LETTERA APERTA AI COLLEGHI DELL'UNIVERSITÀ
Domenico Jervolino
Domenico Jervolino è un prestigioso filosofo e docente universitario, di intenso impegno civile. Per contatti e per rispondere alla proposta qui formulata: e-mail: djervol@tin.it
La crescita di un movimento contro la globalizzazione dei mercati e dei mercanti e per la globalizzazione della solidarietà e dei diritti è uno degli avvenimenti più significativi di questi ultimi mesi. A un prezzo altissimo questo movimento è già riuscito a incidere nella politica italiana: dopo di Genova, nulla sarà come prima.
E quanto è accaduto l'11 settembre ci conferma tragicamente che ormai l'orizzonte dell'agire politico è mondiale, al punto che nessuno può più pensare di tirarsene fuori.
Se gli avvenimenti di questi giorni ci parlano di una nuova barbarie,occorre interrogarsi sulle sue radici e sui rimedi che non possono certamente consistere in comportamenti che generino nuove sofferenze e altre vittime innocenti.
In questa situazione c'è sicuramente una responsabilità particolare per chi opera nel campo delle istituzioni culturali ed educative. All'inizio di un nuovo anno accademico, mentre l'università è coinvolta da processi di trasformazione che vanno in tutt'altra direzione,è lecito chiedersi se il cambiamento che s'intravede della fase politica riuscirà a incidere in profondità in un'istituzione che in passato si è rivelata coriacea e impermeabile ai cambiamenti veri. Non mi riferisco evidentemente agli studenti e ai giovani, dei quali conosco la generosità e la disponibilità: molti di coloro che hanno partecipato alle mobilitazioni degli ultimi mesi sono appunto studenti.
Ma riuscirà l'università in quanto tale a mettersi in discussione come luogo di produzione e di riproduzione di saperi, di cultura,di gerarchie sociali e culturali, il cui funzionamento non è certo privo di rapporti coi problemi della globalizzazione? O si limiterà solo ad offrire, nella migliore delle ipotesi, una sede per dei dibattiti che non la toccano nella sua vita quotidiana, che non discutono ciò che si studia, si ricerca, s'insegna, come lo si fa, o quello che non si fa e si dovrebbe invece fare per aprirsi a una domanda sociale di cultura e di formazione che è anch'essa virtualmente "globale"?
Riusciremo soprattutto come docenti ad uscire da forme consolidate di apatia e di afasia? Alle "riforme" più o meno ispirate dal "pensiero unico" l'unica risposta sarà il consolidato gattopardismo italico?
Vorrei sottoporre questi interrogativi come un messaggio chiuso in una bottiglia da affidare al mare (informatico o cartaceo) della comunicazione e sollecitare delle risposte.
È immaginabile fondare qualcosa come un forum sociale dell'università(aperto a studenti, docenti, lavoratori dell'università e della ricerca)? Non per seguire una moda, ma per aprire una nuova frontiera d'impegno. Propongo per ora di discutere, per giungere poi forse ad un appuntamento,magari in ottobre, quando saranno ripresi i corsi.
La nonviolenza è in cammino, n. 232 del 18 settembre 2001