Etica & Politica/ Ethics & Politics, 2006, 1

http://www.units.it/etica/2006_1/BARBERIS.htm

 

 

 

Pluralismo argomentativo.

Sull’argomentazione dell’interpretazione

 

Mauro Barberis

Dipartimento di Scienze Giuridiche

Università di Trieste

 

 

Abstract

 

The name of the theory of legal argumentation this paper subscribes could be argumentative pluralism - an application of value pluralism to legal argumentation. Legal reasons and arguments, as well as ethical values, are plural and conflicting - their conflicts too cannot be resolved by any general lexical order. The first section of the paper provides a definition of legal argumentation and some theses on its structure and methodology; the second one analyses ten legal arguments; the third one provides three pluralist theses on legal argumentation.

 

 

E questa molteplicità non è

qualcosa di fisso […] ma nuovi tipi di linguaggio,

nuovi giochi linguistici, come potremmo dire,

sorgono, e altri invecchiano e vengono dimenticati

 (L. Wittgenstein)

 

 

 

Questo lavoro sostiene una teoria dell’argomentazione giuridica che – se la nozione non suonasse quasi ovvia (cfr. 3.3) – potrebbe chiamarsi pluralismo argomentativo: un’applicazione all’argomentazione della teoria dell’etica nota come pluralismo etico (ingl. value pluralism). Per il pluralismo etico, i valori, e anche le ragioni o argomentazioni giuridiche, non sono riducibili a un unico valore fondamentale, e non possono neppure essere ordinate in una gerarchia che permetta di risolvere i loro conflitti in generale (non caso per caso). (1) Il lavoro si divide in tre parti. La prima parte fornisce una definizione dell’argomentazione giuridica, uno schema della sua struttura, e qualche precisazione metodologica; la seconda analizza una decina di argomenti interpretativi; la terza formula alcune tesi del pluralismo argomentativo.

 

 

1. L’argomentazione dell’interpretazione

 

 Questa prima parte fornisce alcune precisazioni strettamente indispensabili per intendere l’analisi di alcuni argomenti interpretativi che si svolgerà nella seconda parte. Anzitutto, si adotta una definizione generalissima dell’argomentazione giuridica interpretativa e integrativa in diritto (ossia: non in fatto); poi, si aderisce a un modello minimo della struttura dell’argomentazione giuridica, come parte della più generale argomentazione etica o pratica; infine, si forniscono ulteriori precisazioni relative tanto alle classificazioni degli argomenti – distinguendo, in particolare, fra argomenti completi e incompleti, e fra argomenti interpretativi e produttivi – quanto, e soprattutto, al metodo dell’analisi del discorso giuridico in genere, e dell’argomentazione giuridica in specie.

 

1.1. Per argomentazione dell’interpretazione s’intenderà, qui di seguito, la giustificazione o motivazione, tramite argomenti o ragioni, dell’interpretazione o dell’integrazione della legge. Per illustrare questa definizione, e per delimitare il campo di analisi, è opportuno ricorrere a una duplice distinzione: fra interpretazione in senso specifico e interpretazione in senso generico; fra interpretazione in senso latissimo, lato e stretto. ‘Interpretazione’, in particolare nelle sue accezioni giuridiche, è termine non solo ambiguo, ma molteplicemente ambiguo: esso presenta, cioè, varie ambiguità, che non possono essere tutte considerate in questa sede. Fra tali ambiguità, le due più rilevanti per illustrare la definizione sopra fornita, e anche per delimitare gli obbiettivi del lavoro che segue, sono le ambiguità segnalate dalle due distinzioni seguenti.

 

1.1.1. La prima distinzione, fra interpretazione in senso specifico e interpretazione in senso generico, è relativa all’attività chiamata interpretazione, specie nei suoi contesti giuridici. In senso specifico, ‘interpretazione’ designa attribuzioni di significato (a fatti o a testi); in senso generico, designa il ragionamento giuridico in generale, ossia – oltre alla stessa interpretazione in senso specifico – attività come dedurre, applicare, argomentare, integrare e simili. La distinzione può essere illustrata sulla base dell’art. 12 Prel., principale disposizione sull’interpretazione del diritto italiano, intitolata “Interpretazione della legge” nel senso generico di ragionamento giuridico, comprensivo di interpretazione in senso specifico, o attribuzione di significato a disposizioni, cui è dedicato il primo comma, e di integrazione, cui è dedicato il secondo comma. (2)

Rispetto a questa prima distinzione, nella locuzione ‘argomentazione dell’interpretazione’ il termine ‘interpretazione’ può essere usato: o nel senso specifico di attribuzione di significato a disposizioni giuridiche, e allora si parlerà di argomenti interpretativi; o nel senso generico di integrazione del diritto lacunoso, e allora si parlerà di argomenti produttivi. Come vedremo meglio parlando dei singoli argomenti, alcuni sono meramente interpretativi, ossia servono solo a giustificare un’attribuzione di significato a disposizioni giuridiche, altri sono meramente produttivi, ossia servono solo a giustificare l’integrazione della legge lacunosa, altri ancora sono sia interpretativi sia produttivi: nel qual caso può essere opportuno distinguerne i diversi impieghi con apposite denominazioni (cfr. anche 1.3).

 

1.1.2. La seconda distinzione, fra interpretazione in senso latissimo, lato e stretto, è relativa all’interpretazione in senso specifico, e in particolare a tre possibili oggetti dell’attribuzione di significato: fatti o comportamenti in genere (interpretazione in senso latissimo); testi in genere (interpretazione in senso lato); testi oscuri (interpretazione in senso stretto). (3) La distinzione fra interpretazione in senso lato e in senso stretto può essere illustrata dal brocardo ‘in claris non fit interpretatio’: che nel diritto romano comune prescriveva non dovesse ricorrersi all’interpretatio ove una lex regolasse chiaramente il caso, mentre qui e oggi viene spesso citato a sostegno della tesi che solo l’interpretazione in senso stretto – l’attribuzione di significato a testi oscuri – e non anche l’interpretazione in senso lato o latissimo, possa dirsi propriamente interpretazione.

Rispetto a questa seconda distinzione, nella locuzione ‘argomentazione dell’interpretazione’ il termine ‘interpretazione’ può indicare anche l’interpretazione in senso latissimo, o attribuzione di significato a fatti o comportamenti: come avviene per l’interpretazione della consuetudine e per la qualificazione del fatto, o motivazione esterna in fatto della decisione giudiziale.(4) ‘Interpretazione’, peraltro, indica soprattutto l’attribuzione di significato a testi come disposizioni giuridiche, e in particolare la motivazione esterna in diritto della stessa decisione giudiziale. Gli studi sulla giustificazione dell’interpretazione del fatto, e in particolare sulla prova, sono oggi sempre più coltivati; (5) qui di seguito, peraltro, ci si limiterà alla teoria dell’argomentazione giuridica come motivazione esterna in diritto, o giustificazione dell’interpretazione o dell’integrazione.

 

1.2. Dopo aver definito l’argomentazione giuridica, occorre fornire qualche ragguaglio introduttivo sulla sua struttura. Vi è sufficiente accordo fra i teorici, a questo proposito, sul fatto che un modello minimo dell’argomentazione giuridica – un modello, cioè, che non si estenda alla più generale (meta)giustificazione etica o pratica della stessa giustificazione giuridica (6) – debba occuparsi di almeno tre elementi: l’interpretazione, l’argomentazione dell’interpretazione, e la giustificazione della stessa argomentazione.(7) Un modello minimo dell’argomentazione giuridica, in questo senso, può essere formulato in tre passaggi, relativo a tre tipi di discorsi che chiameremo, rispettivamente: enunciati interpretativi, argomenti interpretativi, e meta-argomenti interpretativi, ossia giustificazioni degli stessi argomenti interpretativi.

 

1.2.1. Un enunciato interpretativo, anzitutto, è un enunciato della forma ‘La disposizione D significa N’: un enunciato (meta-)linguistico che verte su un altro enunciato, la disposizione D o enunciato interpretando, al fine di attribuirgli significato, ossia di ricavarne la norma N, o enunciato interpretato.(8) L’enunciato interpretativo è di solito esplicito, effettivamente formulato; nel caso dell’interpretazione letterale, però, l’enunciato interpretando viene spesso meramente iterato, e serve anche da enunciato interpretato: qui manca sia un enunciato interpretativo esplicito, sia un’argomentazione (letterale) esplicita. Peraltro, come s’è accennato, e come vedremo meglio nella seconda sezione, l’argomentazione può riguardare anche la giustificazione di enunciati produttivi, o integrativi: enunciati che formulano norme implicite per classi di casi.

 

1.2.2. Un argomento interpretativo, poi, è un discorso (un enunciato o una successione di enunciati), di solito esplicito (effettivamente formulato), che serve soprattutto, benché non esclusivamente, a giustificare un enunciato interpretativo: dunque, un discorso della forma ‘l’enunciato interpretativo E (D significa N) si giustifica in base all’argomento A’. Gli argomenti interpretativi, nel contesto di giustificazione cui limita di solito la propria attenzione la teoria analitica, hanno quasi esclusivamente funzione giustificativa; nel contesto della scoperta, peraltro cui estendono l’attenzione topica, retorica ed ermeneutica giuridica, essi hanno anche una funzione euristica: uno o più argomenti sperimentati in successione, by trial and error, servono prima a cercare il significato di una disposizione, poi a giustificarlo dopo averlo trovato. (9)

 

1.2.3. Un meta-argomento interpretativo, infine, è la giustificazione dell’impiego di un argomento: (10) un discorso della forma ‘si devono usare argomenti del tipo AA per enunciati interpretativi del tipo DD; ma D è un enunciato del tipo DD; dunque, per l’enunciato D bisogna usare l’argomento A, del tipo AA’. Sembrerebbe trattarsi di giustificazione logico-deduttiva; ma gli interpreti non esplicitano quasi mai la premessa maggiore, sicché si tratta al massimo di entimema, di sillogismo privo di una premessa. Diversi interpreti usano differenti meta-argomenti interpretativi impliciti, al fine di giustificare argomenti ed enunciati interpretativi ancora diversi: per ogni enunciato interpretando vi sono sempre almeno due enunciati interpretativi, giustificati da due argomenti interpretativi, giustificati da due meta-argomenti interpretativi. (11)

A rigore, ciò non esclude la possibilità di raffigurare l’argomentazione in termini logici, come sillogismo o come successione di sillogismi; esclude però che tale raffigurazione catturi il carattere più notevole dell’argomentazione interpretativa effettiva, ossia la sua apertura a diverse interpretazioni.(12) Talvolta, a proposito dell’argomentazione specificamente giudiziale, ci si chiede perché le cose stiano così, ossia perché l’argomentazione giuridica non possa trasformarsi in giustificazione razionale, esclusivamente logico-deduttiva: e si risponde elencando i molti fattori che lo impedirebbero, dalla propensione del giudice ad accrescere il proprio potere, al fatto che il giudice, a differenza dello scienziato e del teorico morale, ha precisi limiti temporali per decidere, ciò che non permetterebbe una compiuta giustificazione razionale. (13)

In realtà, le ragioni principali per cui l’argomentazione dell’interpretazione, specie giudiziale, è argomentativa o retorica, e non razionale o logica, sono forse le due seguenti. La prima ragione è pratica; il diritto positivo – in Italia, l’art. 111, c. 6 Cost. – impone ai giudici di motivare l’interpretazione, non anche l’argomentazione: ciò che è ulteriormente spiegato dalla ragione teorica. La ragione teorica, come s’è visto e come vedremo nell’ultima sezione, consiste nel pluralismo argomentativo: per ogni problema interpretativo vi è sempre più di una soluzione, ossia almeno una coppia di argomenti che permette di giustificare interpretazioni diverse. E questo non è un fenomeno revocabile – ad esempio, riformando l’art. 12 delle Preleggi – bensì attinente alla struttura profonda del ragionamento giuridico come ragionamento pratico.

 

1.3. Vi sono molti modi di raffigurare l’argomentazione giuridica in genere, e anche i singoli argomenti in specie; sicché occorrono alcune precisazioni sul metodo che verrà seguito in questo lavoro. Gli argomenti nascono “spontaneamente”, come effetto inintenzionale della ricerca intenzionale di soluzioni giuridiche dei casi: si tratta di giochi linguistici, per dirla à la Ludwig Wittgenstein, che nascono, cambiano e muoiono rispondendo alle mutevoli esigenze di diverse forme di vita. (14) Gli argomenti nascono nel diritto romano, come strumenti di quell’attività produttiva di diritto che era l’interpretatio dottrinale e giudiziale, e continuano a essere utilizzati nel diritto codificato, come strumenti di quella diversa attività – considerata produttiva di diritto solo dai teorici – che è l’interpretazione, sia dottrinale sia giudiziale.

In tutte queste attività, s’impiegano di fatto innumerevoli argomenti, alcuni strettamente giuridici, la maggior parte comuni al linguaggio giuridico e al più generale linguaggio ordinario, sia pratico sia teorico. Solo una parte di tutti questi argomenti è stata tipizzata dalla dottrina, dalla teoria del diritto e dalla teoria generale dell’argomentazione, e sottoposta a classificazioni che qui verranno omesse: con due eccezioni. La prima eccezione è relativa alla classificazione degli argomenti in completi e incompleti: vi sono argomenti che permettono, da soli, di pervenire alla soluzione giuridica di un caso specifico, o di una classe di casi specifici (caso generico); ma vi sono altri argomenti che non permettono di pervenire a questo risultato se non in combinazione con almeno un altro argomento. (15)

La seconda eccezione è relativa alla classificazione degli argomenti in interpretativi e produttivi, o integrativi: distinzione assai comune fra i teorici dell’interpretazione della scuola analitica italiana, benché formulata in termini abbastanza diversi da rendere opportuno ridefinirla.(16) Si diranno così interpretativi gli argomenti che giustificano una norma regolante una classe di casi attraverso l’attribuzione di significato a una specifica disposizione giuridica: si tratta allora di norma esplicita, che costituisce appunto uno dei significati di una specifica disposizione. Si diranno produttivi, invece, gli argomenti che giustificano una norma regolante una classe di casi, senza considerarla significato di una specifica disposizione: e si tratta allora di norma implicita.

La distinzione è concettualmente netta, ma notoriamente vaga, ossia di ardua applicazione: basti pensare al caso più noto, la distinzione fra interpretazione estensiva e analogia iuris. Notoriamente, lo stesso risultato – una stessa norma regolante una classe di casi – può ottenersi per interpretazione estensiva, attribuendo a una disposizione un significato più ampio del significato letterale, e ottenendo una norma esplicita, oppure per integrazione analogica, considerando il caso simile al caso regolato dalla stessa disposizione, e ricavando da questa, in congiunzione con una ratio comune ai due casi, la stessa norma, ora però considerata non più esplicita, ma implicita. Ciò solleva un problema metodologico ancora più generale di tutti quelli appena considerati, e cui forse è opportuno accennare in conclusione di questa sezione preliminare.

La teoria dell’argomentazione è un’impresa interpretativa e, almeno in parte, sistematica od olistica. Si tratta di impresa interpretativa non tanto nel senso, ovvio, di avere a che fare con l’interpretazione, quanto nel senso, meno ovvio, di richiedere interpretazione: non basta analizzare i discorsi dei giuristi, restituendone la varietà, ma occorre selezionarli e tipizzarli, ciò che comporta comunque scelte interpretative. Ma, soprattutto, si tratta di impresa almeno in parte sistematica, od olistica, in quanto gli argomenti presentano una tale rete di relazioni reciproche da non poter essere tipizzati l’uno indipendentemente dall’altro (e anche in questo senso si parla di un campo dell’argomentazione): la teoria dell’argomentazione è la soluzione di una sorta di puzzle, le cui tessere sono ritagliate almeno in parte dallo stesso teorico.

Il teorico dell’argomentazione, dunque, si trova di fronte ad almeno due problemi. Il primo problema è relativo a quali e quanti argomenti tipizzare, ossia al livello di astrazione al quale tipizzare: si può scegliere un livello di astrazione basso, e allora si avrà un numero di argomenti più alto; si può scegliere un livello di astrazione alto, e allora si avrà un numero di argomenti più basso. Il secondo problema è relativo è come tener conto, nella tipizzazione, delle relazioni reciproche fra gli argomenti: accettando gli usi meno rigorosi del linguaggio analizzando, e scontando una parziale sovrapposizione degli argomenti, oppure fornendo un linguaggio analizzante il più possibile rigoroso, che cerchi di distinguerli.(17) Qui di seguito si adotterà un livello di astrazione relativamente alto, e un linguaggio analizzante moderatamente rigoroso.

 

 

2. Gli argomenti dell’interpretazione

 

In questa sezione verrà analizzata una decina di argomenti, fra i tanti tipizzati dalla dottrina e dalla teoria del diritto: l’attenzione sarà ristretta agli argomenti a contrario, a fortiori, della coerenza, completezza ed economicità (non ridondanza) della disciplina, storico, apagogico (o ab absurdo), teleologico, naturalistico ed equitativo.(18) Per ognuno di questi argomenti si potrà fornire poco più che una definizione, la classificazione come completi o incompleti e come interpretativi e/o produttivi, e soprattutto la distinzione da argomenti contigui, anche non contemplati dall’elenco. La distinzione da argomenti ulteriori non basta certo a rendere esaustiva questa raffigurazione del campo dell’argomentazione giuridica: ma suggerisce almeno l’idea della complessa rete di somiglianze e differenze che l’attraversano.

 

2.1. L’argomento a contrario è sicuramente il più generale e importante fra gli argomenti considerati in questo lavoro, e comunque l’argomento per il quale si pongono maggiormente, già in sede di definizione, tutti i problemi interpretativi e sistematici sollevati dalla tipizzazione di qualsiasi argomento. Nella letteratura recente vanno almeno segnalati: la quadripartizione degli argomenti a contrario elaborata da Gaetano Carcaterra nel suo importante lavoro sul tema; (19) la tripartizione fornita da Enrico Diciotto; (20) la bipartizione fra versione interpretativa e produttiva dell’argomento comune a Giovanni Tarello e Riccardo Guastini. (21) Qui si seguito, peraltro, si chiamerà argomento a contrario la sola versione produttiva, facendo della versione interpretativa una delle possibili varianti dell’argomento letterale (o del significato proprio delle parole).

L’argomento a contrario, così ridefinito, richiede quella che potrebbe chiamarsi – con un ossimoro solo apparente – integrazione restrittiva di una disposizione: ossia la produzione di una norma implicita, tale da regolare una classe di casi ulteriore alla classe regolata da una disposizione interpretata letteralmente, in modo opposto a come la stessa disposizione regola la classe già regolata. (22) Si prenda la disposizione di cui all’art. 48, c. 1, Cost.: “Sono elettori tutti i cittadini”. Di solito si distingue fra argomento a contrario interpretativo, per il quale la disposizione dice solo che tutti i cittadini hanno diritto di voto, e nulla dice sui non cittadini, e argomento a contrario produttivo, per il quale la disposizione, oltre ad attribuire l’elettorato ai cittadini, dice qualcosa anche sui non cittadini, escludendoli dall’elettorato.

La distinzione è netta: la frase attributiva assoluta ‘Tutti i cittadini sono elettori’ ha un’interpretazione letterale e due possibili integrazioni, l’una restrittiva, l’altra estensiva. (23) L’interpretazione letterale, o in base all’argomento del significato proprio delle parole, è che tutti i cittadini sono elettori: l’argomento chiamato di solito a contrario interpretativo si risolve in uno fra i tanti casi di impiego dell’argomento, o della famiglia di argomenti, letterale. (24) Le due integrazioni sono l’una estensiva (anche tutti i cittadini sono elettori: argomento a simili, o analogia iuris) e l’altra restrittiva (solo tutti i cittadini sono elettori: argomento a contrario). La differenza fra argomento a contrario interpretativo e produttivo è abbastanza netta, qui, da rendere opportuno chiamare diversamente i due argomenti: l’uno letterale, l’altro a contrario.

L’argomento a contrario detto di solito interpretativo, in questa ricostruzione, viene ricondotto all’interpretazione letterale, o dichiarativa, o secondo il significato proprio delle parole ex art. 12 , c. 1, Prel.: qui, infatti, ci si limita a prendere atto del fatto che la disposizione, nella sua formulazione letterale, non regola il caso generico dei non cittadini, producendo così una lacuna da colmare in uno dei due modi appena visti. Ciò, per inciso, mostra che nessuno dei due argomenti solitamente chiamati a contrario è completo: non l’argomento interpretativo, o letterale, che apre una lacuna da colmare con l’argomento a contrario produttivo o con l’analogia; ma neppure l’argomento produttivo, o a contrario in senso stretto, che colma la lacuna in alternativa con l’analogia, presupponendo il previo rigetto dell’argomento interpretativo. (25)

Va fatto almeno un cenno alle valenze lato sensu politiche dell’argomento a contrario: che sono diverse a seconda che lo si applichi a disposizioni in termini di posizioni soggettive sfavorevoli (tipicamente doveri) oppure favorevoli (tipicamente diritti). L’uso più comune dell’argomento è relativo a disposizioni in termini di doveri; qui esso funziona in direzione liberale, ossia nel senso di ampliare gli spazi di libertà e di restringere gli spazi di dovere: come nel diritto penale italiano, dove il ricorso all’argomento a contrario è desunto dal divieto dell’analogia espressamente disposto dagli artt. 25, c. 2 Cost., 14 Prel. e 1 c. p. (26) Ma l’argomento a contrario può anche essere usato per disposizioni in termini di diritti: e qui – in particolare ove si tratti di diritti di libertà – esso funziona in senso opposto, restringendo gli spazi di libertà.

 

2.2. L’argomento a fortiori – beninteso, ove lo si tipizzi come argomento a se stante, e non come versione dell’argomento analogico, non considerato in questo lavoro – è comunemente definito come l’argomento per cui la disciplina fissata da una disposizione per una classe di casi va estesa a un’altra classe di casi cui essa conviene a maggior ragione: L’argomento a fortiori realizza comunque, rispetto all’interpretazione letterale, una estensione della disciplina; se ne distinguono due forme, simili rispettivamente all’interpretazione estensiva e all’analogia legis. La prima forma è l’argomento a fortiori interpretativo, simile all’interpretazione estensiva in quanto interpretativo di una norma esplicita; la seconda forma è l’argomento a fortiori integrativo, simile all’analogia legis in quanto produttivo di una norma implicita.

L’argomento a fortiori può dirsi completo a maggior ragione dell’analogia, (27) da cui va comunque distinto. Nell’analogia ciò che consente di estendere la disciplina è la mera somiglianza fra i casi, mentre nell’argomento a fortiori è la ratio, la ragione, anzi, la maggior ragione; non bisogna dimenticare, però, che anche nell’analogia non basta una qualsiasi somiglianza fra i casi, ma occorre una somiglianza rilevante in base a una qualche ratio. Argomento a fortiori e analogia (latamente intesa) dunque, differiscono per due aspetti, e non per uno solo: in primo luogo perché nell’argomento a fortiori la ragione dell’estensione è la ratio comune, nell’analogia la somiglianza fra i casi; in secondo luogo perché la ratio che nell’argomento a fortiori è ragione diretta dell’estensione, nell’analogia è ragione indiretta, relativa alla somiglianza rilevante. (28)

Si distinguono comunemente due sottospecie dell’argomento a fortiori: l’argomento a maiori ad minus, relativo all’estensione di qualificazioni vantaggiose, e tipicamente di diritti, e l’argomento a minori ad maius, relativo all’estensione di qualificazioni svantaggiose, e tipicamente di doveri. Ragiona a maiori ad minus, ad esempio, chi argomenta che se è permesso entrare in città in auto, allora a maggior ragione è permesso entrarvi in bicicletta; ragiona a minori ad maius chi argomenta che, se è vietato il gioco d’azzardo in un locale pubblico, a maggior ragione vi è vietata la roulette russa. In entrambi i casi, decisiva è la ratio delle disposizioni applicate a fortiori, e non la somiglianza: nel primo caso, la libertà di circolazione, nel secondo il divieto di arrecare danni ingiusti a sé o ad altri.

 

2.3. L’argomento della coerenza, o a coherentia, è il primo di una serie di tre argomenti, comprendente anche gli argomenti della completezza e dell’economicità, accomunati da tre caratteristiche: anzitutto, sono argomenti interpretativi; poi, sono argomenti relativi al sistema giuridico, ossia alla concezione del diritto (non come mero insieme, bensì) come insieme ordinato di norme, e come tali riconducibili alla vasta famiglia di argomenti compresi sotto l’etichetta dell’argomento sistematico; (29) infine, sono argomenti incompleti, che richiedono il ricorso ad altri argomenti al fine di ottenere una disciplina applicabile. Per l’argomento della coerenza, in particolare, date due disposizioni situate allo stesso livello gerarchico, e interpretabili letteralmente in modo da produrre un’antinomia, occorre invece interpretarle come coerenti, ossia non antinomiche.

Che le due disposizioni debbano trovarsi allo stesso livello gerarchico serve a distinguere l’argomento della coerenza da un’altra variante dell’argomento sistematico, l’interpretazione adeguatrice: nella quale la coerenza è ottenuta “adeguando” la disposizione di livello gerarchico inferiore alla disposizione di livello gerarchico superiore. Come l’interpretazione adeguatrice, l’argomento della coerenza è: un argomento interpretativo, che evita conflitti fra norme per via d’interpretazione delle relative disposizioni; un argomento incompleto, in quanto, per ottenere la disciplina del caso, comporta ricorso ad altri argomenti: non però, a rigore, a criteri di soluzione delle antinomie.(30) Come l’argomento economico, esso risponde a un principio di conservazione dei documenti giuridici, che impone di “salvarne” il più possibile per via interpretativa.

 

2.4. L’argomento della completezza, o a completudine, è il secondo dei tre accomunati dal carattere interpretativo, dal riferimento al sistema giuridico e dall’incompletezza. (31) In particolare, l’argomento della completezza, di fronte a un caso non regolato, e a un’insieme di disposizioni interpretabili letteralmente in modo da aprire una lacuna, impone di considerare comunque il caso regolato, interpretando tali disposizioni in modo da evitare la lacuna. Come l’argomento della coerenza, si tratta: di argomento meramente interpretativo, in quanto serve a prevenire le lacune per via d’interpretazione; di argomento relativo al sistema giuridico, del quale è assunta la completezza; di argomento incompleto, in quanto, al fine di ottenere la disciplina del caso, impone di ricorrere a ulteriori argomenti interpretativi, e tipicamente all’interpretazione estensiva.

Come l’argomento della coerenza evita le antinomie, così l’argomento della completezza evita le lacune per via meramente interpretativa. Come l’argomento della coerenza, escludendo le antinomie, esclude anche il ricorso ai criteri di soluzione delle antinomie, così l’argomento della completezza escluderebbe, a rigore, anche il ricorso ad argomenti integrativi come l’analogia (legis e iuris) e allo stesso argomento a contrario (produttivo: cfr. 2.1). Non sempre, però, giuristi, e teorici del diritto, sono così conseguenti: invece di ammettere che il ricorso a criteri di soluzione delle antinomie, a rigore, esclude la coerenza, e che il ricorso ad argomenti integrativi, a rigore, esclude la completezza, essi assumono che il diritto sia coerente e completo proprio in quanto prevede strumenti per renderlo coerente e completo. (32)

 

2.5. L’argomento dell’economicità, o meglio della non ridondanza (da non confondere con le varianti economicistiche dell’argomento naturalistico: cfr. 2.9) è il terzo della serie di argomenti interpretativi, sistematici e incompleti. L’argomento economico, in particolare, richiede che, dinanzi a due o più disposizioni interpretabili letteralmente come esprimenti la stessa norma, le si interpreti così da attribuir loro significati comunque diversi, e quindi non ridondanti. Qui emerge, oltreché il principio di conservazione dei documenti (cfr. 2.3), un ulteriore tratto comune ai tre argomenti appena considerati: il ricorso di tutti e tre a un modello di legislatore razionale che, sovrapposto al legislatore reale, consente all’interprete di attribuirgli la disciplina da lui stesso ritenuta più razionale, e in particolare coerente, completa ed economica. (33)

 

2.6. L’argomento storico richiede che a una disposizione si attribuisca il significato già attribuito a suoi precedenti storici, come la disposizione omologa del codice precedente. È argomento interpretativo e completo che non va confuso con altri tre argomenti riconducibili al metodo interpretativo detto storico: (34) l’argomento psicologico, o dell’intenzione del legislatore storico, ricostruita però sulla base dei lavori preparatori; l’argomento autoritativo, o ab exemplo, che rinvia però a un’interpretazione dottrinale o giudiziale precedente (non di altra, ma) della stessa disposizione; l’argomento comparatistico, che rinvia all’interpretazione di disposizione omologa di altro ordinamento, interpretazione che può confondersi con l’interpretazione storica solo ove si tratti dell’ordinamento di provenienza della disposizione. (35)

 

2.7. L’argomento teleologico, o della ratio legis, richiede di attribuire a una disposizione il significato corrispondente – non alla soggettiva intenzione del legislatore, bensì – allo scopo o policy o ratio oggettiva della norma: ciò che permette di distinguerlo duplicemente dall’argomento psicologico.(36) L’argomento teleologico, in primo luogo, è caratteristico del metodo interpretativo oggettivo, opposto al metodo soggettivo rappresentato (se non esaurito), dall’argomento psicologico; esso, in secondo luogo, è caratteristico del metodo interpretativo evolutivo o dinamico, che adegua il significato della disposizione all’evoluzione dei rapporti sociali, opposto al metodo originalista o statico, che fissa definitivamente il significato della disposizione, anch’esso rappresentato (ma non esaurito) dall’argomento psicologico. (37)

Si tratta di argomento interpretativo e completo, che sembra attribuire rilevanza autonoma alla ratio incorporata in molti altri argomenti. Si pensi alla ratio della somiglianza, incorporata nell’argomento analogico; alla ratio dell’argomento a fortiori, anch’essa dotata di rilevanza autonoma e distinguibile dalla ratio dell’argomento teleologico solo come maggior ragione; all’invocazione della ragionevolezza compiuta nell’argomento anagogico (38) (cfr. 2.8). Come vedremo in relazione allo stesso argomento apagogico, peraltro, non si può dire che tutti gli argomenti contengano un riferimento alla ratio; tutti gli argomenti giuridici sono certo ragioni, ma vi sono ragioni e ragioni: alcune invocano una ratio, mentre in altre, come l’argomento letterale e l’argomento psicologico, per dir così stat pro ratione voluntas.

 

2.8. L’argomento apagogico, o ab absurdo, richiede che a una disposizione si fornisca un’interpretazione non assurda o non irragionevole: presunzione di ragionevolezza che lo accomuna ad argomenti come il teleologico, di cui pare costituire la forma negativa. Si tratta di argomento interpretativo duplicemente incompleto: perché richiede altri argomenti al fine di ottenere una norma applicabile; perché la stessa generica assurdità invocata può spesso specificarsi come contrarietà alle ragioni di altri argomenti. Ad esempio, l’assurdità può rivelarsi: contrarietà ai fini (soggettivi) del legislatore, e allora l’argomento apagogico sfuma in psicologico; contrarietà ai fini (oggettivi) della legge, e allora l’argomento apagogico sfuma in teleologico (cfr. 2.7); contrarietà alla giustizia, e allora l’argomento apagogico sfuma in equitativo (cfr. 2.10).

Il carattere duplicemente incompleto dell’argomento apagogico è importante per la ragione seguente. Come vedremo per l’argomento equitativo in relazione alla giustizia, anche per l’argomento apagogico in relazione alla ragionevolezza non si può sostenere che basti l’irragionevolezza per escludere un’interpretazione; contrariamente a quanto spesso si sostiene, nel diritto anche un’interpretazione irragionevole può prevalere su un’interpretazione ragionevole: e non solo di fatto, ma di diritto. Basti l’esempio di questa applicazione della plain meaning rule di common law fatta da una corte canadese ancora nel 1995: “quando un legislatore adotta un testo legislativo che impiega termini chiari, inequivoci e suscettibili di un solo significato, questo testo dev’essere applicato anche se produce risultati rigidi, o assurdi, o persino contrari alla logica”. (39)

 

2.9. L’argomento naturalistico, o della natura delle cose, richiede un’interpretazione o un’integrazione conforme a, o meglio non difforme da, la natura delle cose. L’argomento naturalistico nasce come argomento integrativo in organizzazioni premoderne nelle quali – in mancanza di una rigida disciplina delle fonti – non solo il diritto positivo era passibile di integrazione da parte del diritto naturale in caso di lacuna, ma, almeno secondo la tradizione giusnaturalista, era addirittura passibile di invalidazione. Oggi, peraltro, l’argomento naturalistico opera quasi esclusivamente come argomento interpretativo: ossia al fine di attribuire a una disposizione un significato conforme alla natura delle cose o, più frequentemente, al fine di escludere che si attribuisca a una disposizione un significato difforme dalla natura delle cose.

Ove usato in negativo, per escludere l’attribuzione a una disposizione di un significato difforme dalla natura delle cose, l’argomento naturalistico, come l’argomento apagogico, appare incompleto: richiede altri argomenti per sostituire l’interpretazione esclusa, oltreché la specificazione del senso di ‘natura’ da esso invocato, non meno generico dell’assurdità nell’argomento apagogico. Ove usato in positivo, per attribuire a una disposizione il significato conforme alla natura delle cose, l’argomento naturalistico pare invece completo, salva sola l’accennata specificazione del senso di ‘natura’: specificazione oggi spesso compiuta nei termini di scienze sociali come l’economia, sistematicamente invocata dall’analisi economica del diritto (Law and Economics) al fine di interpretare in senso efficientistico disposizioni civilistiche, e non solo. (40)

 

2.10. L’argomento equitativo richiede di privilegiare, fra le diverse interpretazioni di una disposizione, l’interpretazione più giusta o meno ingiusta quanto al caso generico, più equa o meno iniqua quanto al caso specifico. Da questa definizione risulta già che l’argomento equitativo, nato anch’esso come argomento produttivo, qui e oggi funziona solo come argomento interpretativo, al pari dell’argomento naturalistico: con l’eccezione dei giudizi d’equità ex artt. 113 e 114 c. p. c., dove peraltro l’equità non può considerarsi argomento ma vera e propria fonte del diritto. Come pure risulta dalla definizione, l’argomento interpretativo è, sempre qui e oggi, incompleto: non può essere usato, da solo, al fine di indicare un’interpretazione applicabile, ma solo per scegliere fra altre interpretazioni, da argomentare con altri argomenti. (41)

Per l’argomento equitativo – tanto per l’argomento della giustizia (lat. aequitas), relativo al caso generico, quanto per l’argomento dell’equità (gr. epieikeia), relativo al caso specifico – potrebbe sostenersi, come per l’argomento apagogico, che il suo uso è implicito in ogni ragionamento giudiziale: che sempre l’interpretazione, finalizzata all’applicazione, pretenda di essere, in questo senso, giusta. Ora, si può certo ammettere che entro tutte le interpretazioni permesse da tutti gli argomenti interpretativi – specie in Stati costituzionali, ove sia anche praticabile l’interpretazione adeguatrice alla Costituzione – sarà quasi sempre possibile sceglierne una argomentandola come giusta; non si può escludere, peraltro, che anche in uno Stato costituzionale nessuna delle interpretazioni ammesse sia giusta, e nondimeno si debba applicarla. (42)

 

L’argomento equitativo – che, come l’argomento apagogico, appare la riproposizione, al livello degli argomenti interpretativi, di un argomento meta-interpretativo (cfr. 1.3) – collega il campo più ristretto dell’argomentazione giuridica con il campo più esteso del ragionamento etico o pratico. Com’è noto, Robert Alexy, con la sua tesi del caso speciale (ted. Sonderfallthese), ha sostenuto che l’argomentazione giuridica è un caso specifico dell’argomentazione morale: il giurista ragionerebbe moralmente, rispettando alcuni ulteriori vincoli giuridici (legge, dottrina, giurisprudenza, procedure). (43) La sezione conclusiva sosterrà invece che l’argomentazione giuridica è una caso speciale dell’etica o pratica in generale, insieme con l’argomentazione morale, e ha comunque, a maggior ragione di entrambe, carattere pluralistico.

 

 

3. Il pluralismo argomentativo

 

A commento della rassegna di argomenti interpretativi compiuta nella sezione precedente, questa sezione conclusiva insisterà sui tratti specificamente pluralistici dell’argomentazione giuridica. In primo luogo, si respingerà l’assimilazione del problema dell’interpretazione giuridica a problema morale, assimilazione compiuta non solo da autori non solo neo-giusnaturalisti o neo-costituzionalisti, ma anche neo-giusrealisti. In secondo luogo, si ammetterà che i due problemi sono direttamente connessi nell’argomentazione giuridica: ma non nell’interpretazione in senso specifico, e senza che i meta-argomenti interpretativi possano ridursi argomenti morali. In terzo luogo, si mostrerà che i tratti più notevoli dell’argomentazione giuridica possono essere spiegati dal pluralismo argomentativo, come applicazione giuridica del pluralismo etico.

 

3.1. Nel dibattito odierno il problema dell’ interpretazione viene sempre più spesso assimilato a problema etico-morale. In particolare, autori neo-giusnaturalisti o neo-costituzionalisti, come Ronald Dworkin, Carlos Nino e il già citato Alexy, sostengono la tesi di una triplice connessione necessaria fra diritto e morale – identificativa, giustificativa e interpretativa – talvolta assimilandole sotto un’unica concezione morale dell’interpretazione come giustificazione della soluzione giusta. L’assimilazione, peraltro, avviene anche da parte di autori neo-giusrealisti come Brian Leiter – che definisce il diritto stesso come un insieme di ragioni (le norme positive più gli argomenti) (44) – o come lo stesso Diciotti, che assimila l’interpretazione giuridica a valutazione morale, per la sua dipendenza da meta-argomenti in qualche senso morali. (45)

A favore di questa assimilazione vi sono importanti analogie: ad esempio, di solito chi sostiene forme di cognitivismo morale tende a sostenere anche forme di cognitivismo interpretativo, come lo stesso Dworkin, mentre chi sostiene forme di non cognitivismo morale tende a sostenere forme di non cognitivismo interpretativo, come Hans Kelsen e Alf Ross. Nondimeno, l’assimilazione è sbagliata, almeno in quanto confonde fra interpretazione in senso specifico, che non può essere ridotta a valutazione (interpretare un testo non equivale a valutare un comportamento), e interpretazione in senso generico, che invece, comprendendo l’argomentazione, sembrerebbe prestarsi maggiormente a venire assimilata a valutazione: benché neppure l’argomentazione giuridica sia riducibile a valutazione morale, come vediamo subito.

 

3.2. In relazione all’interpretazione, fra diritto e morale vi sono una differenza e una somiglianza. La differenza è rappresentata dall’interpretazione in senso specifico – l’attribuzione di significato all’enunciazione di norme – che nella morale non gioca alcun ruolo; la somiglianza è rappresentata da quella parte dell’interpretazione in senso generico che è appunto l’argomentazione. A rigore, già l’interpretazione in senso specifico, almeno in quanto condizionata dall’argomentazione, non può considerarsi attività meramente conoscitiva; ma l’argomentazione è certamente un’attività normativa, e i singoli argomenti sono tipi di valutazioni che rinviano a valori, rappresentati dai relativi meta-argomenti. Tutto ciò, peraltro, è sufficiente per qualificare l’argomentazione giuridica come un’attività specificamente morale?

Diciotti qualifica l’argomentazione come attività morale in quanto retta da meta-argomenti interpretativi non giuridici, o non giuridico-positivi: come se tutto ciò che non è giuridico(-positivo) fosse, perciò solo, morale; come se potessero dirsi morali, solo perché non giuridiche, le regole della lingua italiana, cui pure rinvia l’art. 12, c. 1 Prel., (46) o magari il sistema metrico decimale, pure richiamato da altre disposizioni. In realtà, l’argomentazione è un’attività debolmente normativa, ausiliaria dell’interpretazione giuridica, che presenta almeno tre aspetti notevoli: anzitutto, il suo carattere indiscutibilmente etico o pratico (il fatto di servire all’agire, e non alla conoscenza); poi, l’impossibilità (logica) di codificarla o positivizzarla senza residui; (47) infine, il suo carattere pluralistico, nel senso che vediamo in conclusione.

 

3.3. L’argomentazione giuridica, come l’argomentazione morale e l’argomentazione etica o pratica in generale, ha carattere pluralistico, come si diceva all’inizio: non può essere ricondotta a un unico valore o a un unico principio, e neppure ricostruita come una gerarchia di argomenti, tali da risolvere in generale, e non solo caso per caso, gli inevitabili conflitti fra argomenti. Il pluralismo, anticipato dal politeismo etico di Max Weber, e oggi rappresentato soprattutto da Isaiah Berlin e Bernard Williams, è dopotutto una posizione minoritaria nella filosofia morale, o nella filosofia etica o pratica in genere: in questi àmbiti disciplinari, negli ultimi cinquant’anni, ha dominato il monismo etico, nella forma di etiche procedurali che reagiscono all’impossibilità della loro fondazione ultima, o esterna, stabilendo gerarchie o procedure interne. (48)

Nella teoria del diritto e dell’interpretazione costituzionale, invece, si sta affermando almeno la seguente tesi pluralista: i valori e i princìpi costituzionali non sono riducibili a un unico valore o principio – se non assolutamente generico e vuoto, come la dignità umana – e comunque non li si può ordinare in un’unica gerarchia, od ordine lessicografico, così da risolvere in generale il loro possibile conflitto; ove il conflitto diviene attuale, è possibile solo il bilanciamento caso per caso. Come ha sostenuto Alexy – che pure, come teorico dell’argomentazione, persegue l’ideale di un codice della ragion pratica(49) – fra le regole il conflitto è patologico, e risolubile in generale sulla base di criteri per la soluzione delle antinomie, ma fra princìpi è fisiologico: a ogni principio è opponibile un altro principio, da bilanciare caso per caso. (50)

Orbene, questa è esattamente la situazione che si dà nell’argomentazione giuridica, come s’è visto: a ogni argomento (e meta-argomento) è sempre opponibile un altro argomento (e meta-argomento). (51) Non è un caso, dopotutto, che lo stesso art. 12, c. 1, Prel. – e sia pure nel tentativo, vano, di disciplinare l’interpretazione – menzioni due argomenti: e non uno solo. Il fatto è che il ragionamento giuridico s’è plasmato, e continua a plasmarsi, su giochi linguistici, interpretativi e argomentativi, non cooperativi ma conflittuali, come il processo; e che mentre per il ragionamento etico o pratico in generale il pluralismo sembra solo una teoria fra le altre, non così per il ragionamento giuridico: qui, la stessa nozione di pluralismo argomentativo suona ovvia non foss’altro perché degli argomenti giuridici si parla comunemente al plurale.

 

 

Note

 

(1) Si tratta di teoria, o piuttosto di meta-teoria dell’etica – ulteriore a soggettivismo e relativismo etico, e per più versi intrecciata a politeismo e particolarismo etico – sostenuta, fra gli altri, da Isaiah Berlin, Bernard Williams e Joseph Raz.

(2) La distinzione fra interpretazione in senso specifico e generico è proposta in M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica (2003), Giappichelli, Torino, 2005, p. 216.

(3) Cfr. J. Wróblewski, The Judicial Application of Law, Kluwer, Dordrecht, 1992, pp. 87-88. 

(4) Qui è richiamata la comune distinzione fra giustificazione esterna, o delle premesse (in fatto e in diritto), e giustificazione interna, o della conclusione, del sillogismo giudiziale: distinzione formulata paradigmaticamente da J. Wróblewski, Legal Syllogism and Rationality of Judicial Decision (1974), trad. it. Il sillogismo giuridico e la razionalità della decisione giudiziale, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), L’analisi del ragionamento giuridico, vol. I, Giappichelli, Torino, 1987, pp. 277-298.

(5) E coltivati sia da processualisti, come M. Damaska, Evidence Law Adrift (1997), trad. it. Il diritto delle prove alla deriva, Il Mulino, Bologna, 2003, sia da teorici del diritto, come J. Ferrer Beltrán, Prueba y verdad en el derecho (2002), trad. it. Prova e verità nel diritto, Il Mulino, Bologna, 2004.

(6) Per un modello che si estende alla giustificazione morale – basandosi sull’assunzione che il diritto positivo, come fatto, non possa giustificare (moralmente) alcuna decisione – cfr. invece C. Nino, Derecho, moral y política (1994), trad. it. Diritto come morale applicata, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 37-70; per una critica a questa tesi di Nino, cfr. già J. J. Moreso, P. E. Navarro, M. C. Redondo, Argumentación jurídica, logica y decision judicial, in “Doxa”, 11, 1992, pp. 247-262.

(7) Cfr. in particolare E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Giappichelli, Torino, 1999, specie pp. 293 ss., ripreso sostanzialmente anche da R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 139 ss.

(8) Per questa terminologia, cfr. in particolare M. Atienza, Estado de derecho, argumentación e interpretación, in “Anuario de filosofía del derecho”, 1997, pp. 465-484.

(9) Cfr. almeno F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1999, e soprattutto Id., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2003. La distinzione fra contesto della scoperta e della giustificazione, peraltro, non è sempre accettata neppure dagli stessi teorici analitici: cfr. T. Mazzarese, Scoperta vs giustificazione. Una distinzione dubbia […], in “Analisi e diritto”, 1995, pp. 145-196.

(10) La terminologia, su questo terzo elemento della giustificazione minima, non è consolidata: ad esempio, P. Chiassoni, Codici interpretativi. progetto di voce per un vademecum giuridico, in “Analisi e diritto”, 2002-2003, pp. 155-124, parla di regole e codici interpretativi, mentre E. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., p. 211, parla di princìpi metodologici.

(11) Per la tesi che ogni disposizione ammette almeno due interpretazioni, cfr. già K. N. Llewellyn, The Bramble Bush, Oceana, New York, 1930, pp. 72-76.

(12) Cfr. E. Diciotti, Sobre la inadecuación del modelo deductivo para la reconstrucción de las justificaciones de los jueces, in “Doxa”, 20, 1997, pp. 91-129.

(13) Cfr. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., pp. 532-539.

(14) Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen (1953), trad. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1967, p. 21 (§ 23, da cui è tratta l’epigrafe) e, per un’applicazione della nozione alla teoria dell’interpretazione, P. Chiassoni, Interpretive Games. Statutory Construction through Gricean Eyes, in “Analisi e diritto”, 1999, pp. 79-100.

(15) Cfr. già G. Tarello, L’interpretazione della legge, Giuffrè, Milano, 1980, p. 394: “questa distinzione, a differenza delle precedenti, ha un solido fondamento”.

(16) Cfr. ancora Diciotti, Interpretazione della legge, cit., pp. 323-324, e, per un’applicazione sistematica della distinzione, P. Chiassoni, La giurisprudenza civile. Metodi d’interpretazione tecniche argomentative, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 475-648.

(17) La distinzione fra termini analizzandi e analizzanti si trova anch’essa in M. Barberis, Filosofia del diritto, ed. cit., p. 55.

(18) Cfr. G. Tarello, L’interpretazione della legge, Giuffrè, Milano, 1980, pp. 341-387: peraltro ormai da integrare sulla base dei lavori di Guastini, Chiassoni e Diciotti. La lista più ampia si ha forse in R. S. Summers, M. Taruffo, Interpretation and Comparative Analysis, in N. MaCormick, R. S. Summers (eds.), Interpreting Statutes, Darthmouth, Aldershot, 1991, specie pp. 464-465; per materiali che provengono sia dal common law, sia dal civil law, può vedersi anche P. -A. Côté, Interprétation des lois (1990), Thémis, Montreal, 1999, pp. 322 ss.

(19) Cfr. G. Carcaterra, L’argomento a contrario, in S. Cassese et alii (a cura di), l’unità del diritto. Massimo Severo Giannini e la teoria giuridica, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 177-272: che distingue argomenti a contrario ermeneutico-debole, ermeneutico-forte, sistemico-debole, sistemico-forte.

(20) Cfr. ancora E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, cit., p. 316 e 320, che distingue fra interpretazione letterale, argomento della sufficienza del dettato legislativo, e argomento a contrario propriamente detto (produttivo).

(21) Cfr. G. Tarello, L’interpretazione delle legge, cit., pp. 346-350 e R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 149-150 e 153-154.

(22) Questa definizione permette di distinguere l’argomento a contrario dall’argomento della dissociazione, che sottopone a diversa disciplina – non una classe di casi ulteriore rispetto alla classe regolata in base all’interpretazione letterale, bensì – una sottoclasse della stessa classe: e che potrebbe perciò chiamarsi argomento dis-integrativo, piuttosto che integrativo. Sulla dissociazione, cfr. già Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Traité de l’argumentation (1958), trad. it. Trattato dell’argomentazione, Einaudi, Torino, 1966, pp. 433 ss.; sulla sua simmetria con l’analogia, cfr. E. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., p. 452, e R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 163-167.

(23) Non si considerano, per semplicità, le interpretazioni restrittiva ed estensiva di termini come ‘cittadini’ (una parte degli italiani? una parte dei non italiani?) o ‘elettori’ (solo elettori politici? anche elettori amministrativi?). Sulle frasi attributive assolute, cfr. almeno G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., pp. 123-129.

(24) Sull’argomento letterale, o piuttosto sulla famiglia di argomenti che fanno appello alla lettera, piuttosto che allo spirito della legge, cfr. almeno V. Velluzzi (a cura di), Significato letterale e interpretazione del diritto, Giappichelli, Torino, 2000.

(25) Certo, chi usa l’argomento a contrario (produttivo), al fine di non indebolire la propria argomentazione, occulta normalmente il previo ricorso all’argomento letterale (interpretativo): ma una ricostruzione razionale può esplicitare l’implicito rigetto dell’argomento letterale, permettendone la critica. L’argomento a contrario potrebbe dirsi incompleto anche perché l’integrazione restrittiva, come l’integrazione estensiva, è pur sempre compiuta in relazione a una ratio: beninteso a patto di considerare questo ricorso alla ratio come un ulteriore argomento.

(26) Qualcosa del genere, sulla base di un principio implicito, avviene nel diritto pubblico per le norme che conferiscono poteri (se la Costituzione conferisce al governo il potere esecutivo, di regola lo attribuisce solo al governo): ciò che però non sembra valere per norme che conferiscono poteri di diritto privato.

(27) Contra, G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., p. 394: nel caso dell’analogia, questa tesi si giustifica in quanto egli considera la ratio della somiglianza rilevante come un argomento ulteriore; ma nel caso dell’argomento a fortiori questa tesi non si giustifica, perché, come vedremo, la ratio è l’argomento tout court.

(28) Più che all’argomento analogico, da questo punto di vista, l’argomento a fortiori potrebbe venire assimilato all’argomento teleologico, da cui lo distingue solo l’invocazione – non di una ragione, ma – di una maggior ragione.

(29) Sul quale si veda almeno V. Velluzzi, Interpretazione sistematica e prassi giurisprudenziale, Giappichelli, Torino, 2002.

(30) L’argomento a coherentia serve a evitare le antinomie, e quindi a rigore esclude il ricorso a criteri per la loro soluzione. Esso, per definizione, esclude il ricorso al criterio gerarchico; esso sembra escludere anche il ricorso al criterio cronologico, che comporterebbe l’abrogazione di una delle due norme in conflitto; più dubbio è il caso del criterio di specialità, che permette di rendere compatibili entrambe le norme, instaurando fra loro un rapporto da regola ad eccezione.

(31) Va appena osservato che non c’è nulla di paradossale nel fatto che l’argomento della completezza (del sistema giuridico) sia incompleto (nel senso di non assicurare, da solo, la disciplina del caso).

(32) Qui forse ri-emerge una concezione del diritto anteriorre alla concezione post-codificatoria come testo, o completo o incompleto: una concezione del diritto come opera, né completa né incompleta ma sempre indefinitamente completabile. Per spunti in questa direzione, cfr. G. Currie, Work and Text, in “Mind”, 100, 1991, pp. 325-340, ed E. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., pp. 384-385.

(33) Cfr. almeno N. Bobbio, Le bon législateur, in H. Hubien (sous la direction de), Le raisonnement juridique, Bruylant, Bruxelles, 1971, pp. 243-249 nonché – con particolare riferimento all’interpretazione dottrinale – C. S. Nino, Introducción al análisis del derecho (1973-1975; 1980), trad. it. Introduzione all’analisi del diritto, Giappichelli, Torino, 1006, pp. 288-292.

(34) Cfr., ad esempio, A.-P. Côté, Interprétation des lois, cit., pp. 520-555, che considera argomento storico anche, se non soprattutto, l’argomento psicologico.

(35) Cfr. G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., rispettivamente pp. 367-368, 364-357 e 372-375.

(36) L’opposizione, concettualmente netta, è vaga nell’applicazione. L’interpretazione (psicologica), in termini di intenzione del legislatore sfuma spesso nell’interpretazione (teleologica), in termini di intenzione della legge: come osserva R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 150-153. Inoltre, distinguendo più rigorosamente fra intenzione e scopi soggettivi del legislatore – come suggerisce il classico G. J. MacCallum Jr., Legislative Intent, in “Yale Law Journal”, 1966, pp. 754-787 – si ottiene un argomento intermedio, talvolta chiamato teleologico-psicologico: cfr. E. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., p. 313.

(37) Sull’interpretazione teleologica, cfr. almeno J. Bell, Policy Arguments, Clarendon Press, Oxford, 1983; W. N. Eskridge Jr., Dynamic Statutory Interpretation, Harvard U. P., Cambridge (Mass.), 1994.

(38) Si potrebbe aggiungere lo stesso argomento a contrario, dove la “chiusura” della disciplina avviene, esplicitamente o più spesso implicitamente, invocando la ratio della disposizione così interpretata.

(39) Il passo è contenuto nella sentenza R. c. Mcintosh, 1995, cit. in P.-A. Côté, Interprétation des lois, cit., p. 365.

(40) In questo senso, cfr. già G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., p. 380 e nota 80: per un’introduzione, P. Chiassoni, Law and Economics. L’analisi economica del diritto negli Stati Uniti, Giappichelli, Torino, 1992. L’approccio economicistico, peraltro, è diventato nel frattempo assai più ambizioso, estendendosi dalla responsabilità civile verso aree esterne al diritto privato: cfr. da ultimo D. Friedman, Law’s Order (2000), trad. it. L’ordine del diritto, Il Mulino, Bologna, 2004.

(41) Lo sottolineano sia G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., p. 381, sia E. Diciotti, Interpretazione della legge, cit., p. 317.

(42) Per due esempi, relativi agli artt. 29 c. 1 e 34 c. 3 Cost., cfr. A. Pace, Metodi interpretativi e costituzionalismo, in “Quaderni costituzionali”, 2001, 1, p. 45, n. 40; per una critica più articolata della tesi neocostituzionalistica che la legittimità costituzionale esaurisca la giustizia, cfr. invece ancora M. Barberis, Filosofia del diritto, ed. cit., pp. 250-256.

(43) R. Alexy, Theorie der juristischen Argumentation (1978), trad. it. Teoria dell’argomentazione giuridica, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 170-175.

(44) Cfr. ad esempio B. Leiter, Legal Indeterminacy, in “Legal Theory, 1, 1995, pp. 481-492: le ragioni di cui consiste il diritto sarebbero le fonti e gli argomenti, sia logici (“deductive reasoning”) sia retorici (“legitimate interpretive operations” compiute sulle fonti e sui fatti: ossia l’argomentazione in diritto e in fatto). Che le norme stesse possano considerarsi ragioni è tesi circolante nella teoria del diritto analitica almeno a partire da J. Raz, Practical Reason and Norms, Hutchinson, London, 1975.

(45) Cfr. in particolare E. Diciotti, Verità e certezza nell’interpretazione della legge, Giappichelli, Torino, 1999.

(46) Come osserva R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 141, n. 5.

(47) Detto altrimenti: se si codificano gli argomenti interpretativi, come fa parzialmente l’art. 12 Prel., si produce un’interpretazione della loro codificazione, ossia una meta-interpretazione; se si codificano gli argomenti meta-interpretativi, si produce una meta-meta-interpretazione, e così all’infinito.

(48) Cfr. almeno M. Barberis, L’eterogeneità del bene. Giusnaturalismo, giuspositivismo e pluralismo etico, in “Analisi e diritto”, 2002-2003, specie pp. 13-20 – che peraltro non distingue ancora fra politeismo e pluralismo – e la discussione fra Dworkin, Bernard Williams, Thomas Nagel e Charles Taylor, leggibile in M. Lilla, R. Dworkin, R. Silvers (eds.), The Legacy of Isaiah Berlin, New York Review Books, New York, 2001, pp. 73-139.

(49) Cfr. R. Alexy, Theorie der juristischen Argumentation, trad. it. cit., p. 148; il carattere metaforico di questo ideale è peraltro segnalato da L. Gianformaggio, Il gioco della giustificazione. Osservazioni in margine a una teoria procedurale dell’argomentazione giuridica (1984), ora in Id., Studi sulla giustificazione giuridica, Giappichelli, Torino, 1986, pp. 59-88.

(50) Cfr., da ultimo, R. Alexy, Collisione e bilanciamento quale problema di base della dogmatica dei diritti fondamentali, in M. La Torre, A. Spadaro (a cura di), La ragionevolezza nel diritto, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 27-44, nonché – per un commento pluralistico – R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, ivi, specie pp. 69-72.

(51) Per esempio: al meta-argomento della norma generale esclusiva, che richiede l’impiego dell’argomento a contrario, se ne oppone sempre un altro, il meta-argomento della norma generale inclusiva, che richiede l’impiego dell’argomento analogico: cfr. N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico (1960), ora in Id., Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino, 1993, p. 254. Per esempio: al meta-argomento della norma generale esclusiva, che richiede l’impiego dell’argomento a contrario, se ne oppone sempre un altro, il meta-argomento della norma generale inclusiva, che richiede l’impiego dell’argomento analogico: cfr. N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico (1960), ora in Id., Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino, 1993, p. 254.