanciamento da un passato
odioso, in particolare liberandola dal suo inquietante tratto “caso per caso” (ad
hoc) e rendendola maggiormente principled. (10)
È stata questa seconda
operazione ad avere successo. Dalla fine degli anni ’60 in poi, il
bilanciamento è diventato la tecnica principale e dominante
nell’interpretazione costituzionale, tanto da indurre a ripensare l’intero
diritto costituzionale alla luce del bilanciamento. (11) Inoltre con il passare del tempo e
l’estensione del bilanciamento ad aree diverse da quella del free speech,
i giuristi liberal si sono accorti che la tecnica del bilanciamento
possa essere impiegata non solo per limitare i diritti espressamente statuiti
nel testo costituzionale, ma anche per aprire nuovi spazi ad altri diritti,
dissolvendo così l’aura politicamente conservatrice se non reazionaria che
l’aveva dapprima circondata. (12)
Dal diritto costituzionale, la tecnica del bilanciamento si è poi diffusa a
molte altre (se non tutte) aree del diritto. (13)
2.2. In Italia
2.2.1. La fase
“pre-costituzionalizzata”
Nella cultura giuridica
italiana, l’idea che in certi settori fosse opportuno o anche inevitabile
effettuare un qualche tipo di bilanciamento o ponderazione giudiziale era
diffusa ben prima della recente esplosione costituzionalistica. Si possono individuare
almeno cinque aree in cui la tecnica del bilanciamento è stata diffusamente
discussa e applicata a partire all’incirca dagli anni ’60 del secolo scorso: si
tratta di aree di estremo rilievo, di rilievo addirittura strategico, appartenenti
a settori disciplinari diversi.
La prima area è la
responsabilità civile. Secondo una affermazione che è ormai patrimonio comune
dei civilisti, «il problema dell’illecito civile consiste principalmente […]
nella valutazione comparativa di due interessi contrapposti: l’interesse altrui
minacciato da un certo tipo di condotta da un lato, e dall’altro l’interesse
che l’agente con quella condotta realizza o tende a realizzare». (14) In alcuni casi, il conflitto tra gli
interessi sarà stato regolato in via generale e astratta dal legislatore, e
allora il giudice dovrà solo applicare la regola al caso concreto; in altri
casi, dovrà essere il giudice a effettuare la comparazione degli interessi in
conflitto, tenendo conto della natura delle attività coinvolte e delle loro
conseguenze tipiche, e ispirandosi in ultima analisi a criteri di pubblica utilità.
La seconda area è
rappresentata dalla disciplina delle immissioni nell’ambito del diritto di
proprietà. Il codice civile italiano (art. 844), come altri codici europei,
prevede che il proprietario di un fondo possa reagire contro le immissioni di fumo,
calore, rumori ecc., provenienti da altro fondo, solo se queste superano la
“normale tollerabilità”; inoltre, nel valutare la ricorrenza del requisito
della normale tollerabilità, il giudice dovrà anche contemperare le esigenze
della produzione con quelle della proprietà. Questa disposizione viene
solitamente interpretata come una delega al giudice a compiere una valutazione
in termini di bilanciamento degli interessi in gioco. (15)
La terza area è la materia
delle cause di giustificazione (le c.d. discriminanti) in diritto penale.
Secondo alcune teorie circolanti nella penalistica italiana, su influenza della
penalistica tedesca, la logica sottostante la materia delle cause di
giustificazione (e in particolare la legittima difesa, lo stato di necessità, e
in parte il consenso dell’avente diritto) sarebbe proprio quella di un
bilanciamento, da effettuarsi caso per caso, in concreto, e quindi in sede
giudiziale, tra il bene aggredito e il bene che giustifica la condotta lesiva. (16)
La quarta area è quella del
corretto esercizio della discrezionalità amministrativa. Secondo un modo di
vedere alquanto diffuso, la pubblica amministrazione nell’esercizio del suo
potere discrezionale non può fare a meno di prendere in considerazione tutti
gli interessi rilevanti (non solo l’interesse pubblico, ma anche gli eventuali
interessi privati concorrenti), per poi operarne una «ponderazione
comparativa». (17) Questo è un compito
dell’autorità amministrativa, ma evidentemente si riflette sulla verifica che
il giudice amministrativo può essere chiamato a compiere sulla ricorrenza di
figure sintomatiche di eccesso di potere. (18) La quinta area non appartiene a settori specifici del diritto
positivo, ma alla teoria generale dell’interpretazione, e si tratta della
metodologia con cui effettuare la ricerca della ratio legis da parte
degli interpreti (il c.d. argomento teleologico). A questo proposito è stato
sostenuto in particolare che, poiché la norma giuridica è frutto di una ponderazione
di interessi in conflitto, il compito dell’interprete consiste nel ricostruire
– in maniera fedele e scevra da considerazioni personali e arbitrarie – la
«valutazione comparativa degli interessi in gioco» operata dal legislatore. (19)
Quindi l’esigenza che in
alcune aree il giurista-interprete sia chiamato ad operare bilanciamenti, e non
ad applicare semplicemente e meccanicamente regole, era già ben presente da
tempo e in una cultura giuridica, quale quella italiana, non di rado votata al
più esasperato formalismo e concettualismo.
È da notare comunque che
l’utilizzo della tecnica del bilanciamento in queste aree potrebbe essere
etichettato ancora come “precostituzionale”: il bilanciamento è applicato a
“interessi”, o “beni”, a cui è certamente riconosciuta una generica natura o
comunque rilevanza giuridica, ma per i quali altrettanto certamente non si
avverte l’esigenza di un radicamento costituzionale. Semplicemente, in questo
periodo non era avvertita l’idea che i beni o gli interessi in conflitto
potessero trovare copertura costituzionale, e che quindi il singolo conflitto
da risolvere rimandasse il giurista ad una incompatibilità ancora più problematica
e fondamentale. Significativo in tal senso che Pietro Trimarchi, (20) indicando più volte come esempio di
interessi in conflitto la libertà di informazione e la tutela dell’onore e
della riservatezza, non ne menzioni la possibile (e oggi considerata
paradigmatica) rilevanza costituzionale. Vi erano alcune parziali eccezioni,
certo, ma con il senno di poi queste eccezioni possono essere più propriamente
considerate come le premesse del mutamento di paradigma avvenuto di lì a poco:
avvisaglie che qualcosa stava per cambiare nell’aria che i giuristi respiravano
quotidianamente, e allo stesso tempo fattori che in questo cambiamento hanno
esercitato un’influenza determinante. (21)
2.2.2. La fase
“costituzionalizzata”
E il cambiamento, che avrebbe
investito gran parte della cultura giuridica italiana dagli anni ’70 in poi, è
arrivato al seguito di un nuovo modo di intendere la costituzione.
Molto in sintesi, (22) la cultura giuridica di quegli anni è
passata gradualmente da una concezione “liberale” e ottocentesca della
costituzione come “limite”, ad una concezione della costituzione come
“progetto”: le norme costituzionali non sono state più considerate (solo) come
un baluardo a tutela di beni fondamentali e intangibili, ma come un insieme di
principi capaci di penetrare in tutti i settori del diritto, e di rimodellare
le categorie giuridiche ricevute. (23)
In altre parole, il risultato cui tendere da parte dei giuristi doveva essere
una sempre più completa “costituzionalizzazione” (24) dell’ordinamento e della cultura giuridica, e questo compito
poteva e doveva essere svolto direttamente dai giuristi, in sede interpretativa
e ricostruttiva, senza dover aspettare alcuna interpositio legislatoris.
Questo cambiamento del modo di
intendere il rapporto tra norme costituzionali e norme infracostituzionali è
stato ispirato da alcune fondamentali idee-guida, che non è necessario
ripercorrere qui in dettaglio. (25)
Quelle che ci interessano in questo contesto sono principalmente due:
l’applicazione diretta o “orizzontale” di principi o diritti costituzionali ai
rapporti interprivati, e l’interpretazione estensiva (o iper-intrerpretazione)
delle disposizioni costituzionali.
In base alla prima idea-guida,
le norme costituzionali sono considerate idonee a regolare anche rapporti tra
privati (e non solo tra privati e lo Stato, o tra organi dello Stato), e quindi
possono essere legittimamente invocate anche in controversie giuridiche appunto
tra privati, e applicate da parte dei giudici comuni. (26) L’efficacia orizzontale delle norme
costituzionali può essere messa in atto in vari modi: ad esempio invocando un
principio costituzionale al fine di colmare una lacuna (e quindi sfruttando una
lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 12 preleggi), oppure
orientando l’interprete verso una interpretazione in senso costituzionalmente
conforme di disposizioni legislative dal significato dubbio (interpretazione
adeguatrice).
In base alla seconda
idea-guida, si ritiene possibile (e anzi inevitabile) assoggettare le
disposizioni costituzionali – e specialmente quelle attributive di diritti o
proclamanti principi – ad interpretazione estensiva, in modo da trarne innumerevoli
norme implicite. (27)
Conseguenza di questa metodologia argomentativa è la possibilità di fare
appello a principi costituzionali pressoché in ogni possibile contesto della
vita sociale, e di ridurre o forse eliminare gli spazi costituzionalmente
“vuoti”: «pressoché ogni conflitto giuridico si trova in un immaginario spazio
giuridico nel quale si sovrappongono le aree di protezione di due o più diritti
o interessi costituzionali […] Qualsiasi conflitto di interessi che non abbia
una persuasiva composizione nelle leggi ordinarie ha altissime probabilità di essere
tematizzato come conflitto tra interessi costituzionalmente rilevanti». (28) Inoltre, ove questa seconda idea si
presenti congiuntamente alla prima (come di fatto accade), l’ulteriore, ovvia,
conseguenza è che si dilaterà geometricamente la possibilità dei giudici di
invocare principi costituzionali – in qualche loro formulazione o riformulazione
– in sede di applicazione diretta della costituzione a rapporti interprivati.
Tornando alla tematica del
bilanciamento, tutte le aree che abbiamo visto poco sopra (§ 2.2.1.) sono state
variamente influenzate dal processo di costituzionalizzazione della cultura
giuridica. Il risultato è che in quelle – come in altre – aree, in cui già (nella
fase “pre-costituzionalizzata”) la cultura giuridica effettuava o sollecitava
operazioni di bilanciamento tra beni o interessi giuridicamente rilevanti, si
effettua o si sollecita adesso un bilanciamento tra principi o diritti costituzionali.
Così, abbiamo avuto riletture, alla luce del bilanciamento tra principi o
diritti costituzionali:
della responsabilità civile, o
quantomeno di alcune applicazioni di essa: tipicamente quando vengono in
considerazione diritti fondamentali, e questo tanto dal versante della
posizione giuridica lesa, quanto da quello dell’attività lesiva; (29) del regime delle immissioni, particolarmente
nel caso in cui sia coinvolta la tutela della salute di uno dei proprietari, o
la tutela dell’ambiente; (30) della disciplina delle cause di
giustificazione in materia penale (31) (caso
di scuola: tutela della vita o dell’integrità fisica vs. libertà
religiosa, (32) ma ovviamente anche
libertà di manifestazione del pensiero vs. tutela della personalità),
nonché della stessa struttura tipica di alcuni reati; (33) del regime dei vizi dell’atto amministrativo,
anche se in questo caso il bilanciamento dei principi costituzionali è
penetrato non tanto nell’ambito della verifica del corretto esercizio della
discrezionalità (dove come abbiamo visto era implicata un’idea di ponderazione
degli interessi rilevanti), quanto a seguito dell’inclusione, nel campo del
vizio di violazione di legge, della contrarietà a norme costituzionali, e come
conseguenza del fatto che solitamente più norme o principi costituzionali sono
contemporaneamente rilevanti in un caso concreto;dell’interpretazione teleologica,
in cui la ricerca della ratio legis è frequentemente sostituita dalla
ricerca dei principi costituzionali rilevanti. (34)
Oltre a questi esempi specifici (ma che in realtà
hanno amplissima portata, e importanza strategica), la tematica del
bilanciamento occupa ovviamente un ruolo centrale in gran parte della
giurisprudenza costituzionale, e nella letteratura costituzionalistica. Al di
là dei singoli esempi sopra riportati, dunque, la tematica del bilanciamento
tra principi o diritti costituzionali è oggi diventata, anche in Italia,
onnipervasiva.
3. Il conflitto tra diritti
La necessità di bilanciare
principi o diritti costituzionali ha come presupposto il fatto che principi o
diritti confliggano, ossia una situazione in cui due o più diritti non possono
essere soddisfatti contemporaneamente.
La pervasività del fenomeno
del bilanciamento sembrerebbe implicare che anche i conflitti tra diritti o
principi siano altrettanto pervasivi, ma di fatto questa posizione è
controversa. Le posizioni che sono state espresse su questo punto sono alquanto
articolate, e ne posso fornire un resoconto solo schematico. (35)
3.1. I conflitti non
esistono
Una prima posizione sostiene
che i conflitti tra diritti non esistono.
Questa idea può essere
presentata in due modi diversi: talvolta si avanza la tesi concettuale
che è possibile configurare un sistema normativo che comprende diritti che
siano tutti compossibili (e solo quelli); (36) talaltra, si afferma che è certamente ammissibile da un punto
di vista concettuale la possibilità del conflitto tra diritti, ma che tuttavia
si tratta di un fenomeno del tutto limitato o marginale, o che comunque può
essere reso – dopo un adeguato trattamento filosofico – limitato e
marginale. In entrambi i casi non si tratta di posizioni solitamente difese in
teoria del diritto: alcune formulazioni sono invece rinvenibili nell’ambito
della filosofia politica e morale. (37)
Una versione della tesi
dell’assenza di conflitti tra diritti ad esempio può essere desunta dalla
teoria dei diritti come side-constraints (“vincoli collaterali”) di
Robert Nozick: (38) i
diritti vengono concepiti come vincoli assoluti alle possibilità di condotta
disponibili agli agenti, e hanno una dimensione prettamente negativa: il
rispetto di un diritto di A non richiederà l’intervento attivo di un agente B.
Ogni agente, inoltre, deve curarsi solo della propria osservanza dei vincoli
che rendono possibili i diritti altrui: la possibile violazione di un diritto
di A non giustifica che B si debba attivare per evitarla. Coniugando questi due
aspetti dei diritti, la possibilità di interferenza tra diritti diventa del
tutto improbabile.
In teoria del diritto, la tesi
dell’assenza di conflitti tra diritti fondamentali è stata recentemente
sostenuta da Luigi Ferrajoli, (39)
nell’ambito di una più complessiva e sofisticata teoria dei diritti
fondamentali.
Ferrajoli stipula una
definizione (formale) di diritto fondamentale, in base alla quale «sono ‘diritti
fondamentali’ tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a
‘tutti’ gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di
cittadini o di persone capaci d’agire; inteso per ‘diritto soggettivo’
qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni)
ascritta ad un soggetto da una norma giuridica».(40)
Data questa definizione, la categoria dei diritti fondamentali viene quindi
articolata al suo interno in:
a) diritti (primari) di
libertà, i quali a loro volta possono presentarsi come
a1) immunità da lesioni o
costrizioni (“libertà da”), oppure come
a2) facoltà di comportamenti non
giuridici parimenti immuni da interferenze o costrizioni (“libertà di” oltre
che “libertà da”);
b) diritti sociali, ossia
diritti a prestazioni positive (sempre che siano universali nel senso sopra
precisato);
c) diritti (secondari) di
autonomia, come i diritti civili o i diritti politici, e cioè tutti quei
diritti (o “diritti-poteri”) il cui esercizio è produttivo di effetti sulle libertà
positive o negative altrui (intese queste come mere libertà naturali, e non
come diritti di libertà di cui sub a)); l’esercizio di questi ultimi
diritti è soggetto alla legge, dove per “soggezione alla legge” si deve
intendere il complesso dei limiti e dei vincoli imposti dai diritti di libertà
e dai diritti sociali. (41)
Tra questi vari tipi di
diritti fondamentali esiste dunque un ordine gerarchico, in base al quale i
diritti sub c) sono subordinati a quelli sub a) e b):
questi disegnano il complesso dei limiti (legislativi, costituzionali)
nell’ambito dei quali solo si possono esercitare quelli. (42) I
diritti fondamentali nel loro complesso, inoltre, sono per definizione
sovraordinati ai diritti patrimoniali (i quali possono essere definiti come
diritti non universali, disponibili, e aventi origine in atti di natura
individuale, come atti negoziali, o atti amministrativi). (43)
Ora, in questo quadro teorico
la possibilità di conflitti tra diritti fondamentali viene – afferma Ferrajoli
– radicalmente ridotta, o addirittura esclusa. Infatti:
a1) i diritti-immunità sono
di per sé illimitati, la loro garanzia non interferisce con altri diritti:
questi diritti, afferma Ferrajoli, «tendenzialmente convivono senza reciproche
interferenze»; (44)
a2) i diritti di libertà
incontrano solo il limite imposto dalla loro convivenza con i diritti di
libertà degli altri, con cui effettivamente possono entrare in conflitto;
questo è l’unico caso di conflitto che Ferrajoli è apparentemente disposto ad
ammettere; (45)
b) i diritti sociali incontrano
limiti non in diritti fondamentali di altro tipo, ma solo nei costi necessari
ad assicurarne il soddisfacimento: questi costi sono soddisfatti tramite il
prelievo fiscale e quindi tramite il sacrificio di diritti patrimoniali (che
sono subordinati a quelli fondamentali); inoltre la scelta se destinare le
risorse verso alcuni tipi di prestazioni sociali invece che altri è, secondo
Ferrajoli, una scelta meramente politica, e non un limite imposto ad un diritto
(sociale) da un altro diritto; (46)
c) i diritti di autonomia o
diritti-potere non possono entrare in conflitto con (gli altri) diritti
fondamentali, in quanto sono “costitutivamente” delimitati da questi ultimi:
«il loro rapporto con gli altri diritti fondamentali non è configurabile come
‘conflitto’ bensì come soggezione alla legge […] le leggi hanno il compito di
sottoporre a limiti, vincoli e controlli giurisdizionali» (47) questi diritti.
Il modello costruito da
Ferrajoli, che spero di aver riprodotto correttamente, è esposto, mi pare, a
tre principali osservazioni critiche, tra loro connesse.
Una prima osservazione è che,
di stipulazione in stipulazione, il modello finisce per allontanarsi troppo dal
modo in cui i giuristi di fatto concepiscono e trattano il problema del
conflitto tra diritti fondamentali. È pur vero che si tratta appunto di un
modello dichiaratamente stipulativo e non descrittivo, ma la funzione di una
stipulazione dovrebbe essere in ultima analisi chiarificatrice, di facilitarci
l’accesso alla “realtà”: ci si può dunque interrogare sulla utilità euristica
di una stipulazione che faccia piazza pulita della nostra intuizione comune (e
di diffuse pratiche argomentative e decisionali) secondo cui i diritti
fondamentali confliggano. (48)
Una seconda osservazione è che
la restrizione (e la tendenziale esclusione) dell’ambito dei conflitti tra
diritti fondamentali avviene al prezzo di limitare l’orizzonte ai soli
conflitti tra diritti di tipo diverso, mentre possono effettivamente e
frequentemente verificarsi conflitti tra diritti dello stesso tipo (ad esempio,
tra più diritti di libertà), o addirittura tra istanze di un medesimo diritto: (49) ed è a ben vedere il problema che deve
affrontare qualunque strategia che miri a eliminare il conflitto tra diritti
istituendo un qualche tipo di gerarchia tra i diritti stessi.
Così, Ferrajoli si dota degli
strumenti teorici per escludere il conflitto tra diritti di libertà e
diritti sociali, o tra diritti di libertà e diritti di autonomia,
ma non prende in considerazione il possibile conflitto:
tra diritti-immunità, come nel
caso in cui si debba scegliere tra il diritto alla vita di Tizio e quello di
Caio (ad esempio in ipotesi di legittima difesa o stato di necessità); o tra il
diritto di Caio a non essere torturato per ottenere informazioni su un
probabile attentato terroristico, e il diritto dei passeggeri di un aereo a non
essere uccisi da una bomba; oppure tra diritti di libertà e immunità,
come nel caso di scuola della “libertà” di gridare per scherzo «al fuoco» in un
teatro affollato, mettendo così a rischio la vita e l’incolumità fisica dei
presenti; oppure tra diritti di libertà, come nel caso dell’interferenza
tra diritto di sciopero e libertà di circolazione; (50) oppure ancora tra diritti sociali,
come nel caso in cui si debba decidere se destinare le risorse disponibili ad
un certo tipo di prestazione sociale a scapito di un altro. (51)
Si potrebbe anche aggiungere
che la rigida gerarchia tra diritti di autonomia e diritti di libertà, in base
alla quale i primi dovrebbero recedere sempre e completamente di fronte ai
secondi, non renda giustizia del modo effettivo di funzionare dei diritti
fondamentali. Invero, si possono immaginare legittime limitazioni della libertà
di manifestazione del pensiero nell’ambito di un rapporto contrattuale di
lavoro (si pensi al dovere di riservatezza del dipendente, o all’obbligo di
rispettare la linea editoriale di un giornale da parte di un giornalista) o, sempre
nell’ambito del rapporto di lavoro, limiti alla libertà di iniziativa economica
del dipendente – peraltro anche oltre l’esaurimento del rapporto contrattuale
stesso (il dovere di fedeltà e i c.d. patti di non concorrenza: artt. 2105 e
2125 c.c.). (52)
Una terza osservazione è che
il modello teorico disegnato da Ferrajoli solo apparentemente neutralizza il
problema dei conflitti tra diritti fondamentali, mentre in realtà finisce per
ammetterne implicitamente l’ineluttabilità.
In primo luogo, infatti,
Ferrajoli concede che i diritti di libertà possano confliggere tra loro, e
questa è già una concessione non trascurabile, qualitativamente e quantitativamente.
Analoga concessione viene fatta, quasi en passant, a proposito del rapporto
tra diritti sociali e altri diritti fondamentali. (53)
In secondo luogo, Ferrajoli
ammette che i diritti di autonomia siano «destinati a confliggere ove non siano
giuridicamente limitati e disciplinati»; (54) il conflitto dovrebbe quindi essere escluso in virtù del
fatto che nello stato costituzionale di diritto questi limiti giuridici
esistono, e sono appunto i diritti di libertà e i diritti sociali. Ora, pur
concedendo che le cose stiano così (ma, come abbiamo appena visto, è dubbio), i
diritti di autonomia non darebbero luogo a conflitti solo ove i limiti
giuridici (legislativi, costituzionali) fossero adeguatamente precisi e puntigliosi,
mentre ogni volta che la disciplina giuridica “sovraordinata” dei diritti di
libertà e dei diritti sociali fosse sufficientemente vaga, imprecisa, lacunosa,
antinomica, ecco che la possibilità dei conflitti tornerebbe a ripresentarsi.
Si può ritenere che per un verso la sciatteria dei legislatori in carne e ossa (ben
lontani dall’ideale illuminista del legislatore perfettamente razionale), e per
altro verso l’ineluttabile complessità della dimensione etica sostanziale degli
ordinamenti giuridici costituzionali contemporanei, (55) introducano di fatto ulteriori crepe
nell’edificio costruito da Ferrajoli.
C’è quindi qualche ragione per
sospettare che i conflitti tra diritti fondamentali possano effettivamente
presentarsi. Vediamo come.
3.2. I conflitti sono solo
apparenti
Una seconda posizione sostiene
che i conflitti tra diritti fondamentali possono di fatto verificarsi, come
mostra il lavoro pressoché quotidiano delle corti costituzionali. Si tratta
tuttavia di conflitti solo apparenti perché, passata la bufera del conflitto
tra i diritti o principi, è comunque possibile ristabilire un ordine, una
armonia nel cielo costituzionale. La differenza rispetto all’idea secondo cui i
conflitti non esistono potrebbe essere considerata in un certo senso
cronologica: nel caso precedente, infatti, l’idea-guida è di costruire un
sistema di diritti nel quale i conflitti (almeno tendenzialmente) non si
verifichino ex ante. In questo secondo caso, invece, si prende atto che
di fatto i conflitti possano avere luogo, ma possono tuttavia essere utilizzate
tecniche che ne mettano in luce – in ultima analisi – la natura solo apparente.
In altre parole, la differenza
rispetto alla strategia precedente è che in quella la soluzione al conflitto
tra diritti era teorica, definitoria, e formale (o, se si vuole, “in
astratto”), mentre in questo caso la soluzione è in qualche modo interpretativa:
l’interprete, con piglio michelangiolesco, si pone davanti al blocco di marmo
grezzo delle controversie giuridiche, dei conflitti sociali, o delle apparenti
incongruenze del testo costituzionale e, avendo tolto «il suo soverchio», porta
alla luce un intimo ordine che era lì fin dall’inizio.
Le strategie messe all’opera
nell’ambito di questa seconda posizione sono, mi pare, principalmente due (con
varie ramificazioni all’interno di ciascuna). (56)
Occorre anche osservare che
questo è più spesso un modo di pensare diffuso ed implicito in varie strategie
argomentative utilizzate dai giuristi, anziché una serie di tesi articolate e
dimostrate in dettaglio.
3.2.1. Ordine oggettivo dei
valori, gerarchia dei principi costituzionali, contenuto essenziale dei diritti
Una prima strategia consiste
nel superare l’apparente conflittualità tra principi o diritti costituzionali
portando alla luce la struttura profonda della armonica coesistenza dei
principi stessi: il testo costituzionale viene considerato come l’espressione
di un nucleo coerente e armonico di principi, di valori, una trama assiologica
complessa ma comunque – in fondo – lineare e dotata di una sua intrinseca
intelligibilità. (57)
Questo modo di vedere ha un
corollario riguardo agli (apparenti) conflitti tra principi o diritti
costituzionali: infatti, l’implicazione che segue immediatamente all’idea
dell’armonia immanente al quadro costituzionale è che, se vari principi
apparentemente spingono in direzioni diverse, allora la loro riconduzione ad un
ordine armonico può essere raggiunta solo strutturando i principi in un ordine
gerarchico. L’individuazione di questo ordine gerarchico prescinde – o comunque
non è rigidamente vincolato – dalla formulazione letterale del testo costituzionale,
dalla circostanza che esso preveda espliciti ordini di preferenza tra i
principi: è piuttosto un ordine contenutistico, assiologico, che viene ricavato
da una lettura sostanzialista della costituzione.
A questa strategia
argomentativa, poi, si aggiunge solitamente un ulteriore tassello: poiché un
ordine gerarchico rigido e pietrificato tra principi o diritti costituzionali
sarebbe comunque implausibile (sarebbe comunque distante dal modo effettivo di
“funzionare” dei diritti costituzionali), allora si afferma che la gerarchia, o
la più intensa garanzia costituzionale riguarda non il diritto o principio
inteso in qualsivoglia contesto applicativo, ma solo il suo “contenuto essenziale”.
(Si sarà notato che i tre passaggi in cui si articola questa strategia argomentativa
non sono legati da vincoli di logica deduttiva, ma piuttosto da passaggi di
natura retorico persuasiva).
Le espressioni più compiute di
questo modo di pensare si possono rinvenire nella dottrina formulata dalla
Corte costituzionale tedesca sull’ordine oggettivo dei valori (objektive
Wertordnung), (58)
secondo cui al vertice della scala dei valori vi è il valore della dignità
umana, che non può essere bilanciato con altri valori; l’idea del contenuto
essenziale dei diritti fondamentali è inoltre espressamente enunciata dall’art.
19, comma 2, del GrundGesetz (nonché dall’art. 53, comma 1, della Costituzione
spagnola).
Echi della concezione tedesca
dell’ordine obiettivo dei valori costituzionali affiorano pure nelle motivazioni
di alcune note sentenze della Corte costituzionale italiana. (59) L’idea è stata progressivamente
articolata dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina
costituzionalistica soprattutto in rapporto alla tesi dell’esistenza dei c.d.
principi costituzionali supremi, ossia di principi costituzionali dotati di un
valore gerarchico superiore a tutti gli altri principi costituzionali. Questi
principi supremi sono stati di volta in volta individuati nei principi di uguaglianza
dei cittadini, di effettività della garanzia giurisdizionale, della laicità
dello Stato, e inoltre nel complesso dei diritti cui si conviene la qualifica
di “inviolabili”. In quanto supremi, tali diritti sono
a) sottratti al procedimento di
revisione costituzionale (sono limiti impliciti o, secondo alcuni, logici alla
revisione costituzionale), e pertanto
b) tali da poter essere
utilizzati dalla Corte costituzionale come parametro per sottoporre a sindacato
di costituzionalità anche le leggi costituzionali e di revisione costituzionale;
(60)
c) prevalenti in caso di
conflitto con altre norme costituzionali (e quindi in linea di massima
sottratti al bilanciamento caso per caso con altri diritti confliggenti); tuttavia,
d) la garanzia
super-costituzionale – e anche la sottrazione al bilanciamento – non consiste
tanto nel divieto di qualsivoglia interferenza con questi diritti o principi,
quanto piuttosto nel divieto di pregiudicarne il contenuto essenziale. (61)
Qualche osservazione.
La prima osservazione è che la
costruzione della gerarchia dei valori costituzionali è comunque estrinseca al
testo costituzionale, è sovrapposta ad esso in via interpretativa: è frutto di
una operazione di ricostruzione contenutistica e assiologica della costituzione
nel suo complesso, operazione lontanamente affine alla interpretazione
sistematica, e nell’ambito della quale il testo rappresenta un vincolo del
tutto secondario. (62)
Peraltro, a fronte di un testo come la costituzione italiana, o se è per questo
come molte costituzioni contemporanee, frutto del compromesso tra componenti
politiche e ideologiche differenti e pertanto espressione di pluralismo, è
ipotizzabile che siano configurabili diverse ricostruzioni “sostanzialistiche”,
in grado di rendere conto in maniera egualmente adeguata dei valori contenuti
nel documento costituzionale.
Inoltre, ordinare principi o
diritti o valori in un ordine gerarchico stabile si presta ad esiti
potenzialmente contrintuitivi: infatti, posto che da ogni diritto (tanto più se
diritto fondamentale, fraseggiato in termini molto ampi e valutativi)
rampollano diversi più specifici diritti e obblighi a carico di terzi, (63) è implausibile che ognuno di questi
ultimi diritti e obblighi prevalga in ogni possibile circostanza sugli altri
diritti costituzionali ma “sotto-ordinati”: (64) si può agevolmente immaginare infatti che alcuni di questi
diritti più specifici siano comunque soggetti ad essere bilanciati con altri
diritti. (65) Da qui
l’individuazione solo assai vaga, generica, e non esustiva dei diritti
“supremi” e degli ordini di priorità con gli altri diritti, oppure il porre al
grado apicale non il diritto fondamentale tout court ma solo il
contenuto essenziale del diritto (su cui torneremo tra poco). L’operazione di
ricostruzione di un nucleo assiologico stabile della costituzione, e
sovraordinato alle altre norme costituzionali, è dunque esposto ad un duplice
grado di discrezionalità (per un verso, per quanto riguarda la costruzione
della gerarchia assiologica tra diritti o principi, e per altro verso
nell’individuazione di ciò che di volta in volta ricade o fuoriesce dal “nucleo
essenziale”), e comunque mostra che non è idonea ad escludere il verificarsi di
conflitti tra diritti fondamentali.
La seconda osservazione è che
la scala dei valori o l’idea dei principi supremi possono valere a sterilizzare
solo alcuni specifici casi di conflitto tra diritti fondamentali, vale a dire
il conflitto tra i diritti costituzionali “supremi” e gli altri diritti
costituzionali, sottraendo così i primi al bilanciamento con i secondi (anche
se abbiamo appena visto che è improbabile che sia davvero così). Ma questo vale
implicitamente a riconoscere che per tutti gli altri casi il conflitto
tra diritti fondamentali (ed eventualmente il ricorso al bilanciamento) resta
ineluttabile. In altre parole, la possibilità del conflitto rimane integra: a)
tra diritti diversi posti nei gradi intermedi della ipotetica scala gerarchica (vale
a dire, tra principi costituzionali “non supremi”); b) tra due istanze
di un medesimo diritto costituzionale “non supremo”; c) tra due istanze
di un medesimo diritto costituzionale “supremo”.
La terza osservazione è che
l’idea stessa del contenuto essenziale – a meno di non accedere ad una
concezione ingenuamente cognitivistica dei valori racchiusi nei diritti
costituzionali – è a sua volta intrinsecamente associata all’idea del conflitto
tra diritti. Infatti, possiamo ricostruire il contenuto essenziale di un diritto
non in vacuo, ma solo a partire da una serie di ipotesi tipiche, di casi
paradigmatici in cui la violazione o anche la limitazione di quel diritto ci
sembra inammissibile. (66)
Se le cose stanno così, allora l’individuazione del nucleo essenziale
presuppone che siano già stati effettuati bilanciamenti tra diritti, valutazioni
in termini di costi e benefici tra interessi da tutelare e doveri da imporre a
terzi, ecc., (67) e che il nucleo
essenziale di un diritto resterà intangibile solo fino a quando un altro
interesse (= diritto) concorrente non reclami una tutela più intensa.
In altre parole, anche
l’individuazione del nucleo essenziale dei diritti fondamentali segue (e non
precede), presuppone (e non preclude), il conflitto tra diritti e il loro bilanciamento.
3.2.2. Specificazionismo,
categorizzazione, limiti impliciti
Una seconda strategia è volta
ad evitare l’insorgere di conflitti tra diritti specificando tutte le possibili
eccezioni cui un diritto è soggetto, in modo da distinguere i casi in cui il
diritti si applica realmente, da quelli in cui l’applicazione è solo prima
facie. Anche qui si può sostenere che l’eventuale conflitto tra diritti è
solo apparente, perché esso è destinato a scomparire una volta che – in sede interpretativa
– si sia precisato meglio l’ambito di applicazione dei diritti in conflitto, se
ne sia fatta una opportuna actio finium regundorum.
Questa strategia, che in
filosofia morale è definita “specificazionismo”, (68) può essere percorsa in due modi (in entrambi i casi si tratta
a ben vedere della stessa operazione, ma vista da prospettive
differenti):
a) restringendo l’ambito di
applicazione fattuale del diritto (ad esempio: la libertà di manifestazione del
pensiero non comprende il “subiettivamente falso” – così si esprimeva la giurisprudenza
italiana meno recente; oppure: comprende le parole ma non le azioni);
b) rendendo esplicite nella
disciplina di quel diritto un certo numero di eccezioni, che sono il riflesso
dello spazio di tutela assegnato ad altri diritti o ad altri beni (ad esempio:
la manifestazione del pensiero è libera a meno che non realizzi una intrusione
nella riservatezza altrui). In questo modo sarebbe possibile disegnare una
disciplina precisa dei diritti, che eviterebbe l’insorgere dei conflitti,
almeno in molti casi (69) –
e la necessità di ricorrere al bilanciamento.
La prima versione della
strategia specificazionista ha avuto una certa fortuna nella cultura giuridica
americana meno recente con il nome di “categorization”, e sta anche
vivendo un rinnovato interesse come possibile candidato alternativo in reazione
alla pervasività del bilanciamento: (70)
consiste nel fornire una definizione quasi lessicografica dei termini che
compaiono nelle disposizioni costituzionali, e utilizzare tali definizioni
invariabilmente nelle possibili applicazioni concrete di tali disposizioni;
dalla definizione del diritto così ricavata, inoltre, si desumono altresì i
limiti logici di quel diritto, ossia le (apparenti) manifestazioni di
quel diritto che però, a ben vedere, restano fuori dalla (corretta, vera, ecc.)
definizione del diritto. (71)
Così, una volta definita la libertà di manifestazione del pensiero come
limitata alle sole parole, si escluderà che possa costituire esercizio di
questa libertà il vilipendio della bandiera, o la parata in abiti nazisti: non
si dovrà risolvere alcun conflitto tra queste manifestazioni del pensiero e altri
interessi concorrenti, perché il vilipendio è già stato escluso dall’ambito “logico”
di applicazione della libertà di espressione.
La seconda versione della
strategia specificazionista fa da sfondo all’idea che ogni diritto nasca
intrinsecamente limitato, e che tale limite consista non solo nella disciplina
espressa di quel diritto, ma anche nell’esigenza di non comprimere altri
diritti (72) (la tesi dei c.d. limiti
impliciti), e – anche se forse in maniera più indiretta – alla già
esaminata teoria del contenuto essenziale dei diritti fondamentali (§ 3.2.1.).
Si tratta, mi pare, di due facce della stessa strategia definitoria, vale a
dire che nel caso della teoria dei limiti impliciti si intende il limite del
diritto come ciò che la disciplina del diritto non può includere (fino a
che punto la tutela del diritto non può spingersi), e nel caso della
teoria del contenuto essenziale si intende il limite come ciò che la disciplina
del diritto non può non includere (fino a che punto la limitazione del
diritto non può spingersi).
Ulteriore esempio di questa
strategia, infine, è la recente proposta, avanzata da Riccardo Guastini, di
risolvere il conflitto tra diritti (o principi) costituzionali alla luce del
criterio di specialità. (73)
La premessa da cui muove Guastini è che il conflitto tra diritti può essere
risolto solo con l’istituzione di una gerarchia assiologica, cioè con la
soggettiva assegnazione, da parte dell’interprete, di un maggior “peso” o
valore ad uno dei diritti rispetto all’altro – e quindi con una operazione già
dotata di un alto grado di discrezionalità. La gerarchia così istituita è
inoltre “mobile”, nel senso che l’interprete potrà sovvertirla in un futuro
caso di conflitto tra i medesimi diritti: il che aggiunge un ulteriore
connotato di discrezionalità al giudizio di bilanciamento. Se è così, allora
l’unico modo per assicurare qualche grado di prevedibilità alle decisioni giudiziarie
che implicano un conflitto tra diritti consisterà nel reiterare la gerarchia
assiologica così istituita in tutte le future ipotesi di conflitto tra
quei diritti: in tal modo il conflitto tra libertà di espressione e tutela
della personalità, o tra uguaglianza formale e sostanziale, dovrà essere sempre
risolto nello stesso modo (e non con un giudizio caso per caso). (74)
Qualche osservazione.
La prima osservazione è che le
(nette?) definizioni del contenuto dei diritti fondamentali che si intendono
attaccare alle disposizioni costituzionali sono in fin dei conti tanto creative
e arbitrarie quanto lo potrebbe essere un bilanciamento tra diritti
costituzionali. (75) Inoltre, definire il contenuto di un diritto fondamentale come
se si trattasse di un operazione meramente descrittiva e ricognitiva di
qualcosa che è “già lì” è altrettanto implausibile che pretendere di “scoprire”
un ordine oggettivo di valori alle spalle del testo costituzionale.
La seconda osservazione è che
una disciplina costituzionale che prevedesse esclusivamente diritti formulati
in termini rigorosamente circostanziati risulterebbe del tutto implausibile: un
testo del genere sarebbe estraneo al genere letterario “dichiarazione dei
diritti”, (76) e più simile forse al
genere letterario “codice della strada”.
La terza osservazione è che,
come ammettono quantomeno i fautori meno ingenui di questo modello, la capacità
umana di prevedere i possibili conflitti tra diritti è limitata, e che pertanto
il ricorso alla tecnica specificazionista può ridurre, ma non eliminare, i
conflitti tra diritti. Più chiaramente: una tecnica di redazione dei testi
normativi che prevedesse una formulazione precisa dei diritti non è, in linea
di massima, né impossibile né inopportuna. (77) Tuttavia essa incontra necessariamente le seguenti
limitazioni: a) non tutte le eccezioni rilevanti sono prevedibili, e
quindi le regole così disegnate restano esposte al fenomeno della
defettibilità; b) una simile formulazione “circostanziata” è più
appropriata ai diritti “ordinari” contenuti in codici e leggi speciali, mentre
è inadeguata (come accennato sopra) per i testi costituzionali che proclamano
diritti e libertà fondamentali.
La quarta osservazione è che
l’individuazione dei limiti impliciti non è possibile in astratto, non è
possibile predeterminare in maniera esatta e definitiva tutti i possibili
limiti a cui è assoggettabile un diritto: il concetto di limite implicito
quindi segue (e non esclude) un bilanciamento tra diritti in conflitto. (78)
Per essere più chiari: non è
qui in questione l’idea che ogni diritto subisca limitazioni implicite ad opera
di altri diritti, idea che anzi è assolutamente sensata (e sarà ulteriormente
sviluppata in questo saggio); piuttosto, ciò che è discutibile è l’idea che
tali limiti siano univocamente individuabili a priori (“in books”),
prima che i diritti entrino “in azione”, mentre invece è proprio la natura implicita
dei limiti a renderli non predeterminabili. (79) Più in generale, l’istituzione di un diritto implica
inevitabilmente la possibilità di istituire un numero solitamente indeterminato
(e forse astrattamente indeterminabile) di doveri; l’indeterminatezza di questi
doveri può derivare dal fatto che, pur trattandosi di doveri esplicitamente
codificati in norme positive, possono però essere formulati in termini molto
ampi, come nel caso delle disposizioni costituzionali, oppure dal fatto che si
tratta di doveri contenuti in norme implicite ricavate in via interpretativa a
partire dal valore che giustifica il diritto. (80) Ora, tali doveri possono essere configurati anche come doveri
di astensione dall’esercitare prerogative derivanti da altri diritti: di
conseguenza, l’imposizione di doveri ad altri soggetti può essere concepita (almeno
a volte) come una limitazione dei diritti di questi ultimi.
Dunque, nella misura in cui
l’individuazione di limiti impliciti al contenuto dei diritti ricalca
l’individuazione del contenuto essenziale dei diritti fondamentali (già vista supra,
§ 3.2.1.) essa è esposta alla medesima critica: che invece di evitare un bilanciamento
lo presuppone – per di più occultandolo: in fin dei conti, che altro è l’introduzione
in via interpretativa di eccezioni, se non un bilanciamento?
La quinta osservazione è che
la soluzione dei conflitti tra diritti costituzionali alla luce del principio
di specialità si risolve nella istituzione in via interpretativa di una gerarchia
sostanziale, materiale tra i diritti in contesa; (81) e poiché tale gerarchia è estranea al testo costituzionale,
l’operazione suggerita da Guastini conduce, mi sembra, ad una modifica tacita
della costituzione ad opera degli interpreti. (Questa tesi di Guastini mi
sembra condizionata da – o comunque solidale con – la sua assunzione che
“ponderare” diritti significhi esclusivamente accantonarne del tutto uno a
favore di un altro: la discussione su quest’ultimo punto credo solleverà
ulteriori perplessità sull’idea di risolvere il conflitto tra diritti in base
al principio di specialità: v. infra, § 4.2.).
In conclusione, la strategia
“specificazionista” nelle sue versioni più radicali è implausibile, mentre
nelle sue versioni più moderate lascia aperta (e comunque presuppone) la
possibilità di un conflitto tra diritti.
3.3. I conflitti sono reali
Quanto detto sinora ingenera
il legittimo sospetto che il fenomeno del conflitto tra diritti esista, e che
sia non meramente apparente, ma reale. Nessuna delle strategie di esclusione o
di limitazione del conflitto tra diritti viste finora sembra riuscire a fugare
l’idea che i diritti fondamentali contenuti nel testo costituzionale, o
ricavati a partire da esso, possono effettivamente entrare in conflitto tra loro.
Una teoria morale potrebbe
avventurarsi nel costruire stipulativamente una gerarchia di valori, ordini di
priorità precisi e così via, ma se si parla di diritti (soggettivi) positivi
allora la teoria deve subire il condizionamento del diritto (oggettivo)
positivo. Ora, per quanto riguarda i diritti fondamentali, il diritto positivo
ci dice due cose: esiste un testo costituzionale che non è un monolite etico-ideologico,
ma è il frutto del concorso e del compromesso tra ideologie differenti. (82) Lo stesso testo, inoltre, assai raramente
stabilisce ordini di priorità tra i diritti; e peraltro gli stessi ordini di
priorità, quando sono espressamente formulati, sono a loro volta considerati
non assoluti, ma tendenziali e defettibili.
Si può riconoscere che almeno
alcune delle strategie viste sopra siano mosse non solo da esigenze di coerenza
teorica e di rigore epistemologico, ma anche da lodevoli finalità di politica
del diritto: prima tra tutte, probabilmente, la volontà di sottrarre i diritti
a calcoli utilitaristici, (83)
collocandoli in uno spazio protetto dove altre considerazioni – e specialmente
le considerazioni relative all’“interesse generale” – non possano arrivare;
inoltre, se il conflitto è reale, allora dovrà essere risolto con una
operazione (il bilanciamento) che fin dalle sue prime apparizioni è stata
considerata nemica della certezza del diritto, il che renderebbe i diritti fondamentali,
e in ultima analisi la costituzione stessa, “ciò che le corti dicono che essa
sia”.
Nonostante le buone intenzioni
di chi difende la tesi contraria, però, l’idea che i diritti fondamentali
confliggano, e che sia necessario bilanciarli, non ci ha abbandonato. La terza
posizione, che ora stiamo discutendo, ci dice allora che è inutile e forse
inopportuno nascondere i conflitti come la polvere sotto i tappeti: dobbiamo
fare i conti con essi. Proviamo dunque, in primo luogo, a delineare
sinteticamente le più frequenti ipotesi di conflitto tra diritti costituzionali.
3.3.1. Una tipologia dei
conflitti
Una prima ipotesi (84) è data dalla concorrenza di soggetti
diversi nel godimento dello stesso diritto (conflitti intra-rights), il
che può verificarsi sia a proposito dei diritti sociali (ad esempio, quando non
sia possibile assicurare una certa prestazione sociale a tutti gli aventi
diritto), sia a proposito di diritti di libertà (quando, in concrete
circostanze, non è possibile che tutti esercitino uno stesso diritto: ad
esempio, non tutti possono parlare contemporaneamente durante un’assemblea, o
una lezione universitaria).
Una seconda ipotesi è data
dalla concorrenza di interessi individuali non omogenei (conflitti inter-rights),
come ad esempio la libertà di espressione e la tutela della riservatezza, il
diritto di sciopero e la libertà di circolazione, e così via. Si noti che in
questa ipotesi di conflitto possono trovarsi contrapposti non solo – come
sembrerebbe normale – più soggetti titolari di diritti diversi, ma anche uno
stesso soggetto titolare di due diritti in conflitto (ad esempio nel caso
dell’eutanasia, si può pensare che vengano in conflitto il diritto alla vita e
il diritto alla autodeterminazione sanitaria della stessa persona).
Una terza ipotesi è data dalla
concorrenza tra interessi individuali e interessi di altro tipo (collettivi,
istituzionali, ecc.), come ad esempio nel caso del conflitto tra il diritto di
cronaca e il segreto di Stato.
Queste tre ipotesi principali
possono ulteriormente essere complicate guardandole da una prospettiva
lievemente differente, vale a dire dalla prospettiva dell’ampiezza (o, se si
vuole, del grado, o dell’estensione) con cui ciascuno di questi conflitti si
può presentare. Così, con una tipologia mutuata dalla teoria delle antinomie, (85) sembra abbastanza diffusa la distinzione
tra a) conflitti in astratto e conflitti in concreto, e b)
conflitti totali e conflitti parziali. (86)
I conflitti in astratto si
pongono quando le norme che fondano i diritti in contesa connettono conseguenze
incompatibili a fattispecie astratte «che si sovrappongono concettualmente».(87) Ad esempio, il diritto di A di parlare
entra in conflitto con il diritto di B di non essere insultato (verbalmente):
quest’ultimo diritto può essere concettualmente violato solo dall’esercizio
della libertà di parola. I conflitti in concreto sorgono quando le norme che
fondano i diritti in contesa connettono conseguenze incompatibili ad una certa
fattispecie concreta, il che accade quando tale ultima fattispecie è
riconducibile simultaneamente a due classi di fattispecie concettualmente
indipendenti. Ad esempio, il diritto di A di parlare entra in alcuni casi in
conflitto con il diritto di B alla propria privacy: quest’ultima
potrebbe però essere violata anche con mezzi diversi rispetto alla parola, ad
esempio con fotografie o intercettazioni telefoniche.
Di contro, un conflitto totale
si ha quando l’esercizio di un diritto A, in ogni sua possibile declinazione,
non può coesistere (non è compossibile) con l’esercizio di un altro diritto B,
in ogni sua possibile declinazione. Un conflitto parziale può essere unilaterale
o bilaterale. Un conflitto “parziale unilaterale” si verifica quando
l’esercizio di un diritto A, in ogni sua possibile declinazione, non può coesistere
con l’esercizio di alcune specifiche istanze del diritto B. Un conflitto
“parziale bilaterale” si verifica quando l’esercizio di alcune specifiche
istanze del diritto di un diritto A non può coesistere con l’esercizio di
alcune specifiche istanze del diritto B.
Confesso che non mi è del
tutto chiara la relazione tra queste due categorie di antinomie (in astratto/in
concreto e totali/parziali), né l’utilità di distinguerle, beninteso in
relazione ai conflitti tra diritti fondamentali o tra principi costituzionali (88) (la distinzione invece funziona,
ovviamente, se applicata ad antinomie tra regole, vale a dire tra norme che
hanno condizioni di applicazione ben definite). Infatti, trattandosi di norme
con condizioni di applicazione non precisamente predeterminate, le antinomie
totali e quelle parziali unilaterali non possano che essere antinomie in
astratto, (89) mentre le antinomie
parziali bilaterali non possono che essere in concreto. Questo significa che un
conflitto parziale bilaterale tra diritti fondamentali, essendo necessariamente
anche un conflitto in concreto, non è esattamente predeterminabile e
identificabile in astratto, come invece potrebbero essere le antinomie parziali
bilaterali tra regole (con la famosa immagine dei due cerchi che si
sovrappongono parzialmente).
Normalmente, i conflitti tra
diritti costituzionali (nelle tre varianti viste all’inizio di questo
paragrafo) appartengono proprio alla categoria dei conflitti in concreto, o
parziali bilaterali. A ben vedere questo deriva non solo dalla circostanza che
i diritti costituzionali sono formulati in termini estremamente ampi e
generici, ma anche dal fatto che uno stesso diritto costituzionale può fondare
diversi ulteriori e più specifici diritti, facoltà, pretese, e obblighi a
carico di terzi; questi potranno entrare in conflitto con diritti, facoltà,
pretese e obblighi derivanti da un altro diritto costituzionale. Se questo
quadro è attendibile, allora normalmente il conflitto potrà porsi tra alcuni
soltanto di questi specifici diritti, facoltà, pretese e obblighi derivanti
rispettivamente da ciascuno dei diritti in contesa, e non tra tutti: situazione
che può appunto essere ricondotta allo schema della antinomia parziale
bilaterale, (90) il che implica
peraltro che le ipotesi di possibile conflitto tra diritti fondamentali non
sono esattamente predeterminabili (al di là dei casi paradigmatici, e dei casi
già conosciuti).
Per amore di argomento, si può
comunque osservare che non tutti i tipi di conflitti tra diritti fondamentali
sembrano agevolmente riconducibili allo schema dell’antinomia parziale
bilaterale. (91)
Primo esempio: i conflitti intra-rights
che tipo di antinomia sono? Ovviamente possono essere considerati conflitti
parziali bilaterali solo a condizione di pensare che il conflitto si ponga tra
diritti più specifici che rampollano dal diritto costituzionale più generale, e
senza che uno dei due sia interamente riconducibile all’ambito di applicazione
dell’altro. Il quadro si complica non appena ci si renda conto che molti di
questi diritti più specifici sono norme implicite, perché sono intagliati dagli
interpreti a partire da norme costituzionali più generali utilizzando
procedimenti argomentativi di vario tipo; ciò vuol dire che il grado di “generalità”
o “specificità” di questi diritti è ampiamente rimesso a determinazioni e
convenzioni interpretative (la cui più o meno diffusa accettazione nell’ambito
della cultura giuridica è questione contingente), e allora nulla vieta, in via
di ipotesi, che un conflitto intra-rights venga configurato anche come antinomia
totale. (92)
Secondo esempio: il conflitto
tra l’uguaglianza formale e quella sostanziale è davvero un conflitto parziale
in concreto, (93) oppure un (più
inquietante) conflitto in astratto totale (è concettualmente immaginabile una
misura di uguaglianza sostanziale che non violi l’uguaglianza formale, e
viceversa)?
3.3.2. La risoluzione del
conflitto
Come che sia, la conseguenza
pratica è comunque la stessa: i tradizionali criteri di soluzione delle
antinomie non servono a risolvere questi tipi di conflitto. Infatti, una volta
accertato che i diritti in conflitto hanno pari dignità, perché entrambi dotati
di garanzia costituzionale, l’interprete non avrà la possibilità di ricorrere:
al criterio lex superior derogat inferiori,
in quanto si tratta appunto di diritti equi-ordinati sul piano della gerarchia
delle fonti (a meno di non instaurare una gerarchia interna al testo
costituzionale: strategia che abbiamo esaminato e criticato supra, §
3.2.1.); al criterio lex posterior derogat priori, in quanto si tratta
di diritti contenuti in un medesimo documento normativo e quindi coevi;
al criterio lex specialis
derogat generali, in quanto tra le norme che fondano i due diritti in
conflitto non si dà un rapporto di specialità, nessuna delle due norme è speciale
rispetto all’altra: si tratta infatti di una antinomia parziale bilaterale (a
meno di non riconfigurare uno dei due diritti in termini di eccezione rispetto
all’altro: strategia che abbiamo già esaminato e criticato supra, §
3.2.2.).
Sembra che siamo giunti in una
fase di stallo: ciò perché, a quanto sembra, non disponiamo di una gerarchia
tra i diritti in conflitto: abbiamo un catalogo, una lista di diritti
confliggenti e concorrenti. Lo stallo è risolto dalla formula magica: il bilanciamento
o ponderazione tra i diritti in conflitto.
4. Il bilanciamento
Quella del bilanciamento è una
metafora, ed estremamente evocativa: tanto per cominciare la bilancia è uno dei
più antichi simboli della giustizia. Rimanda ad una attività che è non solo
“equilibrata”, ma anche precisa e oggettiva: a qualcosa (a qualche arredo del
mondo) viene assegnato un peso in relazione ad una unità di misura e, per
transitività, il peso viene assegnato ad altre cose di tipo diverso. Alla fine,
tra entrambi i tipi di cose, e tra qualsiasi cosa, sarà stabilita, o
addirittura semplicemente rilevata, una agevole, misurabile, evidente relazione
di peso.
È ovvio che nel diritto le
cose non sono così semplici. Ciò che deve essere pesato giuridicamente non ha
in realtà alcun peso o proprietà oggettiva e misurabile, e spesso è controversa
anche la stessa individuazione di ciò che deve essere messo sul piatto della
bilancia. L’attitudine di questa metafora a descrivere o anche solo ad evocare
in maniera adeguata il ragionamento giudiziale è stata perciò aspramente criticata.
(94)
Di sicuro “bilanciamento” è
formula ambigua, sotto svariati punti di vista. Liberiamo dunque il campo da
una prima, possibile ambiguità.
Nessuno nega che nel diritto
una attività di bilanciamento di qualche tipo tra diritti fondamentali
sia frequente, legittima, e addirittura necessaria. (95) Tuttavia, si dice, tale attività per sua
natura involge un grado di discrezionalità politica che è tipica (ed
appropriata) solo nel legislatore e talvolta, in modo diverso, nella pubblica
amministrazione. È assolutamente banale che i legislatori effettuino continui
bilanciamenti tra diversi beni meritevoli di riconoscimento e regolamentazione
giuridica: semmai ciò che è auspicabile è che i legislatori facciano bene
questo lavoro, ossia, come usa ormai esprimersi
Le perplessità cominciano
quando a bilanciare non sono più, o non solo, i soggetti che creano le leggi
usando tutta la ponderata prudenza che è loro consentita (ed eventualmente
anche con l’ausilio scientifico di appositi comitati tecnici) ma i soggetti che
quelle leggi dovrebbero, meccanicamente, applicare: i giudici. La perplessità è
in altre parole che i giudici, appropriandosi della tecnica del bilanciamento,
prendano a svolgere un compito che è nella sostanza paralegislativo. (96)
È di questo tipo di
bilanciamento che ci occuperemo in questa sezione: l’attività argomentativa e
decisoria, e il prodotto di questa attività, svolta dalle corti quando debbano
decidere un caso per il quale sono contemporaneamente rilevanti due diritti
fondamentali in competizione.
Forse la misteriosa attività
che si nasconde dietro la metafora del bilanciamento può essere più
proficuamente indagata, analiticamente, disarticolando vari aspetti
problematici distinti relativi al bilanciamento. E i principali aspetti problematici,
mi pare, sono questi: 1) Cosa si bilancia; 2) Cosa vuol dire bilanciare; 3)
Quanti tipi di bilanciamento siano configurabili; 4) Se sia possibile una ricostruzione
razionale del bilanciamento.
4.1. Cosa si bilancia
Di certo, può accadere che si
trovino in conflitto due diritti costituzionali, che pertanto debbano essere
bilanciati. Tuttavia abbiamo visto (supra, § 3.3.1.) che un diritto
costituzionale può entrare in conflitto anche con “cose” diverse, come un principio,
o un interesse. Abbiamo visto pure, peraltro (§ 2.), che alle origini del
bilanciamento sta l’idea che oggetto del giudizio di ponderazione siano interessi,
emergenti in maniera quasi spontanea dall’analisi delle circostanze del caso.
L’idea che nel giudizio di
bilanciamento possano entrare non solo diritti ma anche entità di meno nobile pedigree
come gli interessi continua ad essere associata all’immagine del bilanciamento,
e spesso è invocata proprio per screditare il ricorso a questa tecnica; si
denuncia infatti il pericolo che il bilanciamento sia utilizzato per soppesare
“cose” che non dovrebbero essere messe sullo stesso piano: i diritti o principi
costituzionali da una parte, e gli interessi dall’altra. Questa preoccupazione
risponde a condivisibili intendimenti, primo tra tutti la volontà di sottrarre
i diritti fondamentali a calcoli utilitaristici, e a progressive erosioni
operate in via interpretativa; (97)
purtroppo però la distinzione tra (nobili) diritti e principi, e (volgari) interessi
non è sempre così agevole.
In primo luogo, l’ovvia
premessa dell’interrogativo stesso se un interesse sia bilanciabile con un
diritto o principio costituzionale è che quell’interesse abbia un qualche tipo
di copertura costituzionale (viceversa varrebbe il criterio gerarchico di
soluzione del conflitto). Questa osservazione è banale, ma purtroppo non è
decisiva. Infatti, gli enunciati contenuti nelle disposizioni costituzionali,
fraseggiati in termini estremamente ampi e connotati in senso valutativo, si prestano
(e comunque sono abitualmente sottoposti) ad interpretazioni decisamente estensive;
questa caratteristica viene inoltre accentuata in un clima culturale (come
quello che caratterizza molte culture giuridiche contemporanee, e anche quella
italiana attuale v. supra, § 2.1.) incline alla iper-interpretazione
della costituzione: in tal modo, numerosi interessi possono facilmente salire,
in via interpretativa, ai piani alti della gerarchia delle fonti.
È ovvio che esistono diversi
filtri che possono selezionare l’accesso degli interessi al livello
costituzionale: penso ad esempio alla stessa formulazione linguistica delle
disposizioni costituzionali, ai contenuti etici che si ritengono compatibili
con la dimensione etica sostanziale dell’ordinamento, alle convenzioni argomentative
accettate nella cultura giuridica. Tuttavia ciò che intendo dire è che, in un
clima di cultura giuridica diffusamente “costituzionalizzata”, tali filtri operano
in maniera decisamente più blanda che in altri contesti. (98)
In secondo luogo, una volta
riconosciuto che un certo interesse può avere valenza costituzionale, diventa
difficile distinguerlo da un diritto o un principio. Infatti, un interesse può
avere una dimensione individuale, oppure una dimensione collettiva o
addirittura “pubblica” e istituzionale: nel primo caso esso è difficilmente
distinguibile da un diritto (si scorra la lista dei “nuovi” diritti fondamentali
che di volta in volta sono stati tratti dall’art. 2 della costituzione: cosa
distingue tali diritti dagli “interessi” se non, banalmente, il mero fatto che
i primi sono stati riconosciuti tali dalla Corte costituzionale?), nel secondo
caso è difficile distinguibile da un principio. (99) Nuovamente, l’opposizione dicotomica diritti/interessi sfuma.
In terzo luogo, ragionando non
più sul piano della teoria delle fonti e dell’interpretazione, ma su un piano
di politica del diritto, o anche sul piano di una disincantata teoria
giusrealistica dei diritti, non si vede perché considerazioni relative alla
“sostanza” di un diritto fondamentale dovrebbero (e potrebbero) essere sempre
nettamente distinte da – e prevalenti su – considerazioni relative agli
strumenti istituzionali che sono destinati a rendere effettivi i diritti
stessi. Infatti, come già detto in precedenza, uno stesso diritto può avere
molteplici articolazioni interne, può essere esercitato in varie modalità, non
tutte delle quali si trovano ugualmente “vicine” al valore che giustifica il
riconoscimento di quel diritto: alcune possono avere una importanza strumentale
essenziale in vista di quel valore (e così ricadono nel “nucleo essenziale”),
mentre altre possono avere un’importanza più indiretta. Se è così, non si vede
perché si dovrebbe aprioristicamente escludere la possibilità di bilanciare –
ad esempio – il diritto di difesa (in ogni sua possibile articolazione)
con considerazioni relative all’efficienza dell’apparato giudiziario. (100)
L’unico modo per evitare
l’esito indesiderato di bilanciare diritti fondamentali con considerazioni di
altro tipo consisterebbe nel postulare (o istituire in via interpretativa) una
gerarchia tra i valori costituzionali, o quantomeno nel sottrarre al
bilanciamento il nucleo essenziale dei diritti fondamentali (ma incontrando, in
entrambi i casi, le difficoltà già viste supra, § 3.2.1).
4.2. “Bilanciare”,
“contemperare”, “sacrificare”
L’espressione metaforica del
“bilanciamento” o “ponderazione” evoca due idee distinte, entrambe presenti
nella tecnica del bilanciamento giudiziale dei diritti: per un verso, l’idea di
assegnare un peso a qualcosa, e per altro verso l’idea di mettere in
equilibrio, di contemperare qualcosa con qualcos’altro. Vediamo innanzitutto se
questa seconda idea renda effettivamente giustizia di ciò che succede quando la
tecnica del bilanciamento viene messa all’opera dalle corti.
È diffusa l’idea che l’operazione
del bilanciamento debba tendere a rendere possibile la coesistenza di due
principi o diritti in conflitto, trovando un punto di equilibrio. (101) L’uso ricorrente di questa terminologia
metaforica maschera, credo, la difficoltà di non poter risolvere la
contraddizione normativa dichiarando l’invalidità o l’abrogazione o la
derogazione di una delle due norme in conflitto: entrambe sono valide, e
restano valide anche dopo la soluzione del conflitto, ma una dovrà necessariamente
prevalere; e se una prevale ma l’altra resta comunque valida, ciò deve significare
(così si potrebbe pensare) che tra le due è stato trovato un compromesso, un
punto di equilibrio.
Ad alcuni è sembrato comunque
che la terminologia metaforica sia non solo confusa, ma anche fuorviante.
Riccardo Guastini, in particolare, ha sostenuto che ciò che le corti fanno
realmente quando dicono di bilanciare diritti o principi, non è assicurare
l’armonica convivenza dei principi o diritti in conflitto, ma semplicemente
sacrificarne uno a vantaggio dell’altro: bilanciamento sarebbe dunque sinonimo
non di “contemperamento” o di “conciliazione”, ma di “accantonamento” o
“soppressione” di un diritto a vantaggio di un altro (relativamente ad un caso
concreto). (102) E si noti che
non si tratta della proverbiale disputa tra chi vede il bicchiere (dei diritti)
mezzo vuoto o mezzo pieno: ciò che si ricava dalla lettura di Guastini è
piuttosto che, dopo il giudizio di bilanciamento, il bicchiere di uno dei due
diritti è completamente vuoto.
Questa raffigurazione del
bilanciamento non mi sembra del tutto convincente. Certo, l’idea di Guastini
serve efficacemente a demistificare l’immagine semplice ed illusoria che
l’interprete trovi quasi magicamente (e, spesso, con assai povero dispendio di
argomentazione) una armonia tra diritti in conflitto. Tuttavia, l’idea che a
seguito del bilanciamento si operi la soppressione di uno dei due diritti (beninteso,
nel caso concreto) può essere interpretata, mi pare, in due modi. In primo
luogo, può significare che non è concettualmente possibile conciliare due diritti
in conflitto, ma solo farne trionfare uno a totale sacrificio dell’altro. In
secondo luogo può significare che conciliare due diritti in conflitto è concettualmente
possibile, ma che le corti di solito non riescono ad eseguire correttamente
questa operazione, con la conseguenza che in definitiva il bilanciamento si
risolve, di fatto, nel sacrificio di un diritto a vantaggio dell’altro.
La prima versione mi sembra
difficilmente difendibile, perché presuppone una immagine quasi “entificata” (e,
se non si trattasse di Guastini, direi essenzialista) dei principi o dei
diritti costituzionali. Intendo dire che un diritto costituzionale non è una
costruzione geometrica o (per usare una immagine meno nobile) un palloncino che
se forato in qualsiasi punto esplode. Piuttosto, la disciplina di un diritto
costituzionale comprende varie “ondate” (103) di diritti, facoltà, pretese, obblighi a carico di terzi,
garanzie che dovrebbero assicurare il soddisfacimento dell’interesse o del
valore che giustifica il diritto fondamentale. E si può ragionevolmente
sostenere che questi diritti, facoltà, pretese, obblighi, garanzie non solo non
siano tutti sempre precisamente predeterminabili (come abbiamo già visto supra,
§ 3.3.1.), ma altresì non abbiano tutti la medesima importanza (o il medesimo
“peso”) in vista della soddisfazione dell’interesse o del valore che fonda il diritto
fondamentale.
Se è così, non vedo ragione di
affermare a priori che tutti gli obblighi, diritti, facoltà,
pretese, garanzie che (ad esempio) si ramificano dall’uguaglianza formale
debbano sempre avere più importanza di tutti gli obblighi, diritti, facoltà,
pretese, garanzie che si ramificano dall’uguaglianza sostanziale. Da questo
punto di vista, forse, la teoria (o molto più vagamente l’idea) del contenuto
essenziale dei diritti fondamentali, pur inaccettabile nelle sue formulazioni
più ingenue e “cognitiviste” (o ontologizzanti), può offrirci un’utile
insegnamento sulla struttura dei diritti: che la disciplina di un diritto è
cosa alquanto complessa, e che non tutto quello che vi sta dentro ha la stessa
vicinanza con il nucleo centrale del diritto, la stessa importanza strumentale
alla realizzazione del valore che giustifica quel diritto.
Se quanto detto è plausibile,
allora non si può sostenere che ogni limitazione o sacrificio di un diritto sia
per ciò stesso una soppressione di quel diritto; si metta a confronto
l’imposizione di un obbligo di risarcimento a carico di chi ha diffuso notizie
false sulla vita privata altrui, con l’obbligo di autorizzazione preventiva da
parte dell’autorità politica sugli stampati destinati al pubblico: si tratta forse
in entrambi i casi di soppressione della libertà di espressione? Vietare la
circolazione dei veicoli con targa pari in certi giorni della settimana, o
addirittura mettere un semaforo ad un incrocio, equivale ad accantonare la
libertà di circolazione? Certamente, da un punto di vista logico si può sostenere
che il diritto fondamentale DF includa al suo interno una serie indefinita di
diritti impliciti DF1, DF2, DF3 ecc. (così, la libertà di espressione contiene
al suo interno il diritto di scrivere romanzi, di fare inchieste giornalistiche,
di scrivere sui muri con una bomboletta, di insultare, di raccontare in
pubblico fatti privati e imbarazzanti su altre persone, ecc.), e che a seguito
di bilanciamento alcuni di questi diritti impliciti cedano completamente
a fronte di un altro diritto ritenuto più importante. Ma nuovamente, questo
equivale a dire che il diritto DF, senza ulteriori qualificazioni,
è stato sacrificato (104)?
La seconda versione è un
giudizio di fatto, e come tale suscettibile di essere vero o falso sulla base
di indagini empiriche condotte sulla motivazione delle sentenze in cui viene
effettuata un operazione di bilanciamento. Ciò però presuppone l’aver ammesso
la praticabilità concettuale dell’idea del bilanciamento, che anzi serve a
distinguere tra buoni bilanciamenti (che hanno successo nel contemperare i
diritti in conflitto) e cattivi bilanciamenti (che sacrificano del tutto uno
dei due diritti). (105)
4.3. “Bilanciamento”: uno,
due, nessuno o centomila
La forzatura della citazione
pirandelliana nel titolo di questo paragrafo è presto spiegata. Si può infatti
discutere se esista un solo tipo di bilanciamento, ma destinato a produrre (centomila)
risultati proteiformi e imprevedibili – e pertanto nessuno (“bilanciamento”
diventerebbe infatti una formula vuota) –, oppure se se ne possano codificare
almeno due tipi, sufficientemente e sensatamente distinti.
Cercherò di mostrare che ha
senso distinguere almeno due tipi di bilanciamento: mutuando la terminologia
invalsa nella cultura giuridica statunitense, (106) distinguerò tra a) un bilanciamento “definitorio” o
“categoriale” (definitional balancing), e b) un bilanciamento
“caso per caso” (ad hoc balancing). Il passo immediatamente successivo
sarà di vedere c) se tale distinzione abbia veramente senso, e d)
se per caso non siano configurabili anche ulteriori tipi di bilanciamento.
4.3.1. Bilanciamento “caso
per caso”
Nel caso del bilanciamento
“caso per caso”, o bilanciamento ad hoc, il conflitto è risolto
volta per volta, in base ad una valutazione degli interessi e delle circostanze
specificamente prospettati dalle parti nel caso concreto.
Questo modo di concepire il
bilanciamento è implicito ogniqualvolta si affermi che la soluzione del
conflitto può essere raggiunta solo “per il caso concreto”, “per un caso dato”,
“solo per il caso che si sta giudicando”, o espressioni simili. (107)
Una delle più lucide
ricostruzioni di questa concezione del bilanciamento si deve a Riccardo
Guastini, che ha sostenuto che il bilanciamento consiste nell’istituire tra i
principi o diritti in conflitto una «gerarchia assiologica mobile» (108): in particolare, la gerarchia prodotta
all’esito del bilanciamento giudiziale tra i due diritti o principi in
conflitto è “assiologica” in quanto istituita tramite un soggettivo giudizio di
valore dell’interprete (nel testo costituzionale i due diritti o principi sono
equi-ordinati, quindi la gerarchia è estranea al testo), ed è “mobile” in
quanto relativa al caso concreto e non necessariamente riprodotta in casi
futuri (poiché i due diritti o principi in conflitto restano entrambi
pienamente validi, nulla garantisce che in un caso futuro, anche uguale al
precedente, la gerarchia non venga capovolta). Il bilanciamento sarebbe dunque
foriero di una duplice discrezionalità: in primo luogo nel dare prevalenza ad
un diritto rispetto ad un altro a scelta dell’interprete, e in secondo luogo
nella possibilità di ribaltare tale ordine di precedenza in casi futuri. Come
correttivo a questo eccesso di discrezionalità, Guastini suggerisce (come
abbiamo visto supra, § 3.2.2.) di risolvere il conflitto tra principi in
base al criterio di specialità: in tal modo si avrebbe una gerarchia (pur
sempre assiologica, ma) rigida, e quindi un solo grado di discrezionalità.
La tesi di Guastini sul
bilanciamento ha senza dubbio il pregio di mettere in luce l’aspetto fortemente
valutativo di questa tecnica argomentativa, squarciando il velo retorico di cui
essa solitamente si ammanta nelle motivazioni delle sentenze e che tenderebbe
ad accreditarla come operazione dotata di precisione oggettiva. Tuttavia, come
vedremo tra breve (§ 4.3.3.), è probabile che questa tesi riesca a cogliere
solo una parte del fenomeno del bilanciamento.
Inteso il bilanciamento in
senso casistico o particolaristico, nella soluzione del conflitto tra diritti
non sembra esservi spazio per un ragionamento di tipo deduttivo, basato
sull’applicazione di una regola: la decisione è apparentemente attinta tramite
un apprezzamento equilibrato e approfondito (oppure, con sguardo meno
“buonista”, tramite un apprezzamento del tutto soggettivo e idiosincratico) degli
interessi in gioco, delle caratteristiche rilevanti del caso, del loro “peso”,
e ulteriori considerazioni di questo tenore, e prescindendo dall’applicazione
di una regola stabile di soluzione del conflitto. Ma su questo punto bisogna
chiarirsi.
Affermare che il bilanciamento
ad hoc sia relativo ad un caso concreto, senza che sia necessario (né
opportuno) applicare una regola, (109)
sembrerebbe veicolare l’idea che per ogni caso concreto, inteso come caso
individuale appartenente ad uno stesso caso generico, (110) vale una decisione individualizzata,
particolaristica. In altre parole, sembra suggerire che anche due casi concreti
sufficientemente simili o addirittura identici possano e debbano essere decisi
con un giudizio individualizzato, relativo esclusivamente al “qui e ora”, che
può portare ad esiti differenti nei due casi. Ma che una decisione possa essere
assunta in questo modo non è razionalmente sostenibile, e non credo che sia questo
che si vuole sostenere da parte di chi afferma che la soluzione va data “caso
per caso”, o “in relazione al caso concreto”.
Sarebbe infatti un nonsenso
pretendere che a seguito di bilanciamento un caso venga deciso in un certo
modo, e che un caso futuro dello stesso tipo (un altro caso individuale
che rappresenta una instanziazione di uno stesso caso generico) sia deciso in
un altro modo. Una simile concezione del bilanciamento ad hoc lo
consegnerebbe alla pura irrazionalità. Non è possibile ricostruire razionalmente
una decisione se non come applicazione di un criterio (una regola, uno standard)
universalizzabile, che possa governare la decisione anche in un altro caso uguale.
(111)
Piuttosto ciò che i sostenitori del bilanciamento caso per caso intendono dire (pena
l’irrazionalità) è che non si daranno mai casi uguali, casi che abbiano in
comune tutte le proprietà rilevanti. In un ipotetico caso futuro potranno
emergere (quasi inevitabilmente) ulteriori caratteristiche, interessi, ecc.,
che porteranno l’interprete ad assumere una decisione diversa.
È evidente dunque che anche
nel caso di un bilanciamento ad hoc è stata comunque applicata una
regola. Tuttavia tale regola è ritenuta applicabile ad una classe di casi generici
che è costruita in maniera estremamente instabile: i casi futuri verranno
facilmente considerati come instanziazioni di casi generici diversi. La
generalizzazione resta costante solo coeteris paribus, esposta ad
innumerevoli ed imprevedibili eccezioni. Il giudice si riserva così un ruolo
quasi sapienziale ed equitativo (come traspare da espressioni frequenti in
giurisprudenza quali “occorre individuare l’equo contemperamento tra gli
opposti interessi”, “il conflitto deve essere risolto con una attenta
valutazione degli interessi nel caso concreto”, e simili).
Ovviamente, il modo di
funzionare del bilanciamento caso per caso può essere ricostruito anche
mettendo l’accento sul carattere “opportunistico” sotteso a questa strategia
decisoria: posto infatti che anche una decisione ad hoc è formalizzabile
in termini di (applicazione di una) regola generale, la differenza rispetto
alla decisione “definitional” allora è che nel primo caso il giudice non
enuncia la regola, ossia: non dichiara di seguire una regola (anche
giurisprudenziale) precostituita al giudizio, e non dice che il criterio per la
decisione di quel caso specifico (quella regola) sarà applicabile a tutti i
casi futuri con elementi simili. In casi di questo tipo, quindi, la decisione
può comunque essere ricostruita in termini di applicazione di una regola
universalizzabile, però il giudicante non è disposto ad esplicitarla (e quindi
universalizzarla), in altre parole a legarsi le mani in casi futuri che
potrebbero presentare peculiarità non previste. (112)
4.3.2. Bilanciamento
definitorio
Nel caso del bilanciamento
“definitorio” o “categoriale”, il conflitto tra i diritti o principi viene
risolto individuando una regola generale ed astratta, tendenzialmente applicabile
anche ai futuri casi di conflitto. Un bilanciamento definitorio può essere
ricostruito come una metodologia decisionale che, pur contenendo margini
valutativi, non si traduce necessariamente in sfrenato soggettivismo, in
valutazioni idiosincratiche e particolaristiche adottate caso per caso, ma è
invece controllabile razionalmente, e dà luogo a margini sufficientemente affidabili
di prevedibilità delle decisioni giudiziarie.
Questo tipo di bilanciamento
prevede che per ogni caso (generico) di conflitto tra due diritti fondamentali
si possa individuare una regola che, fissate certe condizioni di applicazione,
indichi la prevalenza di uno dei due diritti sull’altro, o comunque indichi le
modalità di coordinamento dell’esercizio dei due diritti. La regola sarà
applicabile a tutti i casi di conflitto che presentino le caratteristiche
previste nella “fattispecie” della regola. In tal modo, il bilanciamento non
sarebbe una attività decisionale del tutto aliena e incompatibile rispetto alla
sussunzione, ma piuttosto un passo preliminare alla costruzione della premessa
maggiore del sillogismo giudiziale, e pertanto prodromico all’applicazione sussuntiva
di una regola. (113)
La decisione assunta a seguito di bilanciamento sarebbe razionalmente
controllabile al pari di una decisione adottata applicando una (qualsiasi
altra) regola.
A questo punto si presentano
tre interrogativi:
a) come si costruisce la regola
nei casi di conflitto tra diritti;
b) se l’elaborazione della regola
nei casi di conflitto tra diritti sia suscettibile di ricostruzione razionale;
c) cosa assicura che la regola
così costruita sarà seguita in casi futuri.
Da un punto di vista
concettuale questi tre interrogativi possono essere tenuti distinti, anche se
le teorie del bilanciamento in circolazione di fatto provano a rispondere a
tutti e tre. (114) Ai primi due interrogativi si
cercherà di rispondere nel seguito di questo paragrafo (§§ 4.3.2.1. e
4.3.2.2.); al terzo nel paragrafo 4.3.3.1.
Parafrasando una distinzione
alquanto diffusa a proposito del concetto di interpretazione, si può dire che
nel prossimo paragrafo ci occuperemo del bilanciamento-prodotto, e nel
successivo del bilanciamento-attività (ossia l’insieme dei procedimenti
intellettuali messi all’opera per giungere a quel risultato). (115)
4.3.2.1. La regola del
conflitto
Ciò che distingue la regola
elaborata a seguito di bilanciamento definitorio rispetto a quella applicata in
sede di bilanciamento caso per caso è il maggiore ambito di applicazione della
prima rispetto alla seconda. Quest’ultima è infatti ritenuta applicabile solo
al caso concreto (o meglio, come abbiamo visto, ad un caso generico costruito
riproducendo esattamente le caratteristiche del caso individuale in cui si è
verificato il conflitto tra diritti): poiché un caso futuro esibirà fatalmente
alcune caratteristiche differenziali rispetto al precedente, ecco che si dovrà
escogitare un’altra regola, un altro bilanciamento-prodotto.
La regola costruita a seguito
di bilanciamento definitorio invece non riproduce esattamente le
caratteristiche del singolo caso di conflitto, ma piuttosto esplicita, a
partire da alcuni casi paradigmatici di conflitto tra diritti, alcune proprietà
rilevanti che si ritengono comuni a diverse ipotesi di conflitto tra diritti (ovvero,
si disegna una “topografia del conflitto”) (116). L’individuazione delle proprietà rilevanti comuni a vari
casi paradigmatici di conflitti permetterà di affermare che non tutte le
caratteristiche presenti in un caso concreto presente o futuro sono rilevanti,
e quindi produttive di una nuova regola. Inoltre, le proprietà rilevanti
presenti nei casi paradigmatici potranno guidare l’elaborazione di una regola diversa
in casi che presentano ulteriori proprietà rilevanti, diverse da quelle già
conosciute, oppure che non presentano alcune delle proprietà rilevanti presenti
nei casi paradigmatici. (117)
In tal modo, esiste la
possibilità di enucleare una regola che offra soluzioni riproducibili per tutti
i casi analoghi di conflitto tra due principi che si ripresenteranno in futuro,
quantomeno nei casi “centrali” o paradigmatici; si produce cioè una regola di
coordinazione tra i due diritti o principi in conflitto, che è suscettibile di
universalizzazione (ossia, è idonea a regolare casi futuri dotati di caratteristiche
rilevanti analoghe) (118)
e di sussunzione (ossia, è applicabile in maniera deduttiva, e quindi
“logicamente” controllabile), pur trattandosi comunque di una regola
suscettibile di revisione in presenza di ulteriori proprietà rilevanti.
L’individuazione della regola,
inoltre, ha già di per sé l’effetto di rendere tendenzialmente meno “mobile”
l’esito della ponderazione, perché alcune caratteristiche (non rilevanti) di un
caso non saranno prese in considerazione ai fini dell’applicazione o della
eventuale revisione della regola. Si inizia così a trasformare (quantomeno
all’apparenza) il giudizio di bilanciamento da un giudizio “sapienziale” in un
ragionamento “procedurale”. (119)
L’ovvio problema che si pone a
questo punto è capire cosa mai permetta l’individuazione delle proprietà
rilevanti e, se è per questo, cosa permetta la definizione stessa di alcuni
casi come paradigmatici. Non si può negare che questa attività abbia una
dimensione intuitiva, e che questa sia forse ineliminabile. (120) Però non si vede perché ritenere che questa componente sia
esclusiva, o anche solo dominante rispetto ad altre componenti. Certamente, quando
un partecipante competente alla pratica giuridica formula un giudizio a
proposito di una situazione nuova, egli presuppone un senso diffuso di ciò che
conta come caso simile e proprietà rilevante rispetto ai casi già conosciuti;
in questo senso diffuso giocano un ruolo le convenzioni accettate nella cultura
giuridica, i precedenti, e ovviamente i dati normativi, le fonti del diritto,
nonché assunzioni sull’accettabilità sociale delle decisioni. Questa attività
non è meccanica, è più simile al giudizio di analogia: coinvolge giudizi di
valore, ma questo non vuol dire che sia un’attività del tutto discrezionale o
arbitraria. (121)
4.3.2.2. (Ri)costruzione
razionale della regola?
Ovviamente, con questo si è
detto ancora abbastanza poco. Infatti, così come nel caso dell’applicazione
sillogistica di una regola ciò che è veramente importante è la costruzione
delle premesse (il sillogismo assicura la correttezza del passaggio dalle
premesse alla conclusione, ma non la correttezza della costruzione delle
premesse), il fatto che in ultima analisi la decisione in un caso di conflitto
tra diritti possa assumere la forma dell’applicazione sillogistica di una
regola non dice ancora nulla su come sia stata costruita quella regola: su come
sia stato effettuato il passaggio (o il “salto”) da due diritti in conflitto ad
una regola.
Inoltre, la circostanza che un
certo conflitto tra due diritti sia di fatto risolto utilizzando costantemente
un certo schema di soluzione (e quindi una regola) non implica di per sé che la
costruzione della regola sia frutto di un procedimento razionale e non invece
di mera intuizione. Il problema che ci poniamo adesso è appunto se la
costruzione della regola che assegna priorità ad uno dei due diritti in
conflitto sia frutto di ricostruzione razionale, o almeno sia assoggettabile a
ricostruzione razionale.
Una prima risposta la
conosciamo già, ed è la tesi di Guastini secondo cui la gerarchia tra diritti
in conflitto sia istituita grazie a soggettivi giudizi di valore
dell’interprete. (122)
Questa posizione è
criticabile, come emerge anche dalla discussione svolta nel paragrafo
precedente. Infatti, che l’ordine di preferenza tra i due diritti sia istituito
tramite una valutazione in termini di “peso” o “importanza”, e quindi con un
giudizio che ha innegabilmente un carattere assiologico e valutativo, non
implica necessariamente che tale giudizio sia anche irriducibilmente soggettivo
o addirittura solipsistico. Ciò equivarrebbe a negare che nella pratica
giuridica esistano criteri intersoggettivi di controllo sull’ammissibilità degli
argomenti assiologici che, contingenti e mutevoli quanto possono essere,
possono tuttavia essere sensatamente avanzati pro o contro una certa decisione;
(123) inoltre, ulteriori criteri possono
essere desunti dal diritto positivo. D’accordo, tutti questi fattori non determinano
sempre un risultato preciso e univoco; ma questo vuol dire che non giochino
alcun ruolo e che la scelta dell’interprete è esclusivamente idiosincratica?
Una seconda risposta si trova
all’estremo opposto, ed è la concezione del bilanciamento come procedura
razionale di Robert Alexy, (124) secondo cui la procedura di bilanciamento possa essere
ricostruita in maniera razionale e anzi che i suoi risultati siano quasi
misurabili. Per Alexy il giudizio di bilanciamento è una parte
dell’applicazione del più generale principio di proporzionalità. Quest’ultimo
comprende infatti tre sotto-principi: adeguatezza (ossia, la verifica che un
certo strumento, invasivo di un diritto fondamentale, sia adeguato o idoneo
alla soddisfazione o protezione di un altro diritto fondamentale), necessità (ossia,
la verifica che la soddisfazione del diritto concorrente non possa essere
realizzata con modalità alternative meno gravose), e proporzionalità in senso
stretto. La verifica della proporzionalità in senso stretto consiste propriamente
nella regola della ponderazione o bilanciamento («Quanto maggiore è il grado di
non soddisfazione di, o di interferenza con, un diritto, tanto maggiore deve
essere l’importanza della soddisfazione dell’altro»).
Ora, secondo Alexy
l’applicazione della regola della ponderazione può essere suddivisa in tre
passaggi: al primo passaggio si stabilisce il grado di non-soddisfazione di uno
dei due diritti; al secondo passaggio si stabilisce l’importanza della soddisfazione
del diritto concorrente; al terzo passaggio si stabilisce se l’importanza di soddisfare
quest’ultimo diritto giustifica l’interferenza o la non-soddisfazione del primo
diritto.
Come si sarà notato, a questo
punto dell’argomento iniziano a figurare elementi “quantitativi”: il grado
della non-soddisfazione di un diritto, la “misura” dell’importanza o “peso
astratto” dell’altro diritto; secondo Alexy, queste entità possono essere rese
con grandezze quantitative, ad esempio collocandole in una scala triadica (violazione
“grave”, “media”, “lieve” di un diritto; (125)
importanza astratta “elevata”, “media”, “bassa” di ciascuno dei diritti in conflitto);
inoltre, può essere resa con una grandezza quantitativa anche una terza serie
di fattori rilevanti per l’applicazione della regola della ponderazione, ossia
la affidabilità delle assunzioni empiriche che riguardano il grado di interferenza
di un diritto sull’altro. Tutti questi elementi, tradotti in quantità
numeriche, potranno essere disposti in una formula il cui quoziente darà la
“formula del peso”, ossia rivelerà quale dei due diritti ha più peso dell’altro
nel caso considerato. (126) Ecco che, secondo
Alexy, la procedura del bilanciamento diventa assoggettabile ad un controllo
razionale, analogo a quello della procedura di sussunzione: analogo ma non
identico, perché la sussunzione funziona secondo le regole della logica, mentre
la ponderazione secondo regole aritmetiche.
Qualche osservazione.
La prima osservazione, quasi
banale, è che Alexy ripone eccessiva fiducia nella possibilità di tradurre in
termini numerici il conflitto tra diritti. Ma questa sembra davvero una
raffigurazione troppo semplicistica del conflitto tra diritti.
In primo luogo, per quanto
riguarda la gravità dell’interferenza, possono esistere casi facili in cui essa
sia praticamente evidente, ma è più probabile che non sia affatto chiaro se – e
dal punto di vista di chi – una interferenza debba essere considerata lieve,
media o grave. (127)
In secondo luogo, per quanto
riguarda il peso astratto dei diritti in conflitto, se il documento
costituzionale non contiene al suo interno una chiara gerarchia dei diritti
allora l’attribuzione di peso astratto diverso a categorie diverse di diritti è
una operazione che ha tutta l’opinabilità già evidenziata a suo luogo a
proposito dell’idea dei principi costituzionali supremi (v. supra, § 3.2.1.);
inoltre il conflitto può avere ad oggetto due diritti dello stesso tipo, e così
questa variabile perde ogni importanza all’interno della formula del
bilanciamento. Infine, la stessa idea del peso astratto è poco plausibile,
visto che il conflitto si manifesta tra istanze specifiche dei diritti, istanze
che a loro volta possono avere una importanza strumentale differente rispetto
alla realizzazione dell’interesse che giustifica il diritto (cfr. supra,
§ 4.2.): detto in altri termini, raramente il conflitto vede contrapposti nella
loro interezza i nuclei essenziali dei due diritti. Se questo è vero,
allora questa variabile è poco importante, e addirittura potrebbe spesso falsare
il calcolo.
In terzo luogo,
l’apprezzamento della certezza empirica del grado di interferenza è una
valutazione nella migliore delle ipotesi probabilistica se non soggettiva.
Ovviamente, per evitare di naufragare nel mero soggettivismo, il giudice potrebbe
rivolgersi ad indagini scientifiche e statistiche che diano un supporto di
certezza scientifica alla sua valutazione; spesso tuttavia, questa speranza è destinata
ad andare delusa: come mostra ad esempio la problematica sull’accertamento tecnico-scientifico
del nesso di causalità in materia penale, in molti casi sufficientemente
complessi l’indagine scientifica può dare un responso in termini solo probabilistici.
(128)
Ovviamente non intendo
sostenere che i fattori indicati da Alexy non possano e non debbano mai entrare
in un giudizio di bilanciamento: tutt’altro. Piuttosto vorrei evidenziare che a
questi fattori non si può attribuire l’esattezza numerica che Alexy suggerisce;
e se l’attribuzione del valore numerico ha margini ineliminabili di opinabilità,
allora l’intero calcolo ne viene falsato. Inoltre, l’attribuzione di un numero
a questi fattori diventa una attività talmente dipendente dal caso concreto, da
eludere quasi del tutto l’aspirazione ad una loro riproducibilità in contesti
ulteriori.
La seconda osservazione è che
il modello di Alexy è implausibile non solo perché (come abbiamo appena visto)
è difficile e opinabile misurare quantitativamente le grandezze su cui si basa;
quanto perché, a ben vedere, è impossibile fissare l’importanza di un
diritto per un verso, e il grado di interferenza con un altro diritto per altro
verso, con una valutazione svolta in astratto, un passo alla volta.
Intendo dire che non vedo come
si possa sensatamente giudicare lieve o grave la lesione di un diritto, senza
allo stesso tempo prendere in considerazione l’importanza del diritto
concorrente. Si considerino i seguenti esempi di lesione dell’integrità fisica.
Caso A: rottura di una gamba di Tizio da parte di Caio, che è franato
rovinosamente su Tizio durante un ballo sfrenato e sotto l’effetto di parecchie
birre. Caso B: rottura di una gamba di Tizio da parte di Caio, che ha investito
Tizio guidando ad alta velocità mentre trasportava in ospedale una persona in
gravissimo pericolo di vita. Caso C: rottura di una gamba di Tizio da parte di
Caio, che ha investito Tizio mentre si precipitava a disinnescare una bomba
collocata all’interno di un teatro affollato, o in una scuola. La lesione del
bene “integrità fisica” di Tizio è la stessa, ma ritengo che la giudicheremmo grave
nel primo caso, quantomeno media nel secondo, e forse addirittura lieve
nel terzo. La scelta dell’esempio della lesione all’integrità fisica vorrebbe
essere provocatoria: infatti una lesione all’integrità fisica è solitamente
quantificabile (si pensi alle tabelle sul danno biologico adottate dai
tribunali), e inoltre l’intergità fisica è (insieme alla vita) un bene di
importanza apicale. In altre parole ho cercato di suggerire come una
identica lesione di un bene di elevata importanza, e il cui godimento è
ritenuto in qualche senso misurabile, sia suscettibile di essere ricondotta a
livelli diversi di gravità (anche) in relazione al tipo di attività lesiva. Il
gioco sarebbe stato molto più facile con diritti il cui contenuto non è esattamente
definito e il cui esercizio è graduabile (come la libertà di circolazione), o
il cui esercizio è fortemente legato alla visione del mondo del titolare (come
la libertà religiosa).
Se è così, la distinzione tra
le varie fasi del giudizio di bilanciamento, così come immaginata da Alexy,
rischia di essere artificiosa perché potrebbe suggerire l’idea che nella prima
fase i due diritti sono misurati in vacuo, e in tal modo viene
attribuito un peso a ciascuno di essi, mentre solo nella seconda sono messi a
confronto e quindi armonizzati. Vi sono invece buone ragioni per pensare che
già nella prima fase il “peso” assegnato ad un diritto dipenda in buona misura
dal peso che si ritiene di assegnare all’altro: (129)
a meno, ovviamente, di cessare di considerare come puramente metaforica la
nozione di peso, e sposare qualche forma ingenua di cognitivismo etico.
Tutto ciò rende dunque, a mio
modo di vedere, difficilmente distinguibile la fase dell’ascrizione di un peso
a quella della conciliazione/armonizzazione: una distinzione che forse è
legittimamente sostenibile solo a fini di semplicità ricostruttiva ex post
della decisione di bilanciamento, ma che rischia di mettere in ombra un aspetto
importante, ossia il carattere reciproco e bilaterale dell’ascrizione di peso
ai due diritti in conflitto. In altre parole, tenere distinte queste fasi si
presta evidentemente al rischio di incorrere in un circolo vizioso, perché la
gravità della lesione di un diritto è valutata in base all’importanza del
diritto concorrente, ma anche l’importanza del diritto concorrente dipende
dalla gravità della lesione arrecata all’altro diritto. (130) Il circolo vizioso può invece essere evitato con una
considerazione unitaria del giudizio di bilanciamento, che lo avvicina all’idea
rawlsiana di equilibrio riflessivo. (131)
Forse l’utilità della teoria
di Alexy è la stessa che è di solito riconosciuta al modello del sillogismo
giudiziario: nulla di più che una ricostruzione ex post di una decisione
già presa, e che serve a rendere espliciti i passaggi di quella decisione. Ma
questo, si badi, non per banali ragioni psicologiche ed empiriche (perché ciò
che accade realmente nella testa dell’interprete è imperscrutabile), ma
piuttosto per ragioni che definirei concettuali: perché non è possibile assegnare
un peso ad un diritto separatamente dalla valutazione dell’interferenza che
esso realizza con un altro diritto in conflitto, e viceversa.
4.3.3. Se la distinzione
sia davvero sostenibile
Fin qui la ricostruzione di
due modelli possibili di bilanciamento sembra piuttosto plausibile. Tuttavia
occorre prendere in considerazione una obiezione assai insidiosa: che la
distinzione tra un bilanciamento definitorio e un bilanciamento caso per caso
sia mal costruita.
L’obiezione può presentarsi in
due forme: in primo luogo, può mettere in dubbio che abbia concettualmente
senso distinguere i due tipi di bilanciamento. In secondo luogo, può
sottolineare che il bilanciamento definitorio assicura una guida solo
illusoria, perché comunque i criteri di applicazione dovranno essere necessariamente
specificati e adattati ai casi concreti: e quindi alla fine sarebbe pur sempre
il caso concreto ad avere l’ultima parola. (Si tratta forse della stessa
obiezione, però formulata nel primo caso in termini concettuali, nel secondo caso
empirici).
In entrambi i casi, ciò che si
vuole mostrare è che, a meno di non volerci ingannare e cullarci su
rappresentazioni consolatorie, solo il bilanciamento caso per caso, con tutto
il suo precipitato di incertezza e discrezionalità soggettiva, ha piena
cittadinanza nell’universo giuridico.
4.3.3.1. Impossibilità
concettuale di distinguere
Secondo la prima versione di
questa obiezione, (132) la possibilità di tracciare questa
distinzione dà per acquisito un passaggio che in realtà è tutt’altro che
pacifico, e cioè che sia possibile tracciare in maniera definitiva la
topografia del conflitto, ovvero esplicitare tutte le proprietà rilevanti nei
casi di conflitto tra diritti fondamentali. Se si dovesse riconoscere, invece,
che non è concettualmente possibile individuare in maniera definitiva l’insieme
delle proprietà rilevanti (se la topografia del conflitto fosse a ben vedere
una mappa dalle dimensioni infinite, oppure completamente bianca), allora
l’individuazione della “regola” sarebbe illusoria perché, in un caso futuro abbastanza
(ma non in tutto) simile a quello per il quale la regola è stata distillata,
sarebbe possibile risolvere il conflitto in un modo diverso, applicare un’altra
regola. In altre parole, resteremmo solo con bilanciamenti caso per caso:
malleabili, imprevedibili, rimessi alle valutazioni soggettive degli
interpreti.
Non ho nessuna difficoltà ad
accettare l’idea dell’impossibilità concettuale di chiudere in maniera
definitiva l’universo delle proprietà rilevanti. Non vedo però perché questo
dovrebbe dissolvere la possibilità di un bilanciamento definitorio, e farlo collassare
nel bilanciamento caso per caso.
Certo, il fatto che le corti (o
alcune corti) abbiano adottato in un caso una certa regola come soluzione del
conflitto tra diritti non è di per sé una garanzia che tale regola venga
applicata anche in futuro, allo stesso modo in cui il fatto che – ad esempio –
le corti interpretino costantemente una certa disposizione prendendo in
considerazione esclusivamente il suo significato letterale non è di per sé una
garanzia che in futuro le corti non sottopongano quella disposizione ad interpretazione
estensiva, o restrittiva, o teleologica, in modo da trarne una norma diversa.
Tuttavia quest’argomento può essere in un certo senso ribaltato: infatti, la
circostanza che l’universo delle proprietà rilevanti sia potenzialmente
infinito non implica necessariamente che il giurista-interprete debba o voglia
caso per caso prendere in considerazione sempre nuove proprietà.
In altri termini, dal fatto
che l’interprete possa prendere in considerazione un universo sterminato
ed inesauribile di proprietà rilevanti per ciascun caso concreto, non segue che
non possa fare a meno di farlo. E peraltro in ambito giuridico esiste
tutta una serie di fattori (ragioni di economia processuale, esigenze di
uguaglianza formale, di coerenza sistematica, di nomofilachia, di rispetto del
precedente, un certo grado di conservatorismo nella mentalità professionale dei
giudici, e così via), che possono invece spingere proprio nella direzione
opposta, “conservatrice”, di indurre l’interprete a riprodurre un certo schema
di chiusura delle proprietà rilevanti che abbia già dato buona prova di sé in
precedenti applicazioni. (133)
Si dirà: (134) lo sforzo di costruire un modello
teorico di bilanciamento definitorio è comunque destinato a girare a vuoto, perché
di fatto le corti fanno ricorso a bilanciamenti caso per caso, e non a
bilanciamenti definitori. Questa è una obiezione non concettuale, ma
descrittiva e in ultima analisi empirica, suscettibile di essere verificata
“sul campo”. Certo, se questa tesi descrittiva fosse assolutamente vera
proietterebbe una luce sinistra sul concetto di bilanciamento definitorio, lo
renderebbe un’idea vuota (come ci insegna la precarietà della distinzione
analitico/sintetico) (135),
e magari al servizio di pericolose illusioni. Ma io credo che uno sguardo alla
pratica effettiva dei giuristi mostri che ci sia spazio per entrambi i modelli.
Esistono infatti ambiti in cui il bilanciamento si è ampiamente consolidato in
pratiche decisionali che si basano su griglie uniformi, ripetibili e ripetute, (136) e ambiti in cui il bilanciamento non perde un
carattere particolaristico e orientato al “caso concreto”. (137)
Se le cose stanno così, non è
allora inopportuno costruire un modello teorico che sia idoneo a rendere conto
del fatto che le corti possono risolvere i conflitti tra diritti fondamentali
secondo una modalità non particolaristica.
4.3.3.2. Difficoltà
empirica di distinguere
Fin qui la questione
concettuale e teorica. La distinzione però può essere messa in questione anche
da un altro punto di vista: infatti si può notare che di fatto accade che i
criteri in base ai quali effettuare il bilanciamento definitorio (le condizioni
di applicazione della regola generata in seguito al bilanciamento) sono spesso
formulati in maniera estremamente vaga e indeterminata, con clausole elastiche
e termini valutativi (si pensi ad esempio al criterio dell’“interesse pubblico
della notizia”, utilizzato dalla giurisprudenza italiana nel bilanciamento tra
diritto di cronaca e reputazione). Ci si può chiedere dunque se un bilanciamento
definitorio in cui la regola di soluzione del conflitto contenga elementi di
questo tipo non finisca per essere, di fatto, un bilanciamento caso per caso.
Non è possibile dare una
risposta definitiva a questa domanda, allo stesso modo in cui non è possibile
dire in maniera definitiva se una regola che contiene clausole elastiche,
elementi valutativi, concetti indeterminati, ecc., sia ancora una regola oppure
uno standard di tipo diverso (ad esempio un principio). Per un verso, infatti,
si sostiene che una regola che prevede eccezioni anche numerose non cessa di
essere una regola. (138) Per altro verso, però, la differenza tra
regole e principi è una questione di grado, e come per tutte le questione di grado,
vi possono essere casi in cui non è chiaro se qualcosa sia una regola o un
principio.
Se è così, allora tra
bilanciamento caso per caso e bilanciamento definitorio passa la stessa
differenza che c’è tra principi e regole: è una differenza di grado e relazionale,
a seconda del maggiore o minore grado di “chiusura” delle condizioni di
applicazione. Vi possono essere regole di soluzione del conflitto più rigide e
regole più elastiche e sensibili alla varietà delle circostanze concrete di
applicazione.
Quanto appena detto consente
di trovare l’esatta collocazione di quello che talvolta è considerato un terzo
tipo di bilanciamento: un bilanciamento definitorio o categoriale che risolve
il conflitto imponendo al giudice di effettuare un bilanciamento ad hoc,
magari sulla base di alcuni parametri indicati in via alquanto generale. (139) Nella letteratura costituzionalistica italiana
si parla in proposito di “delega di bilanciamento in concreto”: (140)
dove la delega a bilanciare caso per caso viene conferita dalla Corte
costituzionale ai giudici comuni, indicando alcuni criteri di massima cui
questi ultimi dovrebbero ispirarsi. Si tratta certamente di una figura
interessante sotto alcuni profili (ad esempio sul piano della teoria delle
fonti); non vedo però alcuna autonomia concettuale di questo “terzo” modello
rispetto al bilanciamento ad hoc, specialmente nel caso in cui (come di
solito accade) la “delega” debba essere attuata secondo criteri estremamente
elastici, e non è niente di diverso dall’applicazione giudiziale di una regola
che contiene clausole generali, o concetti elastici.
5. Conclusioni: vizi e
virtù del bilanciamento
Oggi più che mai in qualsiasi epoca storica,
l’umanità si trova a un bivio. Una strada conduce alla disperazione più
assoluta; l’altra, alla totale estinzione. Preghiamo il cielo che ci dia la
saggezza di fare la scelta esatta.
(W. Allen, Side Effects)
In questo saggio ho cercato di
mostrare che il bilanciamento tra diritti fondamentali è: a)
inevitabile, in quanto la necessità di operare un bilanciamento deriva da un
fenomeno a sua volta pervasivo (il conflitto tra diritti fondamentali), è
interna alla definizione stessa del contenuto dei diritti fondamentali, e inoltre
ha un radicamento profondo in modelli anche tradizionali di ragionamento giuridico;
b) suscettibile di ricostruzione razionale (anche se questa ricostruzione
ne porta alla luce gli elementi discrezionali e forse anche intuitivi) e
accettazione intersoggettiva; c) non necessariamente antinomico rispetto
all’esigenza di assicurare un grado di prevedibilità alle decisioni giudiziarie.
Oltre ad essere inevitabile,
si può aggiungere che il bilanciamento, come ha mostrato la vicenda del
bilanciamento nella cultura giuridica americana, ha una natura primariamente
“tecnica” (nel senso di tecnica argomentativa, beninteso): e in quanto tecnica,
esso è in qualche misura neutrale rispetto alle finalità “politiche” che con
essa si vogliono perseguire. (141) La tecnica del bilanciamento può
essere usata – ed è stata usata – con finalità o effetti “liberali”, in vista
dell’estensione dello spazio dei diritti e della restrizione dell’ambito di
legittimo interventi del governo rispetto alle libertà individuali, o
all’opposto con finalità o effetti di restrizione delle libertà individuali,
perché al di là di formulazioni anche assolute vengono relativizzate assoggettandole
a bilanciamenti caso per caso, e rese recessive a fronte di un interesse
contrapposto.
Ma che il bilanciamento abbia
una natura (politicamente neutra) di tecnica argomentativa, o retorica, non
equivale a dire che l’uso di questa tecnica non produca conseguenze di altro
tipo. Riconoscere che il bilanciamento abbia una potenza retorica non è senza
effetto, perché può aprire spazi argomentativi che sono estranei (o sono molto
ristretti) nel caso di altre tecniche argomentative; in fin dei conti, in
questo saggio abbiamo già visto all’opera alcune tecniche argomentative che
implicano una stessa logica (e in qualche misura la stessa logica del
bilanciamento) e che però dispiegano una forza retorica posta al servizio di
operazioni di politica del diritto diverse: mi riferisco alla teoria dei limiti
impliciti o logici dei diritti fondamentali (che ha palesemente una finalità di
limitazione e funzionalizzazione dei diritti fondamentali) e la teoria del
contenuto essenziale (che invece ha una finalità di difesa di un nucleo
irrinunciabile dei diritti).
Due brevi considerazioni
conclusive, allora, sui possibili effetti della tecnica del bilanciamento.
La prima considerazione è che
il bilanciamento mette in luce una caratteristica ineliminabile dei diritti e
principi costituzionali, cioè che i diritti non vivono in isolamento, ma si
trovano in una situazione di continua interazione potenzialmente conflittuale.
Il bilanciamento stimola un approccio non “atomistico” ma (moderatamente)
“olistico” ai diritti, che evidenzia le continuità, le sovrapposizioni, le
intersezioni e i conflitti tra diritti, e che le scelte a favore di un diritto
sono inevitabilmente “costose”: (142)
in termini non solo di costi economici, ovviamente, ma anche di compressione di
altri diritti. E, come ho cercato di evidenziare nel corso di questo saggio,
questo ci offre un quadro più attendibile del funzionamento dei diritti.
La seconda considerazione (143) è che una cosa è riconoscere
l’inevitabilità (e anche l’utilità) del bilanciamento, altra cosa è diventarne
ostaggi. Proprio perché il bilanciamento contiene elementi discrezionali e
intuitivi, è più che mai opportuno un uso “controllato” di questa tecnica.
Inoltre, un uso onesto e trasparente di questa tecnica deve rendere chiaro che
il bilanciamento implica appunto scelte costose, invece che occultarle dietro
la dichiarata scoperta di un ordine oggettivo o intrinseco o, peggio ancora,
logico, tra diritti. Infine, dire che i diritti costituzionali non sono degli
“assoluti” non implica che possano essere sempre bilanciati: dire che un
diritto possa entrare in conflitto con altri diritti o interessi non vuol dire che
qualsiasi interesse possa sempre essere portato a bilanciamento con i diritti
costituzionali.
Pertanto, se non vuole
diventare una formula magica o una foglia di fico destinata a coprire un
arbitrio inconfessabile, il bilanciamento richiede agli interpreti un adeguato
sforzo argomentativo per esplicitare e giustificare le varie scelte (sull’individuazione
dei casi paradigmatici, sulla rilevanza di casi nuovi e imprevisti, sulle
conseguenze della limitazione di un diritto a favore di un altro, sull’importanza
dei diritti in competizione, ecc.) che esso implica. Ciò richiederebbe, credo,
di delineare i requisiti minimi di una teoria dell’argomentazione razionale, e
altresì di una teoria del contenuto essenziale dei diritti costituzionali. Ma
questo sarebbe un altro saggio.
(*) Ringrazio Aldo Schiavello per la pazienza
e l’attenzione con cui ha letto e commentato una versione precedente di questo
saggio.
(1)
Dopo qualche apparizione non sistematica già nei decenni precedenti, il tema
del bilanciamento è stato portato con forza all’attenzione della cultura giuridica
italiana da due lavori coevi, e giustamente celebri, di studiosi di diritto
costituzionale: G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia,
Einaudi, Torino, 1992; R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli
interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992.
Tra i teorici del diritto, la
problematica era già stata introdotta da L. Gianformaggio, L’interpretazione
della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata su
principi, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1985, pp.
65-103. Tuttavia il dibattito si è notevolmente intensificato a margine della
posizione assunta da Riccardo Guastini, che a quanto mi risulta è stata formulata
per la prima volta proprio in un commento al libro di Zagrebelsky appena
menzionato: R. Guastini, Diritto mite, diritto incerto, in «Materiali
per una storia della cultura giuridica», 1996, pp. 513 ss.
(2)
Al momento uso i due termini come sinonimi e, come è reso manifesto dal testo,
con riferimento ad attività argomentative svolte in sede giudiziale.
(3)
Il carattere “sapienziale” di alcune concezioni del bilanciamento è messo in
luce da B. Celano, Justicia procedimental pura y teoría del derecho, in
«Doxa», 24, 2001, pp. 407-427.
(4)
In particolare, per quanto riguarda la nozione di giustificazione razionale e
di razionalità limitata, v. ora G. Maniaci, Razionalità e bilanciamento tra
principi del diritto: un inventario, un’intuizione, una proposta, in
«Ragion pratica», 25, 2005, pp. 335-364.
Con riferimento alle teorie
del ragionamento pratico in generale, il punto più rilevante ai fini di una
discussione sul bilanciamento tra diritti (o, più in generale, ragioni) è
ovviamente se e in che misura esso abbia carattere particolaristico. Cfr. M.C.
Redondo, Ragioni e norme, in «Ragion pratica», 25, 2005, pp. 439-468; B.
Celano, Possiamo scegliere tra particolarismo e generalismo?, ivi, pp.
469-489.
(5)
Si vedano ad esempio le direttive metodologiche articolate dalla c.d. “giurisprudenza
degli interessi”, su cui K. Larenz, Storia del metodo nella scienza giuridica(1960),
Giuffré, Milano, 1966, pp. 65-82; G. Fassò, La filosofia del diritto
dell’Ottocento e del Novecento, il Mulino, Bologna, 19882, pp.
169-171.
(6) Si vedano ad es. O.W. Holmes, The Path of the Law, in «Harvard
Law Review», 1897, pp. 457-478; R. Pound, A Survey of Social Interests,
in «Harvard Law Review», 1943, vol. 57, pp. 1 ss.
Sul ruolo del giurista come
ingegnere sociale e arbitro di conflitti di interessi nel realismo giuridico
americano, v. G. Tarello, «Sociological Jurisprudence»(1970), in Id., Cultura
giuridica e politica del diritto, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 387-390;
H.L.A. Hart, La jurisprudence americana attraverso gli occhi di un
inglese: l’incubo e il nobile sogno(1977), in A. Schiavello, V. Velluzzi(a
cura di), Il positivismo giuridico contemporaneo. Una antologia, Giappichelli,
Sul realismo giuridico
americano in generale, G. Tarello, Il realismo giuridico americano,
Giuffré, Milano, 1962; N. Duxbury, Patterns of American Jurisprudence,
Clarendon Press, Oxford, 1995, spec. cap. 2; S. Castignone, C. Faralli, M. Ripoli(a
cura di), Il diritto come profezia. Il realismo americano: antologia di scritti,
Giappichelli, Torino, 2002(dove si può leggere anche una traduzione italiana
del saggio di Holmes citato supra in questa nota).
(7) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, in
«Yale Law Journal», 1987, vol. 96, pp. 943-1005.
(8) Cfr. T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing,
cit., p. 962-963.
(9) A.
Vespaziani, Il bilanciamento dei diritti nella cultura giuridica
statunitense, in «Diritto pubblico», 2001, 2, pp. 457-515.
(10) L.B. Frantz, The First Amendment in the Balance, in «Yale Law
Journal», vol. 71, 1962, pp. 1424-1450; Id., Is The First Amendment Law? A
Reply to Professor Mendelson, in «California Law Review», 1963, vol. 51,
pp. 729-754; T. Emerson, Toward a General Theory of the First Amendment,
in «Yale Law Journal», vol. 72, 1963, pp. 877-956(critica del bilanciamento,
identificato tout court con il bilanciamento ad hoc).
M.
Nimmer The Right to Speak from Times to Time: First Amendment
Theory Applied to Libel and Misapplied to Privacy, in «California Law
Review», vol. 56, 1968, pp. 935-967(superamento
(11) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing,
cit.; J. Shaman, Constitutional Interpretation. Illusion and Reality,
(12) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of
Balancing, cit., p. 944.
(13) P. McFadden, The Balancing Test, in «Boston College Law
Review», vol. 29, 1988, pp. 585-656(spec. pp. 603-611).
(14) È notoriamente la tesi di P. Trimarchi, Illecito(diritto
privato), in Enciclopedia del diritto, vol. XX, 1970, pp. 90-112(a
p. 98).
In giurisprudenza, ampi
riferimenti alla individuazione e ponderazione giudiziale dei vari interessi in
conflitto nel giudizio di responsabilità civile si possono leggere in Corte di
Cassazione, Sezioni Unite, 22 luglio 1999 n.
(15) A. Gambaro, La proprietà. Beni proprietà comunione,
Giuffrè, Milano, 1990, p. 387; U. Mattei, La proprietà, Utet, Torino,
2001, pp. 316-326.
(16) In proposito si veda F. Albeggiani, Profili problematici
del consenso dell’avente diritto, Giuffré, Milano, 1995, pp. 20-26, 39-45,
e cap. II.
(17) Così, M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I,
Giuffrè, Milano, 1970, p. 481; G. Barone, Discrezionalità. I) Diritto
amministrativo, in Enciclopedia Giuridica, vol. XI, 1989.
(18) Cfr. G. Corso, Il principio di ragionevolezza nel diritto
amministrativo, in «Ars Interpretandi», 2002, 7, pp. 437-451.
(19) Questa è l’idea, palesemente debitrice di istanze provenienti
dalla “giurisprudenza degli interessi” (cfr. supra, nota 5), di E.
Betti, L’interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale
e dogmatica) (1949), Giuffrè, Milano, 1971, pp. 266-270.
Cfr. invece R. Sacco, Il
concetto di interpretazione del diritto (1947), Giappichelli, Torino, 2003,
p. 56, per una critica all’idea che la valutazione comparativa degli interessi
trovi nella norma una soluzione chiara, invece di richiedere un intervento
“costruttivo” da parte dell’interprete.
(20) P. Trimarchi, Illecito, cit.
(21) Mi riferisco ovviamente a quella parte della dottrina (specialmente
civilistica) che già dagli anni ’60 promuoveva una faticosa traduzione di
alcune categorie ed istituti alla luce di principi costituzionali. Si vedano
alcune idee seminali in R. Nicolò, Diritto civile, in Enciclopedia
del diritto, vol. XII, 1964, pp. 904-921. Il nuovo programma fu quindi
sviluppato con decisione da Stefano Rodotà (Il problema della responsabilità
civile, Giuffrè, Milano, 1964, cap. III; Le fonti di integrazione del
contratto, Giuffrè, Milano, 1965, pp. 163-175; Ideologie e tecniche
della riforma del diritto civile, in «Rivista di diritto commerciale»,
1967, I, pp. 83-125), utilizzando principalmente il principio di solidarietà, ricavato
dall’art. 2 cost., al fine di integrare le clausole generali del danno ingiusto
(art. 2043 c.c.) e della buona fede (art. 1175 c.c.).
(22) Per un più completo resoconto della stagione del “disgelo
costituzionale” nella cultura giuridica italiana, si vedano M. Dogliani, Interpretazioni
della costituzione, Franco Angeli, Milano, 1982, cap. 4; L. Ferrajoli, La
cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1999.
(23) Per la distinzione tra queste due concezioni della
costituzione, e le loro conseguenze sugli atteggiamenti degli interpreti, si
veda G. Tarello, L’interpretazione della legge, Giuffrè, Milano, 1980,
spec. pp. 331-338.
(24) Secondo la definizione di G. Tarello, L’interpretazione
della legge, cit., p. 337, e di R. Guastini, La “costituzionalizzazione”
dell’ordinamento italiano, in «Ragion pratica», 11, 1998, pp. 185-206.
Per alcuni cenni sulla
stagione della “costituzionalizzazione” della civilistica italiana, v. G. Pino,
Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e
creatività giurisprudenziale, il Mulino, Bologna, 2003, cap. I (con
ulteriori riferimenti bibliografici).
Si tratta peraltro di una
vicenda che ha investito, quasi in contemporanea, diverse culture giuridiche
occidentali. Per alcuni cenni comparativi, v. A. Heldrich, G. Rehm, Importing
Constitutional Values through Blanket Clauses, in D. Friedmann, D.
Barak-Erez (eds.), Human Rights in Private Law, Hart, Oxford, 2001, pp.
113-128; R. Pardolesi, B. Tassone, Corte costituzionale, fonti e diritto
privato: un’analisi comparativa, in «LE Lab – Laboratorio di analisi economica
del diritto», www.law-economics.net.
(25) Se ne veda una efficace ricostruzione in R. Guastini, La
“costituzionalizzazione” dell’ordinamento italiano, cit.
(26) In proposito, M. Dogliani, Interpretazioni della
costituzione, cit., pp. 69-72; R. Guastini, La “costituzionalizzazione”
dell’ordinamento italiano, cit., pp. 190-191, 200-202; Id., L’interpretazione
dei documenti normativi, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 306-309.
(27) G. Tarello, L’interpretazione
della legge, cit. p. 337; R. Guastini, La “costituzionalizzazione”
dell’ordinamento italiano, cit., pp. 188-190, 195-197; Id., L’interpretazione
dei documenti normativi, cit., pp. 284-294.
(28) R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in
«Diritto & Questioni pubbliche», 2, 2002,
www.dirittoequestionipubbliche.org, p. 123.
(29) Cfr. ad es. E. Navarretta, Diritti inviolabili e
risarcimento del danno, Giappichelli, Torino, 1996; Ead., Bilanciamento
di interessi costituzionali e regole civilistiche, in «Rivista critica del
diritto privato», 1998, 4, pp. 625-657; V. Scalisi, Ingiustizia del danno e
analitica della responsabilità civile, in «Rivista di diritto civile»,
2004, 1, pp. 29-56 (spec. pp. 54 ss.).
(30)
A. Gambaro, Il diritto di proprietà, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 505-508;
U. Mattei, La proprietà, cit., pp. 326-329 (entrambi con riserve sull’applicabilità
del rimedio di cui all’art. 844 c.c. in materia di tutela della salute).
(31) F. Albeggiani, Profili problematici del consenso
dell’avente diritto, cit., cap. II.
(32) Il riferimento è, per l’Italia, al noto “caso Oneda”: Corte
di Assise Cagliari 10 marzo
Sulla possibilità di bilanciare
i beni oggetto di tutela penale con la libertà religiosa, si vedano ad es.
Vitale, Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico ed interessi
religiosi, Giuffrè, Milano, 1996, pp. 232 s.; C. Visconti, Il prete ed
il boss mafioso latitante: l’accusa di favoreggiamento val bene una messa?,
in «Foro italiano», 1998, II, 287.
(33) A. Tesauro, Il bilanciamento nella struttura della
diffamazione tra teoria del reato e teoria dell’argomentazione giudiziale,
in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2004, 4, pp. 1083-1126.
(34) La ricerca della ratio legis è considerata il primo
passo del giudizio di bilanciamento tra diritti fondamentali ad es. da R. Bin,
G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 20012,
p. 487.
Per ulteriori riflessioni
circa la contiguità tra ricerca della ratio legis e ricorso ai principi,
cfr. E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale,
Giappichelli, Torino, 1999, pp. 411 ss.; V. Velluzzi, Interpretazione
sistematica e prassi giurisprudenziale, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 125
ss.
(35) Resoconto che è ampiamente debitore di J. Waldron, Rights
in Conflict (1989), in Id., Liberal Rights. Collected Papers 1981-1991,
Cambridge U.P., Cambridge, 1993; A. Pintore, Diritti insaziabili, in L.
Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E.
Vitale, Laterza, Roma-Bari, 2001, pp. 179-200; B. Celano, Diritti, principi
e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione,
in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2004. Ricerche
di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 53-74.
(36) Si veda ad es. H. Steiner, An Essay on
Rights, Blackwell,
(37) Ad esempio, una drastica riduzione dell’ambito dei conflitti
tra diritti è di solito individuata in J. Rawls, Una teoria della giustizia
(1971), Feltrinelli, Milano, 1993; cfr. A. Marmor, On the Limits of Rights,
in «Law and Philosophy», vol. 16, 1997, pp. 1-18; J.J. Moreso, Ferrajoli
sobre los conflictos entre derechos, in M. Carbonell, P. Salazar (coord.), Garantismo.
Estudios sobre el pensamiento jurídico de Luigi Ferrajoli, Trotta, Madrid,
2005, pp. 159-170.
(38) R. Nozick, Anarchia, stato e utopia (1974), Il
Saggiatore, Milano, 2005, pp. 49-54.
Sulla implausibilità del
modello nozickiano dei diritti, specialmente se applicato alla sfera dei
diritti costituzionali, A. Marmor, On the Limits of Rights, cit.; B.
Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto:
tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 58-60; S. Besson, The Morality
of Conflict. Reasonable Disagreement and the Law, Hart, Oxford, 2005, p.
429.
(39) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 277-369.
(40) L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, in L. Ferrajoli, Diritti
fondamentali, cit., pp. 5-40 (a p. 5).
(41) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., pp. 293, 331.
(42) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., pp. 293, 295, 330.
(43) L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 12-18.
(44) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., p. 292 (l’affermazione è in realtà testualmente riferita anche agli altri
diritti di libertà, tuttavia in seguito Ferrajoli afferma l’esatto contrario,
come vedremo subito; può quindi essere considerata un lapsus calami).
(45) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., pp. 328-330; si noti che Ferrajoli tende comunque a stemperare questa
possibilità anche sul piano retorico, preferendo parlare di «limiti» anziché di
conflitti (pur in un contesto in cui ammette esplicitamente la plausibilità
della tesi del conflitto tra diritti).
(46) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., pp. 328-330; si noti che Ferrajoli tende comunque a stemperare questa
possibilità anche sul piano retorico, preferendo parlare di «limiti» anziché di
conflitti (pur in un contesto in cui ammette esplicitamente la plausibilità
della tesi del conflitto tra diritti).
(47) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., p. 330.
(48)
P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fondamentali, in P.
Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2002-2003. Ricerche
di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 317-329.
(49) Una critica di questo tipo, anche se non esattamente nei
termini esposti nel testo, in J.J. Moreso, Ferrajoli sobre los conflictos
entre derechos, cit.
(50) A dire il vero, questo tipo di conflitto è espressamente
ammesso da Ferrajoli, come peraltro già accennato sopra nel testo. È degno di
nota, comunque, che Ferrajoli indica tra gli esempi del conflitto tra diritti
di libertà anche casi più correttamente inquadrabili come conflitti tra libertà
e immunità, come quello tra manifestazione del pensiero da una parte e onore,
reputazione, privacy dall’altra: cfr. I fondamenti dei diritti
fondamentali, cit., p. 329.
(51) Ferrajoli, come abbiamo visto, considera questa ipotesi non
come un conflitto tra diritti, ma come un problema di scelte meramente
politiche (I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 329).
Non sono sicuro però che
questa affermazione possa essere agevolmente conciliata con la tesi di
Ferrajoli che la mancanza della garanzia di un diritto sociale sia una vera e
propria (e indebita) lacuna, e non una mera omissione politica (Diritti
fondamentali, cit., pp. 30-31). Se è così, non si vede perché una disciplina
per così dire asimmetrica dei diritti sociali non possa essere una antinomia, e
quindi un conflitto tra diritti (sociali). Si pensi all’ipotesi in cui, essendo
necessaria la somma 100 per apprestare la garanzia del diritto alla salute e
altresì l’ulteriore somma 100 per la garanzia del diritto all’istruzione, i
pubblici poteri stanzino tuttavia la somma totale di 100 per apprestare la
garanzie di entrambi: perché mai questa dovrebbe essere una mera scelta
politica, mentre una eventuale decisione dei pubblici poteri di non apprestare alcuna
garanzia ad entrambi i diritti sociali sarebbe invece una «indebita lacuna»?
(52) Gli esempi esposti nel testo rimandano ad una difficoltà,
ravvisata nella teoria di Ferrajoli, relativa alla nozione di indisponibilità
dei diritti fondamentali: cfr. R. Guastini, Tre problemi di definizione,
e M. Jori, Aporie e problemi nella teoria dei diritti fondamentali, in
L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., rispettivamente alle pp. 43-48
e 77-107.
(53) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., p. 329.
(54) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali,
cit., p. 292.
(55) Su cui B. Celano, Come deve essere la disciplina
costituzionale dei diritti?, in S. Pozzolo (a cura di), La legge e i
diritti, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 89-123.
(56) Alcune delle quali sono esposte e criticate, sotto il nome di
“modello irenistico”, in B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato
costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 65-71.
(57) «[L’]unità […] preesiste all’opera di bilanciamento, ed è
propriamente la specifica unità ideale che fu trovata (e di volta in volta si
rinnova) sul terreno dell’identificazione dei valori costituzionali»: così M.
Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in R. Romboli
(a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Giappichelli,
Torino, 1991, pp. 170 ss. a p. 176 (citato in G. Scaccia, Il bilanciamento
degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, in «Giurisprudenza
costituzionale», 1998, pp. 3953-
(58) Una delle prime formulazioni di questa teoria risale al c.d.
“caso Lüth”: BverfGE 7, 198 (1958).
In generale, v. R. Alexy, Teoría
de los derechos fundamentales (1986), Centro de estudios políticos y
constitucionales, Madrid, 2001, pp. 152-157, 507-510; A. Cerri, I modi
argomentativi del giudizio di ragionevolezza delle leggi: cenni di diritto
comparato, in AA.VV. Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza
della corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, Giuffré, Milano,
1994, pp. 131-161.
(59)
(60) Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, si vedano ad
es. le sentenze nn. 1146/1988, 203/1989.
(61) Nella dottrina costituzionalistica, cfr. almeno P. Grossi, Inviolabilità
dei diritti, in Enciclopedia del diritto, vol. XXII, 1972, pp.
712-731; M. Luciani, I diritti fondamentali come limiti alla revisione
costituzionale, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza
costituzionale, cit., pp. 121-129; F.P. Casavola, I principi supremi
nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in «Foro italiano», 1995,
V, cc. 153-161; F. Modugno, I «nuovi diritti» nella Giurisprudenza
Costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, pp. 101-107; Id., Interpretazione
costituzionale e interpretazione per valori, in «Costituzionalismo.it»,
3/2005, www.costituzionalismo.it; P. Caretti, I diritti fondamentali.
Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 93, 141.
Per un riesame disincantato di
questo orientamento (che ad oggi è probabilmente maggioritario): A. Pace, La
garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano: il
ruolo del legislatore e dei giudici «comuni», in AA.VV., Nuove
dimensioni dei diritti di libertà, Cedam, Padova, 1990, pp. 109-126; M.
Troper, La nozione di principio sovracostituzionale, in P. Comanducci,
R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 1996. Ricerche di giurisprudenza
analitica, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 255-274; R. Guastini, Teoria
e dogmatica delle fonti, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 379-385.
(62) S. Bartole,
(63) Cfr. J. Waldron, Rights in Conflict, cit.
(64) Sulla implausibilità dell’idea di una gerarchia astratta o di
un ordine logico di priorità tra diritti costituzionali, R. Bin, Diritti e
fraintendimenti, in «Ragion pratica», 14, 2000, pp. 15-25.
(65) Cfr. ad es. Corte costituzionale n. 445/1990, che dal diritto
fondamentale alla salute fa derivare «situazioni giuridiche soggettive diverse
in dipendenza della natura e del tipo di protezione che l’ordinamento
costituzionale assicura al bene dell’integrità e dell’equilibrio fisici della
persona umana in relazione ai rapporti giuridici cui in concreto si riferisce»:
in particolare si potrà individuare un profilo (più forte e tutelabile erga
omnes) attinente alla difesa dell’integrità psico-fisica, ed un profilo (graduabile
«a seguito di un ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni che
godono di pari tutela costituzionale» e anche in base alle risorse disponibili)
relativo al diritto a ricevere trattamenti sanitari.
(66) B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato
costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 67-68.
In maniera credo analoga, la
dottrina costituzionalistica tedesca ha sostenuto che la definizione del
“contenuto essenziale” di ogni diritto fondamentale include necessariamente
anche la considerazione dei limiti imposti dal sistema costituzionale
complessivamente considerato: cfr. A. Cerri, I modi argomentativi del
giudizio di ragionevolezza delle leggi: cenni di diritto comparato, cit., p.
153.
(67) A. Marmor, On the Limits of Rights, cit., pp. 9-14; R. Bin, Ragionevolezza
e divisione dei poteri, cit., p. 118; A. Pintore, I diritti della
democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 101; J. Waldron, Security and
Liberty: The Image of Balance, in «The Journal of Political Philosophy»,
vol. 11, 2003, pp. 191-210 (spec. pp. 197-198).
(68) Per una recente discussione pro e contro lo specificazionismo, cfr.
rispettivamente H. Richardson, Specifying Norms as a Way to Resolve Concrete
Ethical Problems, in «Philosophy & Public Affairs», 1990, pp. 279-310;
R. Shafer-Landau, Moral Rules, in «Ethics», vol. 107, 1997, pp. 584-611.
(69) R. Martin, A System of Rights, Clarendon, Oxford, 1993, pp.
114-126, 123, 231; D. Mendonca, Los derechos en juego. Conflicto
y balance de derechos, Tecnos, Madrid, 2003, pp.
84-85.
(70) Cfr. J. H. Ely, Flag Desecration: A Case Study in the Roles of
Categorization and Balancing in First Amendment Analysis, in «Harvard Law
Review», vol. 88, 1975, pp. 1482-1508; F. Schauer, Categories and the First
Amendment: A Play in Three Acts, in «Vanderbilt Law Review», vol. 34, 1981,
pp. 265-307.
(71) Per un (notevole) esempio italiano di questa strategia, si
veda P. Nuvolone, Reati di stampa, Giuffrè, Milano, 1951, spec. cap. I («poiché
critica significa dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui,
sarà estraneo all’attività critica ogni apprezzamento negativo immotivato o
motivato da una mera animosità personale, e che trovi, pertanto, la sua base in
una avversione di carattere sentimentale e non in una contrapposizione di
idee», p. 19).
(72) Così ad esempio si è espressa
(73) Così, R. Guastini, L’interpretazione dei documenti
normativi, cit., p. 295; Id., L’interpretazione della costituzione,
in «Giurisprudenza costituzionale», 2006 (cfr. anche infra, § 4.3.1.).
(74) «Ciò sarebbe una sorta di combinazione della gerarchia assiologica
con il criterio di soluzione delle antinomie detto “lex specialis” (sia pure in
assenza di qualsivoglia relazione da genere a specie tra le fattispecie
disciplinate)» (R. Guastini, L’interpretazione della costituzione,
cit.).
(75) J. Shaman, Constitutional Interpretation,
cit., pp. 36 ss.
(76) Per più estese argomentazioni in tal senso, B. Celano, Come
deve essere la disciplina costituzionale dei diritti?, cit.; B. Pastore, Per
un’ermeneutica dei diritti umani, Giappichelli, Torino, 2003, cap. IV.
(77) U. Scarpelli, Il linguaggio e la politica dei giuristi
(1972), in «Notizie di Politeia», 71, 2003, pp. 8-11.
(78) Il fatto che l’individuazione di limiti impliciti ai diritti
costituzionali presupponga una operazione di bilanciamento è espressamente
ammesso ad es. da R. Romboli, Il significato essenziale della motivazione
per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti di libertà
pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti,
in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale,
cit., pp. 206-220 (p. 207).
(79) Argomenti in parte analoghi mi pare siano sviluppati da
Andrei Marmor, in relazione alla concezione “newtoniana” dei diritti (ossia
l’idea che ogni diritto si muova liberamente in uno spazio morale vuoto, fino a
che non incontra il limite esterno derivante dalla collisione con un altro
diritto: On the Limits of Rights, cit., p. 7); da Anna Pintore, in
relazione all’idea che ogni diritto sia una “monade impenetrabile” (I
diritti della democrazia, cit., p. 102); da Roberto Bin, in relazione ai
discorsi sui diritti condotti “per etichette e figurini” (Diritti e fraintendimenti,
cit., p. 15 e ss.).
(80) Cfr. A. Pintore, Diritti insaziabili, cit., p. 199.
(81) Cfr. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti
normativi, cit., p. 295: «Istituire una gerarchia rigida non è cosa diversa
dall’istituire una scala di valori». Non mi è chiaro come questa idea sia
conciliabile con le acute critiche più volte avanzate da Guastini alle
concezioni sostanzialistiche della costituzione.
(82) A. Cerri, Appunti sul concorso conflittuale di diverse
norme della Costituzione, in «Giurisprudenza costituzionale», 1976, pp. 272
ss.; N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, pp. 11, 39; G.
Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., p. 170; B. Celano, Come deve
essere la disciplina costituzionale dei diritti?, cit.; M. Barberis, I
conflitti fra diritti tra monismo e pluralismo etico, in P.
Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2005. Ricerche di
giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2006.
(83) Come suggerisce ad es. J.
Waldron, Rights in Conflict, cit.
Come detto nel testo,
comunque, questa osservazione non può essere generalizzata; di fatto, la più
risalente giurisprudenza costituzionale italiana sui “limiti impliciti” (cfr. supra,
§ 3.2.2.) sembra ispirata proprio dall’intenzione di limitare i diritti
costituzionali, in ragione di considerazioni di interesse pubblico.
(84) La ricostruzione dei conflitti esposta in questo paragrafo
segue in parte R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp.
485-486; S. Besson, The Morality of Conflict, cit., pp. 430-436.
In filosofia morale sono state
elaborate tipologie più sofisticate di conflitti tra diritti (cfr. ad es. F.
Kamm, Conflicts of Rights: Tipology, Methodology and Non-Consequentialism,
in «Legal Theory», vol. 7, 2001, pp. 239-255); devo rimandare ad altra
occasione una verifica puntuale della loro applicabilità all’ambito dei
conflitti tra diritti (giuridici).
(85) Cfr. A. Ross, Diritto e giustizia (1958), Einaudi,
Torino, 1965, pp. 122-125; C. S. Nino, Introduzione all’analisi del diritto
(1980), Giappichelli, Torino, 1996, pp. 242-246; G. Tarello, L’interpretazione
della legge, cit., pp. 143 ss.; R. Guastini, Teoria e dogmatica delle
fonti, cit., pp. 217-219.
Non affronto qui il problema
se i conflitti tra diritti siano (sempre, o solo a volte) contraddizioni
logiche; questo problema si interseca con quello delle antinomie, poiché
secondo alcune definizioni (cfr. ad es. P. Chiassoni, La giurisprudenza
civile. Metodi d’interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè,
Milano, 1999, pp. 274-275), una antinomia è una contraddizione logica
tra norme.
(86) R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi,
cit., pp. 244-246; S. Besson, The Morality of Conflict, cit., pp.
434-435.
(87) R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi,
cit., p. 244.
(88) Ulteriori dubbi sull’applicabilità della tipologia delle
antinomie di Guastini (e di Ross) ai conflitti tra principi sono formulati da
L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, in Id., Justicia
constitucional y derechos fundamentales, Trotta, Madrid, 2003, pp. 175-216 (spec.
pp. 181-188).
(89) Il sospetto è corroborato, peraltro, dalla circostanza che
Guastini usa il medesimo esempio come istanza sia di antinomia “in astratto”
che di antinomia “parziale unilaterale”: cfr. L’interpretazione dei
documenti normativi, cit., pp. 244 e 246.
(90) Per ulteriori osservazioni su questo punto, v. infra,
§ 4.2.
(91) Cfr. anche L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación,
cit., p. 185; P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti
fondamentali, cit.; v. invece R. Guastini, L’interpretazione dei
documenti normativi, cit., pp. 218 e 252, per la tesi della totale
riconducibilità dei conflitti tra principi costituzionali alle antinomie
parziali bilaterali in concreto.
(92) In modo credo simile, Chiassoni osserva che le antinomie parziali
bilaterali sono, da un punto di vista logico, antinomie totali implicite: ciò
in quanto l’antinomia intercorre tra norme nessuna delle quali è stata
espressamente formulata dal legislatore, ma che sono logicamente implicite in
altre norme esplicite: P. Chiassoni, La giurisprudenza civile, cit., pp.
278-279.
(93) Come ad es. ritiene R. Guastini, L’interpretazione dei
documenti normativi, cit., p. 217.
(94) P. McFadden, The Balancing Test, cit., pp. 628-632; D.
Mendonca, Los derechos en juego, cit., pp. 59-63.
(95) Cfr. B. Celano, Diritti fondamentali e poteri di
determinazione nello stato costituzionale di diritto, in «Filosofia
politica», 2005, pp. 427-441.
(96) «[Definitional balancing] may be criticized as a form of judicial
lawmaking, and as such a usurpation of the legislative function» (M. Nimmer, The
Right to Speak from Times to Time, cit., p. 947); «Esa tarea de los
tribunales no dista mucho de la legislación» (P. de Lora, Tras el rastro de
la ponderación, in «Revista Española de Derecho Constitucional», 2000, pp.
359-
(97) Come nota, a diverso proposito, Riccardo Guastini, la
gerarchia tra due norme è funzione della prevalenza dell’una sull’altra, e non
viceversa (Teoria e dogmatica delle fonti, cit., p. 125). Se è così,
allora bilanciare i diritti costituzionali con considerazioni di altro tipo (e
dall’incerta collocazione costituzionale) equivarrebbe a “declassarli” allo
stesso livello di queste ultime.
(98) «Non è mai troppo difficile ricondurre anche il più
particolare e marginale degli interessi a qualche principio o a qualche disposizione
costituzionale»: R. Bin, Bilanciamento degli interessi e teoria della
costituzione, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza
costituzionale, cit., pp. 45-63 (p. 48); v. anche G. Scaccia, Il
bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale,
cit., p. 3958.
(99) Cfr. A Ruggeri, Principio di ragionevolezza e specificità
dell’interpretazione costituzionale, in «Ars Interpretandi», 2002, pp.
261-324 (pp. 313-315); G. Itzcovich, L’integrazione europea tra principi e
interessi, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2004, 2,
pp. 385-424.
(100) Cfr. R. Bin, Diritti e
fraintendimenti, cit., p. 24.
(101)
G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., pp. 11-15; L. Mengoni, L’argomentazione
nel diritto costituzionale, in Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica.
Saggi, Giuffrè, Milano, 1996.
Nella giurisprudenza
costituzionale più recente, si veda Corte Costituzionale, n. 284/2004:
l’autorità giudiziaria deve tener conto «non solo delle esigenze delle attività
di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati,
di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell’applicazione delle
regole comuni […] Pertanto “il giudice non può, al di fuori di un ragionevole bilanciamento
fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del
processo e della integrità funzionale del Parlamento, far prevalere solo la
prima, ignorando totalmente la seconda” (sentenza n.
263 del 2003)».
(102)
Così, R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p.
219.
(103)
Per usare la suggestiva terminologia di J. Waldron, Rights in Conflict,
cit.
Una immagine diversa, ma che
ritengo ugualmente illuminante del modo di funzionare dei diritti, è offerta da
Roberto Bin (Diritti e fraintendimenti, cit., p. 17): «la
definizione del ‘diritto’ non è come una pentola, rispetto alla quale un
determinato fenomeno sta dentro o fuori, tertium non datur. Si comporta
piuttosto come un ombrello durante un forte acquazzone: vi è un punto in cui la
protezione è massima, e poi, via via che ci si allontana da esso, la tenuta
diviene sempre meno efficiente; è persino difficile dire in che punto si è totalmente
fuori dall’ombrello, anche perché in buona parte dipende dal vento».
(104)
Credo che l’unica possibile replica a quanto affermato nel testo potrebbe
consistere nel sostenere che ad ogni diritto corrisponda un solo obbligo a
carico di terzi - come peraltro sembra affermare, ad altro proposito, R.
Guastini, ‘Diritti’, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi
e diritto 1994. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino,
1995, pp. 163-174 (v. spec. p. 164). Mi manca lo spazio per argomentare in
maggiore dettaglio, ma una simile concezione dei diritti – e specialmente dei
diritti costituzionali – mi sembra del tutto implausibile.
(105)
Mi pare che Guastini, dopo aver a lungo sostenuto l’idea della impossibilità
concettuale di “conciliare” due diritti o principi (cfr. Teoria e dogmatica
delle fonti, cit., pp. 230-231), aderisca adesso alla più debole tesi
empirica (L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219, alle
note 60 e 61).
(106) M. Nimmer, The Right to Speak from Times to Time, cit. (a cui si deve la formula “definitional
balancing”); T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of
Balancing, cit., spec. pp. 979-981; R. Bin, Diritti e argomenti,
cit., pp. 65-71; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica
di controllo costituzionale, cit.
(107) Cfr. ad es. P. Chiassoni, La
giurisprudenza civile, cit., p. 287; P. Comanducci, Problemi di
compatibilità tra diritti fondamentali, cit., p. 327; G. Itzcovich, L’integrazione
europea tra principi e interessi, cit.; G. Maniaci, Razionalità e bilanciamento
tra principi del diritto: un inventario, un’intuizione, una proposta, cit.,
pp. 342-353 (che parla giustamente di «ossessione del caso concreto»).
Nella letteratura
costituzionalistica: R. Romboli, Il significato essenziale della motivazione
per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti di libertà
pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti,
cit., spec. p. 210; L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto costituzionale,
cit., pp. 122-123; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica
di controllo costituzionale, cit., p. 3965; A. Ruggeri, Principio di
ragionevolezza e specificità dell’interpretazione costituzionale, cit., p.
314.
(108) Così R. Guastini, L’interpretazione
dei documenti normativi, cit., pp. 216-221, 252-253, 295-296.
(109)
L’affermazione che nel bilanciamento ad hoc non si dia luogo ad applicazione
di una regola è ricorrente: cfr. ad es. M.
Nimmer, The Right to Speak from Times to Time, cit., p. 939.
(110) Per una definizione più rigorosa della
distinzione tra caso individuale e caso generico, v. C. Alchourrón, E. Bulygin,
Sistemi normativi. Introduzione alla metodologia della scienza giuridica
(1971), Giappichelli, Torino, 2005, pp. 32-35.
(111)
Sulla irrazionalità di una decisione valevole solo per il caso concreto, N.
MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto (1978),
Giappichelli, Torino, 2001, pp. 119-120; J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning
Defeasible?, in «Diritto & Questioni Pubbliche», 2, 2002,
www.dirittoequestionipubbliche.org, p. 14; per l’applicazione di questa idea al
bilanciamento, cfr. M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione
teorica, Giappichelli, Torino, 20052, pp. 249-250; B. Celano, Diritti,
principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione,
cit., pp. 68-69.
(112) In alcuni casi tuttavia l’omessa
esplicitazione della regola sottostante può essere non solo o non tanto il
frutto di una scelta autocratica del giudice (che si appropria così di porzioni
di potere decisionale), ma può anche essere demandata ai giudici di merito dal
legislatore o dalla Corte costituzionale (la c.d. “delega di bilanciamento in
concreto”: v. infra, § 4.3.3.).
(113) In tal senso cfr. ad esempio J.C. Bayón,
Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit., p. 13; J.J. Moreso, Conflitti
tra principi costituzionali, in «Ragion pratica», 2002, 18, pp. 201-221;
Id., Dos concepciones de la aplicación de las normas de derechos
fundamentales, in J. Betegón, J. De Paramo, L. Prieto Sanchís (comp.), Constitución
y derechos fundamentales, Centro de estudios políticos y constitucionales,
Madrid, 2004, pp. 473-489; L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación,
cit.
(114) Ad esempio, la posizione di Guastini (già
esaminata supra, § 4.3.1.) è che a) la regola sia costruita con
un soggettivo giudizio di valore; b) dipendendo da un soggettivo
giudizio di valore, la costruzione della regola non è assoggettabile a ricostruzione
razionale; c) nulla assicura che la regola sia seguita in futuro.
(115) Sulla distinzione tra
interpretazione-attività e interpretazione-prodotto, A. Ross, Diritto e
giustizia, cit., p. 111; G. Tarello, L’interpretazione della legge,
cit., pp. 39-42.
Per l’applicazione di questa
distinzione al bilanciamento, cfr. ad es. G. Parodi, In tema di
bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale. In margine a
Diritti e argomenti di Roberto Bin, in «Diritto pubblico», 1995, pp.
203-223; J. Rodriguez de Santiago, La ponderación de bienes e intereses en
el Derecho Administrativo, Marcial Pons, Madrid, 2000, cap. 3.
(116) Riprendo l’efficace espressione da R.
Bin, Diritti e argomenti, cit., pp. 62-64, 70-71 e passim.
(117) M. Atienza, Giuridificare la bioetica.
Una proposta metodologica, in «Ragion pratica», 1996, 6, pp. 123-143; J.C.
Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit.; J.J. Moreso, Conflitti
tra principi costituzionali, cit.; Id., Dos concepciones de la
aplicación de las normas de derechos fundamentales, cit.
(118) Sul concetto di universalizzazione nel
ragionamento giuridico, cfr. N. MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria
del diritto, cit., pp. 75 s.; Id., Universalisation and Induction in Law,
in C. Faralli, E. Pattaro (eds.), Reason in Law, vol. I, Giuffrè,
Milano, 1987, pp. 91-105.
(119) Cfr. B. Celano, Justicia procedimental pura
y teoría del derecho, cit.
(120)
Cfr. B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di
diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., p. 71.
(121)
Cfr. nuovamente J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit.; e
J.J. Moreso, Conflitti tra principi costituzionali, cit.
Quanto detto nel testo
presuppone a) che i giudizi di valore non siano necessariamente
espressione di punti di vista radicalmente soggettivi e incommensurabili, ma
che in alcuni casi possano avere una funzione conoscitiva; e b) che sia possibile
distinguere tra giudizi di valore interni ed esterni ad una pratica. In merito, cfr. V. Villa, Legal Theory and Value-Judgements, in
«Law and Philosophy», vol. 16, 1997, pp. 447-477.
(122)
R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219.
Una raffigurazione del
bilanciamento come attività pressoché arbitraria è offerta anche da J.
Habermas, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e
della democrazia (1992), Guerini, Milano, 1996, p. 308.
(123) Cfr. ad es. P. Chiassoni, La
giurisprudenza civile, cit., p.
(124)
R. Alexy, Teoría de los derechos fundamentales, cit.; Id., Diritti
fondamentali, bilanciamento e razionalità, in «Ars Interpretandi», 7, 2002,
pp. 131-144; Id., On Balancing and Subsumption. A Structural Comparison,
in «Ratio Juris», vol. 16, 2003, pp. 433-449; Id., La formula per la
quantificazione del peso nel bilanciamento, in «Ars Interpretandi», 10,
2005, pp. 97-123.
Si tratta di una ricostruzione
non priva di seguito, sia tra i giuristi positivi che tra i teorici del
diritto: v. ad es. R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit.,
pp. 487-489; J. Rodriguez de Santiago, La ponderación de bienes e intereses
en el Derecho Administrativo, cit., pp. 121-141; L. Prieto Sanchís, El
juicio de ponderación, cit., p. 190, S. Besson, The Morality of Conflict,
cit., pp. 451-453.
(125) Lo stesso criterio di valutazione si dovrà
applicare anche al diritto che causa la lesione, in questo modo: occorrerà
valutare se impedire l’atto che causa l’interferenza con il diritto leso sia a
sua volta una interferenza grave, media o lieve con quel diritto. Così, il
fatto che A eserciti la sua libertà di espressione rivolgendo l’epiteto
«storpio» a B, persona diversamente abile, rappresenta una interferenza grave
con la dignità di B; per converso, impedire ad A di rivolgere a B l’epiteto
«storpio» rappresenta solo una interferenza lieve nei confronti della sua
libertà di espressione (l’esempio, tratto da un noto caso discusso dalla giurisprudenza
costituzionale tedesca, è in R. Alexy, On Balancing and Subsumption,
cit.).
(126) Per un esempio di sviluppo e applicazione della
formula del peso, si veda R. Alexy, On Balancing and Subsumption, cit.
Si noti che la formula di
Alexy, vincolando il giudizio di bilanciamento alle caratteristiche esibite da
ciascun caso concreto, finisce per essere un bilanciamento caso per caso.
Infatti, Alexy dice che se la scala dell’intensità dell’interferenza deve
prevedere un numero minimo di almeno due grandezze, può comunque essere
ampliata a piacimento, in modo da renderla sempre più precisa e calibrata alle
circostanze del caso concreto. E in tal modo la possibilità di prendere in
considerazione indefinitamente nuove caratteristiche del caso concreto resta
sempre in agguato. In altre parole, è una formula che serve solo a rendere esplicito
ciò che è stato fatto in occasione della soluzione di un caso concreto.
(127) Per ulteriori argomenti sul punto, cfr. C.
Bernal Pulido, Estructura y límites de la ponderación, in «Doxa», 26,
2003, pp. 225-238.
(128) Su queste problematiche, cfr. ampiamente G.
Fiandaca, Il giudice di fronte alle controversie tecnico-scientifiche. Il
diritto e il processo penale, in «Diritto & Questioni pubbliche», 5,
2005, www.dirittoequestionipubbliche.org.
(129) «Le ragioni assumono un peso solo nel loro
contrasto, e nel loro bilanciamento»: B. Celano, Possiamo scegliere
tra particolarismo e generalismo?, cit., p. 487, nt. 38.
(130) Cfr. L. Prieto Sanchís, El juicio
de ponderación, cit., p. 190; S. Besson, The Morality of Conflict,
cit., p. 453.
(131) J. Rawls, Una teoria della giustizia,
cit., pp. 56-58.
(132)
Per questa critica, cfr. B. Celano, ‘Defeasibility’ e bilanciamento. Sulla
possibilità di revisioni stabili, in «Ragion pratica», 2002, 18, pp.
223-239; Id., Possiamo scegliere tra particolarismo e generalismo?, cit.
Nella letteratura
costituzionalistica, l’impossibilità o l’inutilità di delineare uno spazio
autonomo per il bilanciamento definitorio rispetto a quello ad hoc (che
sarebbe l’unico veramente configurabile) è sostenuta ad es. da T.A. Aleinikoff,
Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., pp. 979-980; R.
Romboli, Il significato essenziale della motivazione per le decisioni della
Corte costituzionale in tema di diritti di libertà pronunciate a seguito di
bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti, cit., pp. 206-220; G.
Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo
costituzionale, cit., p. 3967 s.
(133) S.L. Hurley, Coherence,
Hypothetical Cases, and Precedent, in «Oxford Journal of Legal Studies»,
1990, vol. 10, pp. 221-251; J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?,
cit.; G. Zagrebelsky, Diritto per valori, principi o regole? (a proposito della dottrina
dei principi di Ronald Dworkin), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero
giuridico moderno», vol. 31, 2002, pp. 865-897.
Quanto detto nel testo mi
sembra affine al ruolo che Cass Sunstein attribuisce agli “incompletely
theorized agreements” nel diritto: cfr. C. Sunstein, Incompletely
Theorized Agreements, in Id., Legal Reasoning and Political Conflict,
Oxford University Press, Oxford, 1996, pp. 35-61.
(134) Una critica di questo tipo è rivolta, mi
pare, da Paolo Comanducci alla ricostruzione del bilanciamento proposta da
Moreso (cfr. supra, testo relativo alle note 113 e 117), e in favore di
una ricostruzione particolaristica del bilanciamento: P. Comanducci, Problemi
di compatibilità tra diritti fondamentali, cit.
(135) W.V.O. Quine, Due dogmi
dell’empirismo (1951), in P. Casalegno, P. Frascolla, A. Iacona, E.
Paganini, M. Santambrogio (a cura di), Filosofia del linguaggio,
Raffaello Cortina, Milano, 2003, pp. 110-135.
(136) Estremamente rappresentativa in tal senso è la
giurisprudenza, ormai più che ventennale, in materia di conflitto e
bilanciamento tra libertà di espressione e tutela della personalità: v. G.
Pino, Il diritto all’identità personale, cit., cap. III.
(137) Il
tratto particolaristico sembra caratterizzare, ad esempio, la ponderazione
degli interessi in gioco da parte della giurisprudenza sull’abuso del diritto:
v. G. Pino, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso
del diritto, in «Rivista critica del diritto privato», 2004, 1, pp. 25-60.
(138)
H.L.A. Hart, Il concetto di diritto (1961), Einaudi, Torino, 2002, p.
164.
(139) Cfr. T.A. Aleinikoff, Constitutional
Law in the Age of Balancing, cit., p. 948, nt. 31.
Si veda ad es. Corte
costituzionale, n. 293/2000, dove si demanda al giudice ordinario (penale) il
bilanciamento tra libertà di espressione e il valore della «dignità di ogni
essere umano».
(140)
Cfr. R. Bin Giudizio «in astratto» e delega di bilanciamento «in concreto»,
in «Giurisprudenza costituzionale», 1992, pp. 3574 ss.; G. Scaccia, Il
bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale,
cit., pp. 3969-3972.
(141) Cfr. K. Sullivan, Post-Liberal Judging: The Roles of Categorization
and Balancing, in «University of Colorado Law Review», vol. 63, 1992, pp. 293-317;
J. Shaman, Constitutional Interpretation, cit., p. 48.
(142)
Ovviamente questo non equivale a dire che debbano necessariamente essere i
giudici (e nemmeno i soli giudici costituzionali) a bilanciare i diritti; di fatto,
questo potrebbe essere un argomento a favore della tesi che il bilanciamento
debba essere svolto solo dal legislatore. In ogni caso l’argomento è neutrale rispetto
alla individuazione dei soggetti competenti a bilanciare.
(143)
Anche questa considerazione è indipendente dall’individuazione del soggetto che
effettua il bilanciamento.