Lettera ai giudici.
di Lorenzo Milani.
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto
volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch'io possa venire a
Roma perché sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di procedere
in mia assenza.
La malattia è l'unico motivo per cui non
vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani
sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è
proprio l'accusa che mi si fa in questo processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei
confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi
stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto
per i tribunali degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore.
Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata
toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due
vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore d'ufficio
di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può
promettere né come avvocato né come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.
Un'altra precisazione a proposito della rivista che
è coimputata per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per
conto mio la lettera incriminata fin dal 23 Febbraio.
Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata
Rinascita
e poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè
del tutto casuali ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista.
Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse
d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta bandiera
di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la
non violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione
dei giovani che guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando
ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola.
I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi
e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco
per la loro elevazione civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più
gran parte del mio ministero consiste in una scuola.
Quelli che stanno in città usano meravigliarsi
del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi
io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per
procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva
da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che
li sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perché
vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che
i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo
insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò
il ritaglio di un giornale. Si presentava come un «Comunicato dei
cappellani militari in congedo della regione toscana». Più
tardi abbiamo saputo che già questa dizione è scorretta.
Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120. Non ho
potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco
uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che
non è stato invitato e che è sdegnato della sostanza e della
forma del comunicato.
Il testo è infatti gratuitamente provocatorio.
Basti pensare alla parola «espressione di viltà».
Il prof. Giorgio Peyrot dell'Università di
Roma sta curando la raccolta di tutte le sentenze contro obiettori italiani.
Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state
pronunciate più di 200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo.
Mi assicura che in nessuna ha trovato la parola viltà o altra equivalente.
In alcune anzi ha trovato espressioni di rispetto per la figura morale
dell'imputato. Per esempio: «Da tutto il comportamento dell'imputato
si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori della legge per amor di
fede» (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19 Dicembre 1963 imputato
Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre sentenze del T.M.T.
di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore
morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato
Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo dei
risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di
fare per me.
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice
veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati.
Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più
se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di
far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite.
E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione
di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce
all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il
cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come
ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c'è scritto
grande «I care». È il motto intraducibile dei giovani
americani migliori. «Me ne importa, mi sta a cuore». È
il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego».
Quando quel comunicato era arrivato a noi era già
vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili,
né quelle religiose avevano reagito.
Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come
la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo
a disposizione per pensare e studiare.
Ha perciò il diritto e il dovere di dire
le cose che altri non dice. È l'unica ricreazione che concedo ai
miei ragazzi.
Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una «guerra giusta». D'una guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata.
Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:
Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie
e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio.
Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con «interviste»
piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle
«interviste» senza curarsi di controllarne la serietà.
Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo
(Lettera al Clero 14-4-1965).
La nostra lettera è stata incriminata.
Ci è stato però di conforto tenere
sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente
in carcere per un ideale.
Così diversi dai milioni di giovani che affollano
gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina,
che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano
di politica e di religione.
Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto
Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato.
Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere
appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile.
Non toccava a lui chiamare «vili e estranei
al comandamento cristiano dell'amore» quei 31 giovani.
I miei figlioli voglio che somiglino più
a loro che a lui.
E ciò nonostante non voglio che vengano su
anarchici.
Il motivo profondo
A questo punto mi occorre spiegare il problema di
fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo
processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè
di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che
è scuola buona.
La scuola è diversa dall'aula del tribunale.
Per voi magistrati vale solo cio che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro
e deve averli presenti entrambi.
È l'arte delicata di condurre i ragazzi su
un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità
(e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà
di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia
dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici è
che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato
han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo
a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a
progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.
Ecco perchè, in un certo senso, la scuola
è fuori del vostro ordinamento giuridico.
Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile
e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli
domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve
obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perché
decreterà domani leggi migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto può
profeta, scrutare i «segni dei tempi», indovinare negli occhi
dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo
solo in confuso.
Anche il maestro è dunque in qualche modo
fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete
al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani,
non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è
d'obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in
tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè
quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè
quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perche siano
cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è
il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero.
Ma la leva vera di queste due leve del potere è
influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti.
E quando è l'ora non c'è scuola piu grande che pagare di
persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui
si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.
È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e
è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge
migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come
qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi
molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge
l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia
di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia
di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti
tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per
scardinarlo, ma per renderlo migliore.
L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la
mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità
della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo
appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi
di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni
e sono parroco di 42 anime!
Del resto ho già tirato su degli ammirevoli
figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è
venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi
su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera
incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla
egualmente.
Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà
attentereste alla scuola cioè al progresso legislativo.
Ma è poi reato?
L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto
nella scuola alla Carta Costituzionale «al fine di rendere consapevole
la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali».
(ordine del giorno approvato all'unanimità
nella seduta dell'11 Dicembre 1947).
Una di queste conquiste morali e sociali è
l'articolo 11: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla liberta degli altri popoli».
Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo
al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia è
molto piu ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro.
È un invito a buttar tutto all'aria: all'aria
buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza
militare assoluta come la insegnano ancora.
Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare,
ma il Pubblico Ministero ha interpretato come apologia della disobbedienza
una lettera che è una scorsa su cento anni di storia alla luce del
verbo ripudia.
È dalla premessa di come si giudicano quelle
guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre future.
Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio
li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini
ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati.
Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse
solo dei superficiali.
A sentir loro tutte le guerre erano «per la
Patria».
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che «per
la Patria» non erano.
I nostri maestri si dimenticavano di farci notare
una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini
della classe dominante.
In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo
il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto
il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò
più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per
tre guerre spaventose.
Oggi di diritto il suffragio è universale,
ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità
che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome
non è stata chiesta la revisione di quell'articolo è lecito
pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata.
Allora è ufficialmente riconosciuto che i
contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano,
non è mai stata al potere.
Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di
una classe ristretta.
Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio
di leva è compensato con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e
con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso
rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente
figlio dei poveri.
Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato
la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti
han rappresentato la Patria?
Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione.
Ma non certo quello di Napoleone in Russia.
Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non
certo l'esercito inglese a Suez.
Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo
l'esercito russo in Polonia.
Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo
l'esercito italiano il 24 Maggio.
Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini
e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici
giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio
fin dal 1861.
Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro
infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli
interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!)
non gli interessi della Patria.
Anche la Patria è una creatura cioè
qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso
che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche
si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la
Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per
l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).
Dar la vita per nulla è peggio ancora.
I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria
ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti
senza scopo. Che è mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo.
Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto
com'è complessa la verità. Come anche quella guerra, come
ogni guerra, era composita dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno
eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.
Lo dico perché alcuni mi accusan di aver
mancato di rispetto ai caduti. Non è vero. Ho rispetto per quelle
infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi
chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo.
Per esempio quel re che scappò a Brindisi
con Badoglio e molti generali e nella fretta si dimenticò perfino
di lasciar gli ordini.
Del resto il rispetto per i morti non può
farmi dimenticare i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano
quella tragica fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio
ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei poveri,
non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà ricordare anche le guerre per allargare
i confini oltre il territorio nazionale.
Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono
lettere patetiche per dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti
devo sciacquarmi la bocca.
È perché i nostri maestri ce l'avevano
presentato come un eroe fascista. Si erano dimenticati di dirci che era
un socialista. Che se fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani
entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un passo
di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui quattro anni
prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da Salorno e
s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.
«Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano
e Bolzano» (Scritti politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97).
«Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino
e con poca logica vogliono i confini d'Italia estesi fino al Brennero»
(ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente
organizzata. E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige,
dove nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra
finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti
a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva
Battisti, che i confini debbano tagliare preciso tra nazione e nazione.
Non certo per dar soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri
di 20 anni.
In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le
frontiere son concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata
abbiamo visto che i nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio.
E ciò che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio delle
fortune militari non può essere dogma di fede né civile né
religiosa.
Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria!
Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri
s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che
andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini
mentre loro non ci avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente
non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati
obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi,
obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato così volgarmente mistificato
dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti
questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo
non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche
civico di demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la
insegnavano allora?
Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie
di allora, quelli che da allora a oggi non hanno più studiato né
pensato, non me.
Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto
d'un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l'abbiamo.
Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza
all'art. 51 del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando
l'atto comandato è manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve
avere un minimo d'apparenza di legittimità.
Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che
ha obbedito a un ordine di strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che
perfino il soldato ha una coscienza e deve saperla usare quando è
l'ora.
Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità
una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei,
la tortura, una guerra coloniale?
Oppure, può avere un minimo di parvenza di
legittimità un atto condannato dagli accordi internazionali che
l'Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che
«è praticamente impossibile all'individuo singolo valutare
i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve»
(Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all'ordine che
hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure
a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche
agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). E neppure all'uso dei
gas.
Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è
un fatto su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra
del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia
per prima il 23-12-1935 sul Tacazzé. L'Enciclopedia Britannica
lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici
(L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo del Boca dal 13-5-1965 al
15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: «autorizzo
impiego gas» (telegramma numero 12409 del 27-10-1935) di Mussolini
a Badoglio: «rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie
e su qualunque scala» (29-3-1936). Hailè Selassiè l'ha
confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso
29-9-1965 e sg.).
Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano
barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati.
Son processato invece io perché ho scritto
una lettera che molti considerano nobile.
(carissime fra le tante le lettere di affettuosa
solidarietà delle Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine,
quelle dei dirigenti e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L.
di Firenze e quella dei Valdesi).
Che idea si potranno fare i giovani di ciò
che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state
accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere
più in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato
che gli ordini opposti d'un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere
se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e
coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni
intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli
per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le
sue guerre.
A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.
Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani
soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire
come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.
E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il
pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e
si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire,
non vuol dimenticare quello che ha fatto quand'era «un bravo ragazzo,
un soldato disciplinato» (secondo la definizione dei suoi superiori)
«un povero imbecille irresponsabile» (secondo la definizione
che dà lui di sé ora).
(carteggio di Claude Eatherly e Günter Anders
- Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio
di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità
in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: «Tant'è
ladro chi ruba che chi para il sacco».
Quando si tratta di due persone che compiono un
delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un
ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si
divide per due.
Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto
qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici,
operai, aviatori.
Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza
fingendo a sé stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un
rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E cosi siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle
caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere
dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà
200.000 giapponesi e non si pente.
A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi
tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà
solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel
delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro
gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono
tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù,
ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene
far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna
che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto.
A questo patto l'umanità potrà dire
di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale
al suo progresso tecnico.
COME SACERDOTE
Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro
che crede con la sua scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla
società civile, non di aver compiuto un reato.
Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti
i miei confratelli mette in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di
sacerdote. Sembrerà infatti che condanniate le idee personali di
un prete strano. Ma io son parte viva della Chiesa anzi suo ministro. Se
avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe condannato.
Non l'ha fatto perché la mia lettera dice cose elementari di dottrina
cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni. Se ho commesso reato
perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente
lo sono. Ho tentato di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati
per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino
su larga scala le tecniche non-violente). Ma la non-violenza non è
ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del
primato della coscienza sulla legge dello Stato lo è certamente.
Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia
lettera ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia.
La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera
è identica a come la raccontavano i preti in seminario prima di
quella data. Il mio vecchio parroco mi diceva che La Squilla, il
giornale cattolico di Firenze, aveva in vetta e in fondo uno striscione
nero. Portava il lutto del Risorgimento!
In quanto alla storia più recente cioè
al giudizio sulle guerre fasciste, può anche darsi che qualche mio
confratello sia intimamente un nostalgico, ma è notorio che la gran
maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che fu il principale
autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina.
La dottrina del primato della legge di Dio sulla
legge degli uomini è condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa.
Non andrò a cercare teologi moderni e difficili
per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si prepara alla
Prima Comunione: «Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva
bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero
bene o male?».
C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro:
«Obbedite ai vostri superiori anche se son cattivi». Infatti.
Non ha nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o
cattivo. Delle sue azioni risponderà lui davanti a Dio.
Ha pero importanza se ci comanda cose buone o cattive
perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio.
Tant'è vero che Pietro scriveva quelle sagge
raccomandazioni all'obbedienza dal carcere dove era chiuso per aver solennemente
disobbedito.
Il Concilio di Trento è esplicito su questo
punto (Catechismo III parte, IV precetto, 16° paragrafo): «Se
le autorità politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente
da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare
che premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro
che obbediscono a questo precetto divino» cioe di disobbedire allo
Stato!
Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi
che mi hanno denunciato) ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio.
Quella mostra è l'esaltazione di cittadini che per motivo di coscienza
si ribellano allo Stato. Allora anche i miei superficialissimi accusatori
la pensan come me. Hanno il solo difetto di ricordarsi di quella legge
eterna quando lo Stato è comunista e le vittime son cattoliche e
di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si dichiara cattolico
e le vittime sono comuniste.
Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi
che su questo punto l'arco dei cattolici che la pensano come me è
completo.
Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco
lontano dal vostro Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile
pescatore che ha pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e
l'ordinamento vigente. S. Pietro era un «cattivo cittadino».
I vostri predecessori del Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a
condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni.
Avevano costruito a Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir
sacrifici ad ogni altare.
In una sola religione il loro profondo senso del
diritto ravvisò un pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella
il cui primo comandamento dice: «Io sono un Dio geloso. Non avere
altro Dio fuori che me».
A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni
ebrei e i buoni cristiani paressero cattivi cittadini.
Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi
dire, con buona pace dei laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi
alla legge di Dio. Così va diventando ogni giorno più facile per
noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma è per coincidenza e non
per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque se ancora
non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole ancora
e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro civile sto
dando una mano anch'io a migliorarle.
Perché io ho fiducia nelle leggi degli uomini.
Nel breve corso della mia vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano.
Oggi condannano la pena di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura,
le colonie, il razzismo, l'inferiorità della donna, la prostituzione,
il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.
Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi
alla legge di Dio. Già oggi la coincidenza è cosi grande
che normalmente un buon cristiano può passare anche l'intera vita
senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge dello Stato.
Io per esempio fino a questo momento sono incensurato.
E spero di esserlo anche alla fine di questo processo. È un augurio
che faccio ai patrioti. Chissà come patirebbero se potessero leggere
le tante lettere che ricevo dall'estero. Da paesi che non hanno il servizio
di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che le scrivono sono convinti
di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi domanda quanto dovrà
ancora stare in prigione il povero padre Balducci.
Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi
coincidono. Ci sono però dei casi eccezionali nei quali vige l'antica
divergenza e l'antico comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di
questi casi. Posso aggiungere altre considerazioni.
Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto.
Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla
Chiesa anche su questo punto specifico. Il Concilio invita i legislatori
a avere rispetto (respicere) per coloro i quali «o per testimoniare
della mitezza cristiana, o per reverenza alla vita, o per orrore di esercitare
qualsiasi violenza, ricusano per motivo di coscienza o il servizio militare
o alcuni singoli atti di immane crudeltà cui conduce la guerra».
(Schema 13 paragrafo 101. Questo è il testo
proposto dalla apposita Commissione la quale rispecchia tutte le correnti
del Concilio. Ha quindi tutte le probabilità d'essere quello definitivo).
Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore
è un vile. Io ho detto soltanto che forse è un profeta. Mi
pare che i Vescovi stiano dicendo molto più di me.
Ricorderò altri tre fatti sintomatici.
Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero
diventare preti, dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le
irregolarità canoniche in cui potevano essere incorsi nell'obbedire
ai loro ufficiali.
Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare
i seminaristi, i preti, i vescovi dal servizio militare.
Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari
a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi evadant)!
Chi disobbedisce è automaticamente ridotto allo stato laicale.
La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa
per un sacerdote l'attività militare presa nel suo complesso. Con
le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo il problema più cocente
delle ultime guerre e di quelle future: l'uccisione dei civili.
La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse
lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè
nel tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola
su segnalazione del Giorno un articolo del premio Nobel Max Born
(Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964).
Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono
5% civili 95% militari (si poteva ancora sostenere che i civili erano morti
«incidentalmente»).
Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva
più sostenere che i civili fossero morti «incidentalmente»).
In quella di Corea 84% civili 16% militari (si può
ormai sostenere che i militari muoiono «incidentalmente»).
Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia
d'oggi con l'unità di misura del megadeath (un milione di morti)
cioè che le armi attuali mirano direttamente ai civili e
che si salveranno forse solo i militari.
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato
possa mirare direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai
civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo
della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile
il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi
l'aveva già capito quando ancora non si parlava di armi atomiche.
«Io non traccio alcuna distinzione tra coloro
che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce
Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi
sono colpevoli del crimine della guerra» (Non-violence in peace
and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare
a discutere di guerra con termini che servivano già male per la
seconda guerra mondiale.
Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura
perché accusandomi di apologia di reato ci si riferisce appunto
a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani.
Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini
della nostra teologia e della vostra legislazione è ancora piu evidente.
E noto che l'unica «difesa» possibile
in una guerra di missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti
prima dell'«aggressore». Ma in lingua italiana lo sparare prima
si chiama aggressione e non difesa.
Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per
sua «difesa» spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino
i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese ormai cancellato dalla
geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta non difesa.
Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza,
ma Kennedy e Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati
l'un l'altro pubblicamente minacce del genere.
«Siamo pienamente consapevoli del fatto che
questa guerra, se viene scatenata, diventerà sin dalla primissima
ora una guerra termonucleare e una guerra mondiale. Ciò per noi
è perfettamente ovvio» (lettera di Krusciov a B. Russell,
23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale.
Allora la guerra difensiva non esiste più.
Allora non esiste più una «guerra giusta» né
per la Chiesa né per la Costituzione.
A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti
che è in gioco la sopravvivenza della specie umana.
(Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica
e per la pace).
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia
lecito o no distruggere la specie umana?
Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte
l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di
dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi
quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà
loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e
portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti
e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me.
Poi forse qualche generale troverà ugualmente
il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità.
Non è un motivo per non fare fino in fondo
il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci
salveremo almeno l'anima.