Quali interessi hanno spinto gli Stati Uniti
nella guerra contro l’Iraq?
Prima di tutto il petrolio del Medio Oriente, che è stato al centro della
politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente dalla fine della seconda
guerra mondiale, quando gli Stati Uniti presero il posto del Regno Unito
come principale attore dell'industria petrolifera del Medio Oriente.
Secondo: il bisogno di avere un'altra postazione militare in Medio Oriente.
Terzo: la politica interna, dato che l'Amministrazione Bush è salita al
potere in una situazione poco chiara, le strane elezioni del 2000, e Bush
aveva bisogno di rafforzare la propria posizione di fronte alla popolazione.
Sapeva, i suoi consiglieri sapevano, che quando un presidente va in guerra
il suo consenso pubblico immediatamente cresce perché la popolazione sente
di dover sostenere il Presidente.
Quali sono le reazioni degli ambienti
universitari statunitensi a questa nuova guerra?
Non c'è un'unica reazione. Direi che la maggior parte dei docenti si è
opposta alla guerra in Iraq. Per quanto riguarda gli studenti, c'è molta
ignoranza e disinformazione tra loro, e direi che essi, come il resto della
popolazione, siano metà a favore e metà contro la guerra. Però, quando
vengono informati si orientano rapidamente contro la guerra. Quelli fra noi
che vanno in giro per il paese a parlare a grandi assemblee di mille –
duemila studenti (e questi non sono gruppi di opposizione alla guerra) hanno
osservato che non appena sono fornite alcune informazioni gli studenti
reagiscono positivamente al nostro messaggio contro la guerra.
Che tipo di opposizione contro la guerra si
è creata negli atenei?
Le università non hanno guidato l'opposizione contro la guerra;
quest'attività è stata svolta da gruppi in tutto il paese.
Questi movimenti sono internazionalisti?
Se vuole sapere se questi movimenti abbiano una coscienza internazionalista
direi di sì. Questi movimenti sentono di avere qualcosa in comune con la
popolazione irachena e con tutta la gente nel mondo che ha protestato contro
la guerra.
Che mi dice delle cosiddette associazioni
universitarie patriottiche e dei docenti patriottici che sono a favore della
guerra?
All’interno delle università vi sono ben poche attività organizzate a favore
della guerra. I docenti che sono a favore tendono a non parlarne, sapendo
che la loro è una posizione minoritaria.
Come descriverebbe la storia e la situazione
attuale delle ricerche militari nelle università statunitensi? Cosa possiamo
fare oggi per contrastarle ovunque?
Non sono sicuro di cosa intende con il termine "ricerche militari".
Intendo la cooperazione delle università con
il Dipartimento della Difesa, la ricerca finanziata dal Dipartimento della
Difesa o da industrie militari private, la ricerca finalizzata ad aumentare
l'efficienza dei sistemi d'arma, gli Studi Strategici...
Molte università hanno contratti con il Dipartimento della Difesa,
specialmente posti come il Massachussetts Institute of Technology e la
Stanford University. Questo fatto ha acquisito importanza durante la Guerra
Fredda e divenne oggetto di interesse per il movimento studentesco contro la
guerra del Vietnam e continua ancor oggi con l’enorme budget stanziato per
la spesa militare.
Che consigli darebbe ad uno studente
interessato ai temi della pace, della nonviolenza e dell'antimilitarismo?
Quali sono, negli Stati Uniti, le università più aperte in questo senso?
Direi che l'Università di New York, specialmente il Dipartimento di Storia,
ha una forte coscienza politica e contro la guerra. E in certa misura anche
la Columbia, l'Università della California a Berkeley, l'Università del
Wisconsin. Esiste un’organizzazione che si chiama Storici contro la guerra
(hanno una pagina web:
historiansagainstwar.org).
Su questi temi, quali sono a suo parere gli
autori statunitensi più interessanti per uno studente europeo?
Naturalmente Noam Chomsky, Barbara Ehernreich (autrice di
Nickel and dimed),
Daniel Ellsberg (Secrets), Chalmers
Johnson (Blowback
and The sorrows of empire), Marilyn
Young (The Vietnam Wars) e anche la
scrittrice di romanzi Barbara Kingsolver, in particolare il suo romanzo
The Poisonwood Bible che parla
del Congo. E poi ovviamente Michael Moore.
Che tipo di iniziative sta seguendo negli
ultimi mesi? Con quali intellettuali europei collabora volentieri?
Faccio parte degli Storici contro la guerra, tengo conferenze in giro per il
paese sul tema della guerra. Per quanto riguarda i rapporti con gli
intellettuali europei i miei scritti appaiono su
Le Monde Diplomatique ed ho una
corrispondenza regolare con l'economista Frederic Clairmonte, che scrive per
Le Monde Diplomatique.
Come esperto della loro storia, qual è il
futuro dei movimenti per la pace negli USA a suo parere?
Credo che il movimento per la pace stia crescendo e continuerà a crescere,
perché il fallimento della "guerra al terrorismo" e delle bugie ad essa
associate diventano sempre più evidenti per l'opinione pubblica americana.
(trad. a cura di Giulia Beretta)
Barbara Ehrenreich, Una paga da fame. Come
(non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo,
Feltrinelli, 2002;
Chalmers Johnson, Gli ultimi giorni
dell'impero americano. I contraccolpi della politica estera ed economica
dell'ultima grande potenza, Garzanti, 2001;
Barbara Kingsolver, Gli occhi negli alberi,
Sperling & Kupfer, 2000.