L’integrità della persona in campo medico e biologico (*)

 

Luigi Gaudino

Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Udine

 

 

La lettura dell’art. 3 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (1) ci pone di fronte a un testo sintetico, asciutto, stringato: come peraltro si addice a un testo che mira - di fatto - a collocarsi ai livelli più alti tra le fonti del diritto comunitario.

D’altronde, nei lavori preparatori emerge la esplicita volontà di non derogare (2) rispetto a quanto già stabilito nella “Convenzione di Oviedo” (stilata nella città spagnola il 4.4.1997, nell’ambito del Consiglio d’Europa (3)) e nel successivo Protocollo Addizionale sulla clonazione (datato Parigi 12.1.1998 (4)). Una scelta che si vuole fondata sulla maggiore flessibilità - rispetto ai futuri progressi tecnici - di un testo formulato in maniera generale: meglio dunque un testo breve piuttosto che uno lungo e comunque rapidamente destinato a rivelarsi incompleto (5).

Volontà di non derogare ma - aggiungiamo - pure di non riaprire a Nizza un confronto che non aveva trovato a Oviedo una soluzione ampiamente condivisa.

Il trattato promosso dal Consiglio d’Europa vede, infatti - nell’elenco degli Stati firmatari - la significativa assenza di Paesi dell’UE quali l’Austria, il Belgio, la Germania, l’Irlanda, il Regno Unito. E pure fra gli Stati che hanno sottoscritto l’accordo, ben pochi in realtà figurano sinora avervi dato forza nel diritto interno (6).

 

Per saperne di più, occorre pertanto aprire le pagine del “Trattato sulla Biomedicina”, al fine di metterne in evidenza i passaggi sui quali più forti appaiono i dissensi.

Il trattato di Oviedo si occupa, in effetti, di molteplici questioni, che vanno dal consenso informato nelle pratiche mediche alla mercificazione del corpo umano; dalla considerazione per le volontà espresse in precedenza da chi non sia, al momento dell’intervento, capace di esprimersi, alle regole sul prelievo di organi per trapianti, e altro ancora.

Sono questioni - quelle appena elencate - rispetto alle quali è ben vero che esiste una pluralità di posizioni, che non appaiono però del tutto inconciliabili fra loro.

È bene qui concentrare invece l’attenzione sugli aspetti più controversi della materia.

Appare infatti evidente come le vere ragioni delle persistenti divergenze rispondano a due termini-chiave: “clonazione umana”, da un lato, e “cellule staminali”, dall’altro lato (locuzioni che, come vedremo, richiamano questioni fra loro interconnesse).

Diciamo subito - onde liberare il campo da ingombranti evocazioni - che non parleremo di clonazione riproduttiva: in effetti, il rischio di imbatterci in un prossimo futuro in un nostro doppio non deve preoccuparci.

A tacere delle difficoltà tecniche che una simile pratica ancora presenta, è sufficiente richiamare il punto di vista politico/giuridico. Il protocollo addizionale al Trattato di Oviedo è infatti esplicito nel vietare la clonazione umana riproduttiva; e lo stesso articolo 3 della Carta dei diritti ribadisce il divieto con chiarezza; sul punto vi è comunque la convergenza di tutti i Paesi (anche di quelli non firmatari del Trattato). Insomma, quella della clonazione umana a fini riproduttivi è una questione che possiamo con una certa tranquillità accantonare.

 

Vediamo, invece, quali siano i messaggi - relativi alle questioni sopra menzionate - che giungono dal mondo della ricerca scientifica, e che occupano in questi tempi il centro del dibattito.

Parliamo anzitutto delle cellule staminali. Ricordiamo che si tratta di cellule indifferenziate capaci (in ipotesi, e se correttamente guidate nel loro sviluppo) di assumere la veste somatica voluta dal ricercatore.

Le prospettive di utilizzo di queste cellule coprono un elenco assai vasto di malattie, che comprende l’infarto cerebrale, il Parkinson, l’Alzheimer, le lesioni del midollo spinale, la sclerosi multipla, l’infarto del miocardio, il diabete, l’osteoartrite, la leucemia a altri tipi di cancro, l’epatite, la cirrosi, le ustioni, la distrofia muscolare, i traumi ossei, l’osteoporosi; positive ricadute si segnalano pure nel campo dei trapianti e del superamento del problema del rigetto.

In linea generale, quali fonti di cellule staminali sono stati indicati: determinati tessuti adulti; il cordone ombelicale; alcuni tessuti tratti da feti abortiti; l’embrione umano nella sue primissime fasi di sviluppo.

L’utilizzo di alcune di queste fonti può dar luogo a problemi etici, che però non appaiono dirompenti (i conflitti riguardano essenzialmente la liceità o meno dell’uso di cellule provenienti da feti volontariamente abortiti).

La fonte che ad oggi appare - secondo le indicazioni dei ricercatori - come la più ricca e promettente è l’embrione umano. Ma l’idea stessa di “uso” dell’embrione è destinata a toccare corde assai sensibili; e, com’è ovvio, la questione relativa all’utilizzo di tale “risorsa” ha innescato un dibattito bioetico particolarmente vivace e segnato da prese di posizione anche assai distanti fra loro.

Dal punto di vista strettamente tecnico-scientifico, attualmente i laboratori sono in grado di: 1) attingere ai c.d. “embrioni sovrannumerari”, è cioè agli embrioni non più necessari in vista di una fecondazione in vitro e destinati comunque alla distruzione; 2) creare embrioni per le sole finalità di ricerca.

Occorre poi tener conto di come le questioni relative all’embrione si intreccino a quelle concernenti un’altra metodica che la ricerca ci segnala come foriera di importanti sviluppi. Si tratta del Trasferimento di Cellule Staminali Autologhe (TNSA; ovvero: Trapianto Nucleare Somatico -TNS -; Somatic Cells Nuclear Transplant - SCNT): processo al quale ci si riferisce con il termine (sovente ritenuto fuorviante (7)) di “clonazione terapeutica” (8).

In breve, si tratta di una tecnica che consiste nell’inserimento del nucleo di una cellula somatica adulta all’interno di un ovocita privato del suo nucleo, e che consente di ottenere cellule staminali dotate del medesimo DNA del soggetto al quale sono destinate (9).

 

Le legislazioni europee presentano, attualmente, una pluralità di approcci (10).

L’Austria (legge del 1992 sulla medicina procreativa), vieta la ricerca sugli embrioni.

La Danimarca (legge del 1997 sulla fecondazione artificiale) consente solo la ricerca che abbia lo scopo di migliorare la fecondazione in vitro o le tecniche di diagnosi preimpianto.

La Finlandia (legge del 1999 sulla ricerca medica) consente la ricerca sugli embrioni sovrannumerari fino ai 14 giorni, ma ne vieta la creazione ai soli scopi di ricerca.

La Francia (legge 94-654 e succ. mod.) consente le ricerca che miri a ottenere benefici per l’embrione o a migliorare la medicina riproduttiva.

La Germania, (legge del 1992 sulla protezione degli embrioni) punisce penalmente l’uso distruttivo di embrioni umani e lo stesso tentativo di fecondazione per scopi non riproduttivi (11).

La Grecia (dichiarazione del Consiglio generale sanità del 1988) consente la ricerca su embrioni fino al 14° giorno, previa approvazione della commissione etica.

La Spagna (legge del 1988 sulla riproduzione assistita), consente la ricerca su embrioni fino al 14° giorno, a scopi diagnostici o terapeutici.

Il Regno Unito (legge del 1990 sulla fecondazione umana e l’embriologia) ha istituito un’autorità di controllo che rilascia le autorizzazione alla ricerca su embrioni fino al 14° giorno.

In Italia, la situazione è incerta. Da un lato, si registra la mancata approvazione dei progetti di legge sulla fecondazione assistita; dall’altro lato, alla ratifica della Convenzione di Oviedo e del Protocollo addizionale di Parigi sulla clonazione - avvenuta nella “fase terminale” dell’ultima legislatura (12) - dovranno seguire “uno o più decreti legislativi” volti ad adattare la legislazione interna ai principi e alle norme della Convenzione.

Sin qui, per quanto riguarda la ricognizione delle diverse scelte sinora operate dalla legislazione di alcuni Pesi europei.

Dal canto suo, la convenzione di Oviedo, all’art. 18 (Ricerca sugli embrioni in vitro), precisa che:

1. Laddove la legge consente la ricerca su embrioni in vitro, questa assicura un’adeguata protezione dell’embrione.

2. La creazione di embrioni umani a fini di ricerca è vietata.

 

Dalla semplice lettura di questa disposizione appare evidente come, da un lato, il 1° co. sia destinato a venir giudicato troppo “tiepido” agli occhi dei sostenitori della linea di assoluta tutela per l’embrione; dall’altro lato, il 2° co. non è facilmente accettabile da quanti mirano ad assicurare una maggiore libertà di ricerca (oltre al fatto che un simile divieto potrebbe ostacolare le tecniche di “trasferimento nucleare”, sulle quali si sono accumulate molte aspettative).

Ciò rende comprensibili le riserve formulate da alcuni Paesi e la stessa assenza - dovuta a ragioni fra loro opposte - della firma di importanti Paesi.

D’altronde, la stessa vaghezza di quanto disposto dall’art. 18 rende evidente come la partita sia ancora tutta da giocare (e ciò vale in particolare, per la situazione italiana).

 

Di fonte a questa situazione, quale può essere l’apporto del giurista?

Ebbene, fermo restando che non credo che il giurista sia - in quanto tale - dotato di una speciale legittimazione in campo bioetico, non ritengo neppure che egli si debba limitare a un ruolo meramente “notarile”.

Per ciò che consente l’economia di questo intervento, è possibile anzi fare alcune considerazioni - forse utili in questo momento nel quale l’Italia, dopo aver ratificato il Trattato di Oviedo, sta per tradurre in regole operative gli ampi principi del documento internazionale.

Anzitutto, una prima considerazione riguarda l’atteggiamento con il quale il giurista affronta le sfide alle quali è chiamato dai progressi nella ricerca scientifica.

È certamente da evitare un’accoglienza fanciullesca e acritica di qualsiasi nuovo giocattolo o promessa ci venga offerta dagli scienziati e dalle industrie.

Ma va ugualmente evitata la sterile contrapposizione tra scienza e diritto: quella che può essere rappresentata figurativamente con l’immagine dello scienziato “piazzista” che cerca di convincerci circa la bontà della sua merce, e del giurista che sta col dito levato e minaccioso - e l’espressione corrucciata di chi ammonisce: “di questo passo dove andremo a finire”.

Le esigenze di governo e di indirizzo del progresso scientifico richiedono invece uno sforzo di conoscenza e comprensione che induca alla costruzione di regole quanto più possibile condivise e operativamente efficaci.

In questo senso, alcuni rilievi appaiono incontestabili:

1) Esiste in questo campo una pluralità di approcci etici non riconducibili a unità; il panorama è complesso e articolato al punto da non poter essere descritto ricorrendo alla classica contrapposizione fra bioetica religiosa e bioetica laica.

2) Le indicazioni contenute nella Carta dei Diritti dell’UE, nel Trattato di Oviedo, nel Protocollo addizionale – così come nella Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e i Diritti dell’Uomo (13) – mettono fuori gioco la sola clonazione riproduttiva, mentre sul tema della tutela dell’embrione lasciano senz’altro aperte due vie: quella di vietare in ogni caso ogni ricerca che implichi la distruzione dell’embrione, e quella di consentire tale ricerca sottoponendola a regolamentazioni che “assicurino la tutela…”.

3) In questo campo non è possibile effettuare scelte neutre (ed è particolarmente vero che “nessuna scelta è già una scelta”). In particolare, va rilevato come gli sviluppi delle conoscenze e delle tecniche biomediche impongano al giurista di riconoscere il sorgere di nuovi conflitti di interesse: il più recente dei quali è quello fra l’embrione e i portatori della malattie che potrebbero avvantaggiarsi dalla ricerca sulle cellule staminali o sulla c.d. clonazione terapeutica (14).

L’adozione di legislazioni ispirate a una piuttosto che a un’altra impostazione bioetica comporta perciò la decisione di far pendere la bilancia a favore di uno degli interessi in gioco; e un ovvio principio di onestà intellettuale impone di palesare e motivare una simile scelta nel momento in cui si formulano le proposte normative.

4) Sul piano dell’effettività, qualche dubbio può essere avanzato circa la possibilità di adottare regole ispirate al principio dell’intangibilità dell’embrione umano, allorché tale visione non figuri larghissimamente condivisa - non soltanto a livello di UE, ma su di un piano quasi globale (coinvolgente almeno i Paesi nei quali la ricerca è a uno stadio più avanzato).

In effetti - come chiaramente esplicitato nei documenti pontifici - il riconoscimento del valore di persona all’embrione comporta, secondo un logica coerente, il divieto di ogni ricerca sugli embrioni che non abbia come fine il benessere dell’embrione stesso. Da ciò, non possono che seguire in sequenza: a) il divieto di pratiche di inseminazione in vitro che comportino la creazione di embrioni sovrannumerari (di per sé destinati a venir distrutti); b) il divieto di procedere alla c.d. “clonazione terapeutica” (anche con il TNSA si crea un embrione capace, se collocato in utero, di svilupparsi sino alla nascita di un individuo); c) il divieto di utilizzare cellule staminali embrionali e cellule differenziate da queste ottenute che vengano fornite da altri ricercatori e siano reperibili sul mercato; d) il divieto di fabbricazione e/o importazione (nel Paese che adotti questa scelta) di farmaci e terapie che siano frutto delle ricerca sugli embrioni.

 

Una linea di tale rigore - così come correttamente viene esplicitata nei documenti di fonte cattolica (15) - appare al suo interno perfettamente coerente e del tutto sostenibile sul piano etico. Una sua traduzione a livello di ordinamento giuridico assumerebbe un notevole valore declaratorio.

Ma proprio allorché ci si sposta sul versante della disciplina giuridica, appaiono palesi gli inconvenienti ai quali si andrebbe incontro. In estrema sintesi essi sono rappresentati, da un lato, dall’uscita da un certo circuito di innovazione scientifica per quei Paesi che decidessero di adottare una simile scelta; dall’altro lato, uno schema del genere imporrebbe il ripristino di barriere e di controlli confinari volti a evitare l’introduzione al di qua delle frontiere nazionali dei farmaci frutto della ricerca vietata: da qui, a immaginare il proliferare del turismo terapeutico il passo è breve.

In definitiva, una scelta del genere porterebbe non soltanto a rinunziare alla partecipazione di un determinato Paese alla ricerca medico-scientifica più avanzata, ma si risolverebbe paradossalmente nella rinunzia alla regolamentazione della ricerca stessa.

In definitiva appare evidente come, in questo campo, ogniqualvolta non si possa fare conto su posizioni etiche largamente condivise a tutti i livelli - il che accade, abbiamo visto, nei riguardi della clonazione riproduttiva -, la definizione di regole comuni non possa sottrarsi al difficile compito della mediazione tra le diverse visioni del mondo, alla ricerca (sofferta, difficile, drammatica) di un giusto bilanciamento degli interessi in gioco.

 

 

Note

(*) I DIRITTI FONDAMENTALI IN EUROPA, XV Colloquio biennale del’AIDC, Messina-Taormina 31 maggio – 1/2 giugno 2001. back

(1) "Articolo 3. Diritto all'integrità della persona"

1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.

2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:

- il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,

- il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone,

- il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,

- il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani. back

(2) Sfogliando i lavori preparatori troviamo la Convent 13, dell’8.3.00, ove il testo dell’articolo in questione è il seguente:

“Article 3. Right to the respect of integrity"

1. Everyone has the right to the respect of his physical and mental integrity.

2. In the fields of medicine and biology, the following principles in particular must be respected:

- prohibition of eugenic practices;

- respect of the informed consent of the patient;

- prohibiting the making of the human body and its products a source of financial gain;

- prohibition of the cloning of human beings;.”

Nello “Statement of reasons” che accompagna questa stesura, si precisa che “These principles are set out in the Convention on Human Rights and Biomedicine. They are accompanied by separate provisions on consent, particularly where a person is unable to give his consent, and by restrictions. It is not the aim of this Charter to derogate from those provisions. The list is not exhaustive, allowing for its development to take account of future progress in this area” (c.vo aggiunto). back

(3) “Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina”, ETS n. 164. back

(4) “Protocollo addizionale alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina, sulla proibizione della clonazione umana”, ETS n. 168. back

(5) Sempre i lavori preparatori, nella Convent 5, del 15.2.00, le questioni di cui ci occupiamo trovavano le seguenti formulazioni alternative:

“Article 2. Right to life"

1. Everyone shall have the right to life.

2. Everyone shall have the right to the respect of his physical, psychological and genetic integrity.

3. The death penalty shall be abolished.”

“Alternative wording for paragraph 2:"

2. Everyone shall have the right to the respect of his physical, psychological and genetic integrity. In the field of medicine and biology, the following principles must be respected:

– An intervention in the health field may only be carried out after the person concerned has given free and informed consent to it.

– Any form of discrimination against a person on grounds of his or her genetic heritage is prohibited.

– Predictive genetic tests may only be carried out for medical purposes or for medical research, subject to appropriate genetic counselling. An intervention to modify the human genome may only be undertaken for preventive, diagnostic or

therapeutic purposes and only if its aim is not to introduce modifications in the genome of any descendants.

– Medical research must respect the dignity of the human person and the principle of free and informed consent.

– The human body and its parts shall not, as such, give rise to financial gain.

– The removal of organs from a living donor for transplantation purposes may be carried out solely with the free and informed consent of the donor and for therapeutic benefit where there is no other alternative therapeutic method.

– The cloning of human beings is forbidden.”

Di particolare interesse è il Commentary che accompagna tali testi:

“Paragraph 1 reproduces Article 2 of the European Convention on Human Rights using other wording, namely that of Article 2 of the 1989 Declaration of the European Parliament. Paragraph 2 deals with bioethical questions. It would be possible to mention other points, in particular consent to medical treatment, a prohibition on cloning etc. – but would not a general text which could always be adapted to technical progress, be better? Alternative 2 illustrates what a list of rights in this area might be. This list is inspired by the Council of Europe Convention on Human Rights and Biomedicine. This Convention is not in force and will be supplemented by protocols as technical progress is made. The disadvantage is that this considerably lengthens the text and that the list will never be complete because of technical developments in the bioethics field”. (c.vo aggiunto). back

(6) Fra gli Stati aderenti all’UE, solo la Grecia e la Spagna si sono dotate di un’apposita legislazione; la Danimarca ha legiferato solo in tema di divieto di clonazione (seguendo il Protocollo Addizionale); l’Italia ha recentemente ratificato entrambi gli atti, e siamo in attesa dei decreti legislativi di adattamento dell’ordinamento interno; tra gli altri Paesi aderenti al CE, risultano aver emanato una legislazione apposita la Georgia, la Slovacchia, la Slovenia, mentre S. Marino ha legiferato sul solo divieto di clonazione umana. back

(7) Sull’ambiguità del termine v. il Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’Impiego terapeutico delle Cellule Staminali (27.10.2000, su www.governo.it/bioetica/pareri/cellule_staminali.html), al punto 5. back

(8) Sul punto, v. la Risoluzione sulla clonazione umana, adottata dal Parlamento Europeo (237 voti a favore, 230 contrari, 43 astenuti), il 7.9.2000: la Risoluzione condanna la “clonazione terapeutica”, e si esprime pure contro le tecniche di FIV che producono embrioni soprannumerari. back

(9) A questo proposito, v. il parere positivo contenuto nel c.d. “Rapporto Dulbecco per le cellule staminali”, elaborato dalla Commissione di studio nominata da Ministro Veronesi. back

(10) Un sintetica raccolta delle legislazioni europee e nordamericane è presente nel Documento di lavoro per il gruppo Scientific and Technological Option Assessment, della Direzione generale degli studi del Parlamento Europeo, su “Le implicazioni etiche della ricerca sugli embrioni umani”. back

(11) Una sintesi delle discussioni tedesche sui temi della bioetica è fornita da un Dossier pubblicato dalla rivista Bioetica (f. 4, 1999, 622 ss.). back

(12) L.28.3.2001, n. 145 (G.U. 95, del 24.4.01). back

(13) All’art. 11 di questo documento, proclamato in ambito Unesco, la clonazione viene indicata quale esempio di pratica contraria alla dignità umana. back

(14) Che “il grado di tutela dovuto all’embrione possa essere bilanciato con l’interesse almeno equivalente per la cura del malato” è esplicitamente sostenuto da parte dei componenti del C.N.B.: v. il Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’Impiego terapeutico delle Cellule Staminali (27.10.2000, su www.governo.it/bioetica/pareri/cellule_staminali.html), al punto 21. back

(15) Nel documento Clonazione umana”terapeutica”?, del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del S. Cuore (12.1.99, in Bioetica, 1999, 552 ss.) – dopo aver sostenuto la liceità morale del ricorso alle altre fonti di cellule staminali – si afferma esplicitamente che: “se, per ipotesi, l’unica via possibile fosse invece quella della clonazione umana, allora bisognerebbe avere il coraggio intellettuale e morale di rinunciare a questo percorso, poiché imporre l’origine e la morte di un proprio simile per garantirsi la salute è un atto di ingiustizia che lede nelle sua fondamenta la nostra dignità e la nostra civiltà”. Così, nella Dichiarazione sulla produzione e sull’uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali embrionali umane, della “Pontificia accademia per la vita” (riportata su Bioetica, 2000, 489 ss.), si precisa che anche l’uso di materiale prodotto da altri ricercatori, e reperibile sul mercato, è moralmente illecito, in quanto costituisce “cooperazione materiale” all’attività illecita del produttore. back