Corso di Dottorato in Ingegneria Civile-Ambientale a Architettura (interateneo Università di Trieste–Università di Udine)
Il 1933 rappresenta un momento emblematico nel campo dell'architettura moderna del periodo tra le due guerre; manifesta tutto quel corpo di contraddizioni e forze telluriche che avrebbero spaccato l'Europa nell'arco del decennio successivo. A Vienna, il rivoluzionario architetto della casa Goldman & Salatsch, che affronta audacemente l'Hofburg di Michaelersplatz, muore. A Berlino, la Gestapo chiude e sequestra drammaticamente la scuola del Bauhaus, mettendo fine a quel progetto e lasciando come unica alternativa l'esodo. A Mosca, il previsto IV Congrès Internationaux d'Architecture Moderne è cancellato. Tuttavia durante l'estate dello stesso anno, un gruppo internazionale di architetti sale sul battello a vapore Patris II per intraprendere un viaggio mitologico e controverso da Marsiglia ad Atene, dando origine così al manifesto programmatico dell'urbanistica moderna e al suo frammento più esemplare: la Carta di Atene. All'inaugurazione del IV Ciam, Sigfried Giedion dichiara: «Se viaggiamo in Grecia, ciò non significa una fuga; non vogliamo in alcun modo sfuggire alle difficoltà della realtà ma, sempre attenti ai problemi profondi che si stanno sviluppando, vogliamo prendere un momento di riflessione». Alcune assenze significative caratterizzano questo momento fondativo. Non solo i sovietici, ma anche Mies van der Rohe e Walter Gropius, che chiude la lettera inviata al segretario del Ciam con l'avvertimento «cultivez votre jardin». È tangibile che il progetto della modernità, anche durante uno dei suoi attimi generativi, è pervaso da contrasti.
Figura 1 - Mappa figure-ground interpretativa
Nel frattempo, ben più a nord e ai lembi estremi del Mediterraneo, le contraddizioni sopra menzionate si sono manifestate nel processo di riscrittura del territorio traumatizzato del fiume Isonzo-Soca. Gorizia ha già sperimentato una profonda trasformazione ideologica per mezzo dell'architettura. Eppure, distanziandosi dai numerosi progetti monumentali che stavano ancora cambiando il volto della città, la progettazione di una villa residenziale esprime una forma alternativa di pensiero. Villa Schiozzi, progettata da Umberto Cuzzi nel 1933, potrebbe infatti essere considerata una delle materializzazioni dirette dell'architettura moderna in questa terra di confine. In tale contesto di conflitto tra ideologie e ideali, che ha permeato pensieri, fatti e manufatti, le teorie e le pratiche dell'architettura hanno prodotto diverse ipotesi, solo in seguito realizzate. Nel caso di Gorizia e Nova Gorica, il sistema urbano è stato assemblato da frammenti piuttosto che da piani totali e materializzato mediante eccezioni piuttosto che da regole. La ricerca contestualizza quindi le pratiche discorsive e spaziali del progetto della modernità, indagando la natura complessa del vuoto al fine di rilevare quella condizione prospettica e sostanzialmente incompiuta. La permanenza e le innumerevoli variazioni del vuoto sono esplorate nelle molteplici città giardino immaginate, progettate, costruite e vissute nel territorio di Gorizia e Nova Gorica. Il lascito dei modelli della Carta di Atene, delle Garden Cities of Tomorrow di Ebenezer Howard e della Der Stadte-Bau di Camillo Sitte, è rintracciato nella visione terapeutica di una Nizza austriaca, nelle proiezioni di Antonio Lasciac per una Gorizia giardino, o nella verde e funzionalista Nova Gorica di Edvard Ravnikar. Leggendo archeologicamente questi frammenti negli aspetti simbolici e figurativi, è infatti possibile ricostruire l'origine di una condizione e del relativo sguardo, a volte narrativo, altre proiettivo, sicuramente parziale, transitorio e alternativo ma che si è confrontato con l'orizzonte simbolico della sua visione. Lo sguardo moderno infatti declina il vuoto in molti dispositivi spaziali: dal vuoto come modello ideale al vuoto come visione alternativa, il vuoto si palesa come assenza e meccanismo di esclusione, è un vuoto che relaziona a distanza, è dispositivo simbolico di cattura ed espressione dell'infinito, è un vuoto di cui prendersi cura.
Il vuoto è un dispositivo critico della città esistente, delle tante idee di città immaginate, di quelle utopie localizzate, a volte realizzate e vissute nell'isontino; un territorio che può quindi essere letto, ripensando alle parole di Marc Antoine Laugier nel suo Essai sur l'architecture, come l'invenzione di un paesaggio, per certi versi, incompiuto.
Informazioni aggiornate al: 15.7.2020 alle ore 11:24
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