Il capitalismo e la crisi
ambientale
Murray Bookchin
aprile 2004
Al di là del legame altamente tecnologico esistente fra
capitalismo e guerra, non vi è alcuna caratteristica specifica
che accomuni o separi i due. La scoperta dei metalli (rame, bronzo,
ferro e simili) per forgiare strumenti ha portato invariabilmente al
loro uso come armi. Il capitalismo in quanto storia della
competizione ha talmente accelerato lo sviluppo dell’industria bellica
che risulta difficile credere che l’Età del Ferro sia realmente
iniziata solo 5000 anni fa circa e che l’Età del Bronzo, prima
ancora, sia durata solo pochi secoli — con aumenti colossali del numero
delle guerre.
Nel giro di un solo secolo, l’attuale associazione delle guerre con
forme di competizione capitalistica ha prodotto ciò che Dwight
D. Eisenhower, il presidente americano degli anni 50, in modo
assolutemente calzante chiamava il “complesso militare-industriale.” Le
tecnologie della guerra e del capitalismo sono diventate
totalmente connesse. In effetti è abbastanza corretto
affermare che la guerra e la tecnologia sono totalmente connesse. Il
presente conflitto in Iraq ha generato una situazione in cui ogni passo
nella sofisticazione della tecnica carattterizza l’età in cui si
realizza. Di conseguenza, oggi non abbiamo più un’Età del
Ferro, iniziata alcune migliaia di anni fa, ma un’Era atomica,
iniziata appena pochi decenni fa. Oggi le armi strategiche come i
missili possono essere sparate dalla spalla di un uomo che li regge.
Altri progressi tecnologici “futuristici” progettano l’emergere di
un’Era Solare e di un’Era dell’Idrogeno — con la prospettiva di guerre
basate su questi combustibili. L’industria capitalistica si è
accaparrata tutto ciò che ha trovato utile in una misura che
solo poche generazioni fa non poteva essere immaginata — e lo stesso ha
fatto con le guerre che nessuno ormai crede possano essere evitate
fintanto che continuano a sussistere relazioni sociali di tipo
capitalistico.
Ma l’uso di una base di risorse tanto diversificata è
incompatibile con un’economia che vive di competizione — ovvero per la
crescita in nome della crescita stessa. Il capitalismo non soltanto
ricostruisce se stesso continuamente (come Karl Marx mise in evidenza
nel Capitale) ma si ricostruisce su una base in continua
espansione. E non solo espande la propria base di risorse ma si
diversifica ulteriormente ad una velocità straordinaria.
Ciò che oggi può solo essere immaginato diventerà
quasi certamente una realtà in futuro, in modo così
malleabile e creativo che non si vedono limitazioni capaci di contenere
i peggiori orrori.
In una società basata sulla crescita in nome della crescita,
senza costrizioni morali che la inibiscano, il mondo intero è
soggetto a essere ricostruito — e nel peggiore dei modi. La “prima
natura”, come la chiamava Cicerone (il mondo naturale che si è
evoluto senza l’intervento della mano umana) e la “seconda natura” (la
forma dell'evoluzione naturale guidata dal pensiero e dalle azioni
umane) si trovano oggi in aspra contrapposizione al livello
delle forme di vita complesse. La nostra “seconda natura” minaccia di
semplificare drasticamente la “prima natura” dalla quale noi stessi
come specie e tutte le altre forme di vita complesse siamo emersi.
Eppure, ciò che è clamorosamente evidente è che
nessuna delle due forme di natura può esistere senza l’altra.
È
un’idiozia dei moderni primitivisti quella secondo la quale dovremmo
tornare totalmente al passato primordiale per evitare il suicidio della
specie — anche se questo non è più possibile senza che si
verifichi quello stesso suicidio che un tale ritorno produrrebbe. Non
possiamo tornare alle caverne così come non possiamo creare il
paradiso tecnocratico di Buckminster Fuller senza arrivare
all’auto-annichilimento.
Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una trascendenza o Aufhebung di entrambe le nature, la
“prima” e la “seconda”, per arrivare a una fusione e a un progresso
oltre queste due in una “natura libera”, in cui gli elementi migliori
delle due diano vita a un’età guidata dalla spontaneità
della “prima natura” e dalla razionalità della “seconda.” Mi
riferisco a una natura pensante
che può percepire la realtà attorno a sé e
scegliere in modo ragionato le alternative e le improvvisazioni insite
nella creazione di un’evoluzione sapiente della vita. Questa nuova
natura rifiuterebbe le grandi conurbazioni che hanno preso il posto
della terra coltivabile, i rifiuti che inquinano vaste aree degli
oceani, i veleni letali che infestano la catena alimentare umana, i
cambiamenti climatici che causano il cancro della pelle e dei polmoni —
eccetera.
Lasciatemi spiegare che questa nuova natura tenterà di
armonizzarsi combinando le caratteristiche migliori e
più razionali della prima e della seconda natura.
Combinerà ciò che è strettamente umano, come ad
esempio le
macchine, con ciò che è strettamente non-umano, come la
fotosintesi, in un sistema orientato in senso antropo-ecologico di
ecologia sociale. Sarà allo stesso tempo restaurativo e
creativo,
facendoci ritornare a un tempo in cui l’umanità si trovava
ancora sulla soglia tra la biologia e l’antropologia. Sarà una
cultura creata in modo cosciente e costruita in modo spontaneo. E
sarà una cultura che combina il gioco libero della
prima natura con il progetto ragionato della seconda, che risponde ai
bisogni dell’istinto e della mente, dello spirito e del pensiero, del
riconoscimento di una necessità e della conoscenza dell’universo
aperto dell’incognito e delle contraddizioni.
E inoltre, formerebbe un unico tessuto della conoscenza appena
distinguibile di un mondo remoto e del ricco discernimento di un mondo
che è ancora in divenire. Come la filosofia, sarebbe la
conoscenza di ciò che è stato assieme a ciò che
è in via di realizzazione. L’umanità è sempre
stata su questa soglia, ed è proprio questo che ha reso la
nostra specie tanto particolare e creativa. La parola ecologia è
essenzialmente un modo naturalistico per dire dialettica — un
continuum in cui ciò che era, ciò che è e
ciò che sarà è una presenza pulsante in mezzo a
una realtà vera che è sempre
un continuum. Proprio come
la parola sociale in ecologia
sociale è un altro modo
per dire
socialismo, così la parola ecologia
è un altro modo per
dire sviluppo dialettico e continuo.
Nota: I libri che meglio sposano le
idee qui espresse sono
The Ecology of Freedom, From Urbanization to Cities, e The Philosophy
of Social Ecology, scritti da me. Non conosco altri libri
(esclusi quelli
scritti da Janet Biehl) che presentano aspetti di ecologia sociale come
un corpo di idee praticabile e ricettivo. La scuola che meglio
rappresenta le idee qui avanzate è l’Institute for Social
Ecology di Plainfield, Vermont. Vi operano alcuni singoli insegnanti
che offrono eccellenti corsi sull’argomento in Europa e negli Stati
Uniti, ma per il loro impegno nei confronti dell’Ecologia
sociale, non posso farmi garante. Al termine ecologia sociale
sono stati associati significati che non hanno alcun rapporto con
quanto inteso da me. So di molti casi in cui il concetto di “ecologia
sociale” è stato utilizzato da socialdemocratici tedeschi con i
quali non ho alcun rapporto.
(trad. a cura di Giulia Beretta)